La Galea attraccò nel porto della
colonia Victorum, in
Amentus Magna, quando ormai il tramonto infiammava il cielo. I
motori elettrici rallentarono attenuando l’attività delle turbine
e appena lo scafo sfiorò il pontile potenti rostri idraulici lo
bloccarono. Il clima mite, il verde che accerchiava le mura e l’acqua
tiepida rendevano quel luogo molto simile a Roma, anche se era dalla
parte opposta del Mondo.
Il console Claudio Quinzio sbarcò
scortato da un Manipolo di Pretoriani gentilmente concessi
dall’Imperatore perché vegliassero sulla sua persona durante la
permanenza nel Nuovo Mondo. Ad attenderlo c’era una Centuria
schierata, il Centurione avanzò di un passo e alzò il braccio in
segno di saluto.
«Ave console Quinzio, eravamo in
trepidante attesa del tuo arrivo» disse con voce marziale.
Poi fece un passo di lato lasciando
il campo al tribuno consolare Flaminio Metello, governatore
provvisorio della Colonia. Si trattava di un tipo che era sempre
stato sullo stomaco a Quinzio: viscido, ambizioso, senza scrupoli e
anche senza onore! Un uomo forse adatto a fare il politico a Roma, ma
estremamente deleterio lì, nel Nuovo Mondo.
«Console Claudio, quale immenso
piacere averti con noi. L’Imperatore sa bene quanto il Proconsole e
io siamo riusciti a ben amministrare la Colonia. Presto fonderemo la
prima città. Ho deciso che la chiameremo Raptores e sarà
l’orgoglio di Roma».
«Come sta il proconsole Gracco?»
«Purtroppo devo darti una triste
notizia: il Proconsole è morto. Le ferite riportate durante la vile
imboscata dei pellerossa non gli hanno lasciato scampo».
«Barbari! Avete inflitto loro la
giusta punizione?»
«Abbiamo bruciato tre villaggi. E
tutti quelli che non sono morti in combattimento sono stati
crocifissi. Ma le tribù si stanno alleando e... beh, con sole tre
Legioni non riusciamo più a contenerli».
«Il Proconsole ha sottovalutato il
nemico. Roma sta allestendo una flotta speciale che imbarcherà sette
Legioni, dobbiamo risolvere il problema dei barbari una volta per
tutte per stabilizzare questa nuova Provincia. È il mio incarico e
non fallirò come il mio predecessore».
«Siamo onorati del vigore che porti
da Roma, console Quinzio. Sono sicuro che sotto il tuo comando
schiacceremo i barbari». L’adulazione di Metello produsse una
smorfia di disprezzo sulla faccia di Quinzio. Il Tribuno la notò,
sorrise e tranquillo proseguì. «Ho inviato una Galea a esplorare
le terre a Sud, pare che
là esista un grosso Regno di pellerossa ben più civilizzati di
quelli che combattiamo qui. Forse converrebbe attaccarlo subito,
appena avremo a disposizione le nuove Legioni».
«No. Abbiamo conquistato l’Impero
Cinese solo dopo aver consolidato tutte le Province romane nella
Partia. E anche questa volta faremo lo stesso. Prima ci prenderemo le
terre del Nord, le renderemo forti nonostante siano lontane da
Roma e poi potremo pensare a conquistare quel Regno».
«Sei tu lo stratega e noi abbiamo
piena fiducia in te, lo sai bene».
«Indicami il mio alloggio, devo
riposare. Domani preparerò un piano d’azione».
Il Tribuno, con fare sempre più
mellifluo, gli fece cenno di seguirlo: «Avrai le stanze del
Proconsole, sono le uniche degne del tuo rango. E per domani abbiamo
preparato un convivium in tuo onore».
Il Console non commentò, scortato
dai Pretoriani seguì Metello. La Centuria si mosse marciando in
direzione opposta, verso il castrum.
***
Il deserto illuminato dalla luna
sembrava più freddo di quanto in realtà non fosse. Un crotalo
strisciò sulla sabbia e si fermò sotto un cactus. Percepiva la
presenza della preda e non vedeva l’ora di immobilizzarla col
veleno, per poi divorarla.
Ci fu un lampo. Il gelo divampò per
un raggio di alcuni metri cristallizzando il crotalo e il topo che,
proprio in quel momento, aveva messo la testa fuori dalla tana.
Apparve una bolla sospesa a mezz’aria, divenne sempre più grande,
finché calò cullandosi sul terreno ormai congelato.
Deflagrò.
Il calore ridusse il ghiaccio a un
acquitrino e al posto della bolla restò una nuvola di vapore che si
diradò lentamente svelando due uomini sdraiati l’uno accanto
all’altro, fradici, provati per gli sbalzi di temperatura. Si
rialzarono a fatica.
«Stai bene, Vasiliy?»
«Sto bene, compagno. E tu?»
«Potrei star meglio... Ma ora
controlla l’attrezzatura».
