Capitolo 1
«Odino
ci ha condotti qui da Miðgarðr. Sfiorando Múspellsheimr ha
attraversato Ginnungagap nel buio assoluto sul gigantesco drakkar
d’acciaio. Ricordalo sempre, Gunnar!»
Gunnar
ascoltò suo nonno Håkon, re dei Vichinghi, e fu come se assistesse
realmente al viaggio fantastico che gli narrava; immaginò i possenti
uomini del Nord intenti a veleggiare tra le stelle guidati da un dio.
Immaginò e sognò a occhi aperti...
«Ricorda!»
aggiunse il re scuotendolo dai suoi sogni. «Odino ammira il
coraggio! Ci ha donato un mondo intero e si aspetta risolutezza nel
difenderlo dai tre popoli invasori che cercano di strapparcelo. Se
dovessimo morire combattendo, lui ci accoglierà nel Valhalla. Ma se
fuggiremo, se non saremo abbastanza forti e ci comporteremo con
disonore, allora ci disprezzerà e saremo dannati per sempre». Lo
sguardo del re nonno, che già di per sé era severo e grave, si fece
minaccioso. Gunnar si spaventò. Ma a quel punto il re, che comprese
di aver esagerato, sorrise: «Lo so che hai solo otto anni, Gunnar»
continuò stringendolo a sé «eppure devi diventare un grande
guerriero, come lo è stato tuo padre, mio figlio!» Colto da un
momento di debolezza il re si lasciò andare, una lacrima gli scese
sulla guancia. Strinse gli occhi più volte cercando di soffocare la
sofferenza e distolse lo sguardo dal bambino. Un re non dovrebbe mai
piangere, soprattutto davanti ai propri eredi. Calò il silenzio
nella sala del trono deserta. Nonno e nipote si abbracciarono,
illuminati dal fuoco dei bracieri.
«Dov’è
Odino, nonno?»
«Vive
sulla Grande Montagna, la più alta che vedi a est, davanti alla
porta di Kåreheim».
«Tu
l’hai mai visto?»
«No.
Ma tuo padre... tuo padre è con lui».
«Il
Valhalla è sulla Grande Montagna? Posso andare da mio padre, lassù?»
«Non
puoi. Forse ti ho confuso con i miei discorsi... un giorno rivedrai
tuo padre, ma quel giorno è ancora molto lontano. Adesso va da tua
madre e riposa. E ricordati che per un vichingo il tempo è molto
importante. Vedrai: il tempo farà di te un uomo».
«Ti
voglio bene nonno».
«Anch’io
te ne voglio, Gunnar».
***
Trascorsero
due lustri e Gunnar crebbe forte e coraggioso. Re Håkon morì in
battaglia, affrontando i Möss alla testa dei suoi berserkir,
durante l’ennesimo assalto alle mura di Kåreheim. Lo zio di
Gunnar, Eirik, salì al trono. Si trattava di un vero vichingo, di
quelli con la pirateria nel sangue, che giocavano più d’astuzia e
meno d’impeto sui nemici... mostrando forse poco onore, ma
raggiungendo sempre i suoi obiettivi. E forse era proprio di uno come
lui che i Vichinghi avevano bisogno, per sopravvivere ai Möss, gli
orrendi ratti alti come un uomo, puzzolenti e violenti, che
camminavano curvi e si battevano come bestie prive di intelletto.
Oppure avevano bisogno di lui per difendersi dai terribili Ørne che
attaccavano dal cielo, o dai giganteschi Hunde pelosi capaci di
uccidere, anche da soli, dieci uomini alla volta.
Eirik
riuscì a tenere a bada i nemici per due lustri. Potenziò la flotta
di drakkar
e snekke
che, grazie all’acqua magica, volavano sulle lande ghiacciate di
Niflheimr come sentinelle. I Vichinghi conobbero così un lungo
periodo di tranquillità.
***
In
un pomeriggio più freddo del solito, di quelli in cui il fiato che
esce sotto forma di vapore rischia di solidificarsi all’istante in
cubetti di ghiaccio, due cacciatori si aggiravano tra gli alberi
colmi di neve, spingendo una slitta.
Si
fermarono. Uno dei due preparò arco e freccia, la preda era vicina.
«L’hai
sentito, Ingrid?»
«No».
