martedì 6 agosto 2024

A quiet place - Day one

 

A quiet place – Day one è il terzo capitolo della saga del silenzio. Detta così sembra qualcosa di formidabile, in realtà è solo una buona idea sfruttata all’esasperazione per ben tre film.

Il primo film mi piacque, la tensione era altissima e il clima di paura faceva tornare in mente Alien. Ma è proprio questo il punto di forza che allo stesso tempo diventa il punto debole: i mostri sono sempre le stesse macchine per uccidere già viste in tanti film, da Alien a Pitch Black fino a Arcadian. Cambia solo il loro aspetto, che comunque è sempre di una creatura che taglia, sbrana, squarta…

L’idea innovativa è che i mostri sono ciechi, ma hanno un udito eccezionale, quindi per sopravvivere bisogna evitare qualsiasi rumore che possa attirarli.

Fare spoiler sui tre film è impossibile, visto che la trama è sempre: state nascosti o vi sentiranno, arriveranno e vi uccideranno.

Il terzo film poteva essere qualcosa di diverso, ci si sarebbe potuti concentrare sul come combattere i mostri. L’apparato militare delle maggiori potenze mondiali, operante da sicuri bunker sotterranei, avrebbe dato spunto per una trama differente e più battagliera.

Oppure si poteva andare sul classico: in molti vecchi film di fantascienza c’era sempre uno scienziato più bravo degli altri che studiava gli extraterrestri, scopriva da dove venivano e scovava il loro punto debole per distruggerli. O magari a risolvere la situazione ci avrebbe pensato l’aitante protagonista… per caso! Come ne Il giorno dei Trifidi, dove le piante assassine venivano annientate dall’acqua di mare.

Il regista di “Un posto tranquillo” (sarebbe bello rivedere i titoli dei film in italiano ogni tanto, per capire meglio di cosa si tratta) ha raccontato in un’intervista l’origine delle creature: provengono da un pianeta avvolto nell’oscurità, che esplose misteriosamente scaraventando le creature nello spazio, protette dai frammenti di roccia. E quei frammenti le hanno portate fin sulla Terra. Anche qui c’è qualcos’altro di rubacchiato da Il giorno dei Trifidi, però girato al contrario. Infatti i mostri vegetali arrivavano con una pioggia di meteore e tutti quelli che avevano assistito alle “stelle cadenti” diventavano ciechi. E pure in Pitch Black il pianeta era al buio e i mostri vedevano comunque le loro prede.

  I mostri sono invulnerabili? No. Sono corazzati ma sensibili alle alte frequenze sonore, che li costringono a esporre parti vulnerabili nascoste sotto il cranio… e se colpiti in quei punti vengono uccisi. Inoltre non sanno nuotare, per cui annegano in acqua. È strano che con due punti deboli così eclatanti e l’arsenale di armi in possesso all’umanità (aerei, carri armati, navi, missili e droni) in tutti e tre i film sia sparita la componente militare. I mostri sono corazzati ma non riescono a perforare le corazze? Quindi ai militari gli fanno un baffo! Questa incoerenza c’è anche in Arcadian, che è un film per certi aspetti copiato da A Quiet place.

In definitiva la trama ha come unico obiettivo rendere credibili le bestie feroci che si pappano i terrestri. Avrebbero potuto essere i velociraptor di Spielberg, la differenza non si sarebbe notata un granché.

giovedì 1 agosto 2024

Pianeta Archon

 

 


 

Quando gli esuli della Terra arrivarono, Zeist avvertì la loro presenza. Li sentì avvicinarsi nello spazio. Vide che viaggiavano a bordo di uno strano ammasso metallico e li osservò mentre entravano in orbita attorno al suo mondo. Attese per capire quali fossero le loro intenzioni, quindi per qualche giorno non successe niente.

Percepì che stavano raccogliendo informazioni biologiche e ambientali. Immaginò che fossero esploratori.

Fu preso dalla frenesia, voleva a tutti i costi esplorare l’universo e questi esseri erano in grado di farlo. Un tempo ci aveva provato, aveva tentato di vedere più da vicino le stelle. Purtroppo non era riuscito ad andare molto lontano perché le sue unità Zeist, appena si allontanavano dall’insieme Zeist, morivano.

Da quel giorno triste aveva capito di essere legato in modo totale al suo mondo e si era convinto di non poter conoscere l’ignoto come avrebbe voluto. Adesso, però, per un incredibile colpo di fortuna, l’ignoto era venuto a cercarlo.