Vasiliy allungò la mano proprio
dietro di sé. Prese una grossa sacca di cuoio, l’aprì ed esaminò
il contenuto. Estrasse due bracciali e ne porse uno al compagno.
Entrambi li indossarono, azionando il pulsante laterale. Si illuminò
un piccolo display e iniziarono a scorrere dati e parametri.
«Sembra sia andata bene: non vedo
anomalie nelle nostre funzioni vitali».
L’altro uomo tirò fuori dalla
sacca uno strumento triangolare provvisto di asta retrattile
acuminata. Lo avvicinò a terra e l’asta si allungò di scatto
conficcandosi in profondità.
«Sonda attivata» disse. Quindi
estrasse gli ultimi due oggetti contenuti nella sacca: due pistole,
piuttosto tozze, argentee e con la Stella Rossa impressa
sull’impugnatura. Entrambi verificarono i caricatori, le spie
luminose ne confermarono il funzionamento.
Trascorsero alcuni minuti in cui i
due viaggiatori rimasero immobili per recuperare le forze.
«Nikolay...»
«Sì?»
«Quanto ci mette la sonda a
identificare questa Terra? Non voglio fare la fine di Andrey e
Leronim».
«Hanno fatto la fine che
meritavano... volevano fuggire dal Soviet, ma hanno trovato solo la
morte».
«Non continuare a ripetermi la
versione del Partito. I compagni scienziati hanno sbagliato, li hanno
mandati su una Terra piena di piante assassine!»
«I compagni scienziati non
sbagliano, non credere alle storie dei dissidenti» gli replicò
Nikolay mostrando però ben poca convinzione.
La sonda impiegò dieci minuti a
stabilire la posizione, l’epoca e soprattutto l’universo in cui
erano capitati. A ciclo concluso le spie di attività iniziarono a
brillare e Nikolay esultò: «Ecco la lettura! Siamo sulla Terra
giusta. L’Africa è interamente elettrificata dal manufatto alieno,
le forme di vita in tutto il continente sono ridotte quasi a zero».
«E i Romani? A che punto è
l’espansione dell’Impero?»
«C’è qualcosa che non va...
forse siamo finiti troppo in avanti nel tempo...»
«Lo vedi che qualcosa hanno
sbagliato?»
«Non è possibile... i calcoli
erano corretti».
«Di quant’è lo scostamento sulla
linea temporale?»
«Milleottocento anni dopo Cristo,
sempre se qui contano gli anni dalla sua nascita».
«Non nominare quell’uomo!»
«E tu non cominciare col tuo
snervante ateismo da Soviet Supremo! Era comunque un uomo buono!»
«Lo conoscevi?»
«No, ma mi hanno parlato di lui».
«Lo vedi? Anche tu credi alle
storie dei dissidenti. E non venirmi a dire che la Russia era
cristiana ai tempi dello Zar perché vai contro il Partito come
farebbe un fascista qualunque».
«Mia nonna era credente. E anche
mia madre, però di nascosto, perché mio padre si arrabbiava se la
scopriva a pregare».
«Stavo scherzando!» Vasiliy rise
di gusto, ma rendendosi conto che l’amico c’era rimasto male
corresse il tiro «Scusami, era solo per dimostrarti che tutti
abbiamo dei dubbi. Non c’è niente di male. Però, a proposito di
Cristo... mi torna in mente il rapporto della missione precedente. Se
non sbaglio c’era scritto che su questa Terra i Romani hanno scelto
Mitra e contano gli anni dal suo avvento ufficiale nell’Impero, ai
tempi di Costantino. Quindi dovremmo essere più o meno nel
millecinquecento».
«Hai ragione, me n’ero
dimenticato».
Vasiliy sganciò dalla sonda un
elemento a forma di piccola piramide e l’assicurò alla cintura.
«Diamoci da fare, bisogna trovare in fretta il punto preciso per
piazzare il tracciatore
dimensionale. La nostra
posizione attuale è il deserto del Texas. I Romani hanno fondato la
loro Colonia in Louisiana, che di sicuro avrà un altro nome. C’è
molta strada da fare, andiamo».
Nikolay si accorse di avere la
cerniera della tasca aperta, iniziò a frugarsi preoccupato. «Cazzo!
Ho perso le pillole!». Ancora più preoccupato: «Come faccio a
mantenermi idratato?»
«Tieni, le ho portate doppie».
Vasiliy recuperò dalla tasca una manciata di pillole gialle e blu e
gliele porse. «Ci sono anche le Z-92 per decuplicare la resistenza
fisica».
«Grazie».
Nikolay
ne ingoiò subito due. Stessa cosa fece il suo compagno e dopo
qualche minuto l’effetto iniziò a manifestarsi. I muscoli
divennero ipertonici e l’idratazione del corpo raggiunse il novanta
per cento. Probabilmente farmaci di quel genere causavano seri danni
a lungo termine, forse accorciavano la vita. Ma un vantaggio lo
produssero subito: donarono una supervelocità temporanea ai due
esploratori dimensionali, che iniziarono a correre più veloci del
vento, verso la Louisiana.
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