Gunnar
le indicò tra gli arbusti, dritto davanti a lei. Poi tese l’arco,
prese con calma la mira sullo svinekød che si confondeva in mezzo a
tutto quel bianco e scoccò un colpo micidiale. Il bestione goffo e
peloso irrigidì le antenne, gli occhi simili a quelli della mosca
divennero vitrei e cadde con un tonfo sordo.
«L’hai
centrato!» gridò Ingrid.
«Sbaglio
mai un colpo?» le rispose lui, ridendo.
Ingrid
spinse la slitta verso l’animale abbattuto, Gunnar si sistemò
l’arco a tracolla e la seguì. Insieme caricarono la bestia.
Il
giorno morente tinse di rosso il cielo, la sera avrebbe presto ceduto
il passo alla notte e le tre lune divennero sempre più visibili e
allineate.
«Le
Norne ci controllano, Gunnar» sospirò Ingrid mentre le osservava.
«Quelle
tre vecchie tessono la trama del nostro destino».
«Cosa
avranno preparato per noi?»
«Quando
sarò al cospetto di Odino, ammirerà il mio coraggio e mi accoglierà
nel Valhalla. Qualsiasi cosa abbiano deciso per me quelle tre
vecchie!» Gunnar sorrise e afferrò Ingrid con una stretta vigorosa.
«Ma fino a quel giorno staremo sempre insieme» e la baciò. Lei
contraccambiò con passione.
Sopra
le loro teste, oltre le cime degli alberi, scivolò una snekke.
Gunnar e Ingrid riuscirono a vederla per un attimo appena, tanto era
fitta e colma di neve, la vegetazione.
«Vuoi
vedere il pozzo di acqua magica di Snorri? È qui vicino».
«Quello
dove comanda quella smorfiosa di Borghild?»
Ingrid l’allontanò da sé, estrasse la spada e dette
un’imbroccata, bloccando a pochi millimetri dalla gola. «Ricordati
che sei mio! Se ti scopro con un’altra saprò cosa tagliare».
«Sono
sicuro che scherzi. E poi Borghild è brutta»
ridacchiò lui, ma il sorriso gli si spense sulla faccia. Restarono
così per qualche secondo, circondati dal bosco silenzioso, immobili.
«Forse
è meglio lasciar perdere quel pozzo».
«Forse...»
gli rispose lei. Sorrise. E dal sorriso passò a una grassa risata.
Rinfoderò la spada e l’abbracciò. «Torniamo. La caccia è andata
a buon fine e ci meritiamo una serata davanti al fuoco dei bracieri,
comodi sotto calde pellicce».
Gunnar
si dette da fare con la slitta, Ingrid l’aiutò e iniziarono a
scivolare verso Kåreheim.
Capitolo 2
L’alba
fredda del giorno seguente illuminò il panorama. Le cime innevate
che accerchiavano la Grande Montagna, sorvegliante severa di
Niflheimr, sembravano al confronto solo leggeri rilievi. In cielo
apparve il drakkar
che volava a vela spiegata verso sud, verso i confini delle terre
ghiacciate. La polena a forma di drago, possente e minacciosa, dava
l’impressione di essere la prima sentinella tra i Vichinghi
dell’equipaggio.
La
quiete mattutina fu interrotta.
«Laggiù!
Vedo qualcosa!» gridò Olaf, a prua. Aguzzò la vista parandosi dal
sole col palmo della mano e appena fu sicuro di aver identificato
l’avvistamento aggiunse: «Sono Hunde! Corrono sulla neve più
veloci del solito».
Pål
l’affiancò massaggiandosi nervoso la folta barba rossa. «Sono
proprio Hunde. E corrono in direzione di Kåreheim».
«Sono
pochi per tentare un assedio...»
«Non
tenteranno mai un assedio, perché li fermeremo prima!» sguainò la
spada, afferrò lo scudo attaccato allo scafo e sbraitò: «Øystein!
Portaci giù! Li faremo a pezzi e voglio essere il primo a colpire!
Yahhh!!!»
Øystein
abbassò il timone laterale che azionò due alettoni, il drakkar
scese in picchiata. L’acqua magica che bagnava lo scafo senza
asciugare mai, produsse energia preziosa e portò sostegno alla forza
del vento sulla vela.
A
terra, gli Hunde si fermarono. Ostentarono le mazze ferrate e le
clave uncinate, ruggirono in segno di sfida e attesero.
Mentre
il drakkar scendeva e i Vichinghi tendevano i loro archi
pronti a scoccare le frecce, avvenne qualcosa di inaspettato. Uno
stormo di figure alate bucò le nubi e si avvicinò in rotta di
collisione.