Rifletté meglio sui visitatori, non erano come lui e assomigliavano agli altri che in passato erano venuti, avevano sorvolato il pianeta e non erano scesi. Non gli avevano dato la possibilità di comunicare e lui si era molto dispiaciuto.

Come allora, anche in quel momento avvertiva una moltitudine di menti indipendenti affollate nell’ammasso. Si chiese come facessero ad andare d’accordo, senza rischiare di disturbarsi a vicenda, visto che ognuno aveva pensieri propri.

Passarono altri giorni e la sua curiosità crebbe. Purtroppo i visitatori si mantenevano nello spazio stando fuori dal suo raggio d’azione. A quella distanza percepiva le loro menti, ma non riusciva a leggere i loro pensieri.

Zeist era solo da sempre. E quella moltitudine di altri accese la sua eccitazione.

Erano una novità che a lui interessava molto, perché finalmente avrebbe potuto confrontarsi con un diverso modello di intelligenza.

Decise di agire.

Si avvicinò ai visitatori utilizzando gli Zeist che aveva costruito per esplorare lo spazio. Erano rossi scarlatti e avevano un corpo durissimo, resistente al vuoto assoluto, ali ricurve adatte al rientro nell’atmosfera e pinne longitudinali nella parte anteriore, per mantenere l’assetto in volo.

Con queste unità, Zeist si avvicinò all’ammasso in orbita, si fermò a distanza di sicurezza e fu certo di essere stato individuato perché sentì che là dentro parlavano di lui. Non fu intrapresa però alcuna azione concreta nei suoi confronti, per cui, con molta cautela, cominciò a leggere i loro pensieri.

Ricavò notizie essenziali in pochi attimi. L’ammasso metallico era un’astronave da carico: il Conestoga C-723, un vascello inadatto a uno sbarco e, soprattutto, inadeguato a trasportare passeggeri, tuttavia molto più facile da rubare rispetto alle gigantesche navi turistiche. Di tutte queste parole assimilò in fretta il significato grazie alle immagini che attraversavano le menti che stava analizzando. Capì che il vascello era stato rubato a una compagnia mercantile e utilizzato per la fuga. Non comprese da cosa stessero fuggendo perché in quel momento erano tutti concentrati sullo studio del suo mondo.

Qualcuno memorizzò le informazioni trasmesse da una macchina.

Sistema stellare triplo Alfa Centauri… stella nana rossa Proxima Centauri… pianeta Proxima 2 classificato come Archon… unico pianeta con caratteristiche simili alla Terra… risultati delle analisi dell’atmosfera… respirabile ma con sostanze moderatamente tossiche… necessario l’uso di maschere a filtro”.

Ormai, grazie alla comparazione dei pensieri e delle immagini lette nelle menti dei visitatori, Zeist aveva decifrato il loro modo di comunicare. Si chiamava linguaggio, avveniva mediante suoni e usciva da una cosa chiamata bocca.

All’improvviso ci fu un rumore secco, seguito dal fragore continuo dei motori in accensione. Zeist si spaventò e d’istinto tornò sul pianeta. Cominciò a diffidare dei visitatori e decise che se fossero scesi sarebbe rimasto nascosto, a osservarli.

Così fece, ma con lo sguardo puntato al cielo, aspettando l’arrivo. Non aveva considerato l’idea che i visitatori potessero danneggiarlo, non ci aveva nemmeno pensato. Eppure essi potevano anche arrivare con intenzioni ostili. Quindi decise che se fosse stato necessario, si sarebbe difeso.

Dalle nuvole sbucò l’enorme astronave che subito azionò una serie di razzi frenanti per tentare l’atterraggio. Il sibilo che accompagnava la discesa era impressionante. Dovevano essersi resi conto di non avere altra scelta e sapevano che anche se la manovra fosse riuscita, la nave non sarebbe più potuta ripartire, quindi erano destinati a restare per sempre sul pianeta o a morire nel tentativo di atterraggio.

Zeist li osservò con curiosità. Erano dei pazzi! Non avevano certo dei corpi-copia al sicuro da qualche parte in cui continuare a pensare. Se fossero morti, la loro esistenza sarebbe finita quel giorno. Fu inorridito da quel pensiero, lui non avrebbe mai rischiato tanto.

L’astronave scese sempre più lentamente fino ad arrivare quasi a fermarsi, sospesa a poche decine di metri dalla superficie con il fragore dei motori ormai divenuto insopportabile. Fu una lotta disperata contro la gravità. I getti di carburante incandescente dei razzi la contrastarono finché poterono, ma alla fine furono vinti e l’astronave precipitò, schiantandosi al suolo. Ci fu un forte boato, la struttura cedette, le lamiere si contorsero e si sollevò tanta polvere.