«Ørne!
Ci attaccano!» gridò qualcuno.
Chi
fu abbastanza veloce da voltarsi e cambiare bersaglio scagliò la sua
freccia. Ma servì a poco. Ben presto le ali rapaci
calarono su tutti, e becchi e artigli acuminati
colpirono. In molti caddero urlanti, feriti, dilaniati. Riparati
dietro gli scudi, i superstiti risposero con le spade e con le scuri.
Olaf roteò più volte la sua ascia bipenne per imprimere maggior
forza al colpo e tagliò di netto la testa a un Ørne. Combatterono
con coraggio, ma gli Ørne, che bevevano l’acqua magica prima di
andare in battaglia e si caricavano di energia, vomitarono lampi di
fuoco dagli occhi. Scudi e elmi divennero roventi, alcuni uomini in
fiamme si gettarono dal drakkar
urlando.
Chi
teneva il timone mantenne la calma e manovrò per planare sulla neve,
in modo che la picchiata non finisse in catastrofe. A quel punto,
però, gli Hunde dilagarono sulla nave e i berserkir, attaccati su
due fronti, capirono che era la fine. Agitarono asce e spade. Il loro
grido di battaglia privo di paura sovrastò i nemici, si gettarono
nella mischia e morirono combattendo. Per loro si sarebbero
certamente spalancate le porte del Valhalla.
***
Quella
sera re Eirik, seduto sul trono, aveva radunato i suoi uomini
migliori davanti a sé.
«Ørne
e Hunde insieme, com’è possibile?» sbraitò.
«Abbiamo
trovato le loro carcasse in mezzo a quella mattanza» gli rispose
Øyvind, il vichingo più alto e più grosso di tutti. «Forse si
sono alleati».
«Se
è così vinceranno la guerra. Controllano la terra e l’aria. Gli
resta precluso il sottosuolo, ma i Möss sono troppo stupidi per
tenergli testa o per allearsi con noi».
«I
Möss sono il popolo più numeroso, si riproducono a un ritmo
incredibile. Sarà difficile sterminarli».
Il
re si tormentò nervoso la barba nera. «I Möss sono una piaga, non
una risorsa. Eppure noi possiamo allearci con qualcuno che è
infinitamente più potente dei nostri nemici».
«Chi?»
«Odino».
Le
facce sconvolte da tanto ardimento fecero comprendere al re che
avrebbe avuto difficoltà a reclutare seguaci per l’impresa che
aveva in mente.
«Zio...»
osò Gunnar, ma si corresse subito dopo l’occhiata di rimprovero
del re. «Sire... non possiamo neanche entrare nella Grande Montagna.
E poi come si può pensare di sfidare un dio?»
«Non
lo sfideremo, chiederemo il suo aiuto!» rispose Eirik. «Abbiamo la
chiave per entrare nella sua dimora».
Øyvind
sollevò il suo enorme martello. «Quest’arma e il mio braccio sono
ciò che di più potente abbiamo a Kåreheim. Non esistono chiavi per
accedere al Valhalla, lo sanno tutti. Ma farò quel che devo per
abbattere il portone d’ingresso, se me lo chiederai, mio re».
«Non
sarà necessario, amico mio.» Con un cenno chiamò la figlia Åse,
che se ne stava in fondo alla sala tenendo tra le mani una cesta
coperta da un telo.
Åse
sfilò in mezzo ai guerrieri e si fermò di fronte a suo padre.
«Scopri
la cesta» le ordinò lui.
Lei
eseguì rivelando un oggetto molto dissimile da una chiave: lucente,
di forma cilindrica, con tre piccoli fori laterali dentro i quali
brillavano prepotenti tre luci rosse.
«Che
magia è questa?» chiese sbalordito Gunnar.
«Questa,
Gunnar, è la chiave di Odino. Rubata da re Ragnar
durante il lungo viaggio attraverso Ginnungagap».
Øyvind,
con prudenza, toccò la chiave. Poi la prese con entrambe le mani e
la sollevò.
«È...
leggerissima!»
«È
magica. L’ha forgiata Odino per metterci alla prova. Dobbiamo
dimostragli che siamo astuti, oltre che forti e coraggiosi. Quando ci
vedrà entrare nella sua dimora resterà meravigliato e ci aiuterà a
distruggere i nostri nemici».
Riuscì
a convincerli. I guerrieri brandirono le armi e gridarono in coro:
«Eirik! Eirik! Eirik!».
***
Due
giorni dopo il drakkar
per la missione era pronto a salpare dalla torre più alta di
Kåreheim. Ingrid, con le lacrime agli occhi, strinse forte Gunnar.
«Torna tutto intero, amore mio» gli sussurrò e lo baciò.
«Lascialo
in pace, donna! Non può partire col tuo pianto nelle orecchie!»
sbraitò Eirik.
«Tuo
zio è più stupido di uno svinekød dei boschi» bisbigliò lei a
denti stretti.
«È
anche il tuo re. Il nostro re».
«Sì,
ma quanto era meglio re Håkon».
«Sbrigati
Gunnar!» gridò Øyvind mentre mollava l’ormeggio.
«Eccomi,
arrivo» Gunnar dette un ultimo bacio fugace alla sua donna e corse
verso il drakkar
che ormai si stava allontanando dal molo. Spiccò un salto e riuscì
a saltarci dentro per un pelo. Øyvind rise di gusto, Eirik si voltò
con lo sguardo a prua mentre la vela si gonfiava e la nave prendeva
velocità.
Attraversarono
il cielo sorvolando le lande ghiacciate diretti alla Grande Montagna.
Il viaggio fu molto lungo, durò giorni e giorni. I drakkar
superavano le vette più alte dei monti comuni, ma la Grande Montagna
era altissima, oltre la quota consentita dal potere dell’acqua
magica. Così quando la raggiunsero ormeggiarono il drakkar
alla parete di roccia innevata, lasciarono alcuni uomini a guardia
della nave e iniziarono a inerpicarsi a piedi. Ben presto si scatenò
una tormenta che gli sputò la neve in faccia per ore, lottarono con
tutte le loro forze per andare avanti. Esausti, arrivarono a un
riparo naturale tra le rocce e fecero una sosta nella speranza che il
clima ostile si placasse.
Qualche
ora più tardi il vento si era calmato e la neve aveva smesso di
cadere, così decisero di riprendere la salita. Giunsero davanti a un
ammasso di pietre messo lì per far da barriera a chi avesse tentato
di scalare oltre. Non si fecero intimidire e cominciarono ad
arrampicarsi.
Echeggiò
un tonfo, e poi un altro e un altro ancora. I Vichinghi erano
aggrappati alle pietre quando videro affacciarsi dalla cima della
barriera un gigante, con folta barba e lunghi capelli bianchi.
Brandiva un’ascia bipenne talmente grande che sarebbe bastata a
spazzarli via tutti con un solo colpo.
Il
coraggio dei Vichinghi era famoso, i berserkir si gettavano nella
mischia e combattevano fino alla morte per guadagnarsi il Valhalla,
ma attaccare un gigante era un inutile suicidio. In molti iniziarono
a scendere terrorizzati. Eirik gridò, tentando di tenerli uniti, ma
per la prima volta in vita sua li vide scappare davanti al nemico.
Gli restarono al fianco solo Gunnar e Øyvind e comprendendo che non
aveva speranze di farcela ordinò: «Indietro! Presto!»
Scesero
in fretta e corsero a riparasi, con gli altri.
Il
gigante, che si era affacciato agitando l’ascia, restò immobile
per qualche minuto e poi si ritirò dietro la barriera scomparendo
alla vista.
Eirik
si massaggiò la barba, qualcosa non lo convinceva e decise di
indagare. Ordinò agli altri di aspettarlo lì e con prudenza tornò
alla barriera. Iniziò a scalarla di nuovo. Salì fino il punto in
cui erano arrivati prima e udì echeggiare un tonfo, poi un altro e
un altro ancora. Dalla cima si riaffacciò il gigante che brandì
ancora col medesimo movimento l’ascia. Il re represse il terrore
che lo consumava e si arrampicò, fino ad arrivare all’ultima
pietra, ai piedi del mostro. Si tirò su. Alzò lo sguardo. Il
gigante avrebbe potuto schiacciarlo all’istante, invece se ne stava
fermo a fissare il vuoto e ogni tanto agitava l’ascia, sempre con
gli stessi movimenti. Eirik lo attraversò. Era incorporeo.
I
Vichinghi, increduli, videro svanire il loro re nella gamba del
mostro e poi lo rividero apparire e far loro cenni gridando: «È
solo un fantasma! Venite, non c’è nessun pericolo».
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