Quando essa si disperse, il silenzio calò sul relitto.


***


Larsson aprì il portello. Per la precisione, lo fece saltare, perché i comandi di apertura erano bloccati. L’aria esterna entrò nei corridoi e saturò l’ambiente. Si voltò verso i suoi compagni: «Ragazzi, indossate le maschere a filtro e non tenete in vista le armi, ci sono almeno venti creature là fuori, non voglio che ci considerino ostili. Però occhi aperti…».

Lentamente uscirono. Si guardarono intorno. Il cielo era coperto da una fitta coltre di nubi verdi che Proxima Centauri riusciva appena a passare con la sua luce arancione. Tutto intorno non si vedevano montagne, c’era solo un’immensa pianura su cui torreggiavano giganteschi vegetali dai tronchi contorti che s’intrecciavano formando figure abbastanza tetre. A varie altezze e sulla loro sommità si ergevano piattaforme ricche di materiale bianco che, visto da lontano, pareva soffice e caldo.

«Sembrano enormi funghi» disse l’uomo accanto a Larsson.

«Già. Non avevo mai visto un ambiente più alieno di questo».

«Non avevi mai visto un ambiente alieno, punto. Non ti sei mai mosso dalla Terra.»

«Intendevo dire neppure negli olofilm. Hai visto dove sprofondano i tuoi funghi?».

Larsson fece qualche passo verso il più vicino, almeno a un centinaio di metri da loro. Entrava dentro un cratere immenso e anche gli altri, più indietro, spuntavano da crateri simili.

Attaccati alle cortecce e al terreno, ben saldi come se avessero forti radici, c’erano strani palloni semitrasparenti, mollicci e pieni di venature rosse, parevano contenere un fluido.

«Quella là dentro sarà acqua?»

«Se ci sono i vegetali, l’acqua c’è per forza. E se sta là dentro sarà più facile prenderla».

Larsson indicò il lungo solco alla loro destra. Si avviarono per indagare. Appena lo raggiunsero capirono di essere sull’orlo di una voragine. Forse si trattava di un fiume e l’acqua scorreva proprio là in fondo, a chissà quale profondità. Ossian alzò lo sguardo sull’orizzonte e vide altri solchi che s’intersecavano tra loro, alla maniera di una fitta rete di canali, con in mezzo crateri e funghi colossali. Tutto era avvolto in una leggera nebbia.

«Ossian, puoi aggiornarmi sulla situazione?» fu la richiesta via comunicatore, dal relitto.

«Ancora non abbiamo stabilito alcun contatto con gli alieni, Zac. E più mi guardo in giro e più rimpiango la Terra. Qui il villaggio vacanze è veramente brutto».

«Non avevamo molta scelta, mi pare».

«Vero. Speriamo almeno che il gioco valga la candela».

«Siamo vivi. Questo è già abbastanza per me».

D’un tratto, Larsson s’accorse della creatura che lo osservava a una distanza di circa dieci metri. Stava dritta davanti a lui e gli puntava addosso i suoi sei occhi; avvertì subito la presenza di altre creature simili, in avvicinamento alla prima.

«Abbiamo visite» disse uno dei suoi compagni. E fece per estrarre la pistola dalla fondina.

«Fermo!» lo bloccò Larsson.

Le creature emersero completamente dalla nebbia. Erano aracnidi alti tre metri, con una grossa testa piatta, il busto era solo un pretesto per tenerci attaccate sei gambe, anzi, quattro erano di sicuro gambe, mentre le altre due, le anteriori, sembravano braccia. Un particolare lo colpì: non avevano la bocca e non c’era niente di alternativo che ne facesse la funzione.

Eppure, nonostante l’aspetto mostruoso, fu sicuro di non avere di fronte delle bestie. Osservò quegli occhi che lo guardavano e in quello sguardo riconobbe un inconfondibile guizzo di intelligenza. Si fece coraggio e cercò di stabilire un contatto.

«Veniamo in pace…» annunciò. «Forse non comprendete la mia lingua, ma spero che in qualche modo si possa comunicare. Vogliamo solo diventare vostri amici».

Non ci fu nessuna reazione, gli aracnidi rimasero immobili.

A Zeist i suoni emessi dal brutto alieno diedero fastidio. Comprendeva ogni cosa, ma un conto era sentire dialoghi lontani e un altro era sentirli così da vicino. Non riusciva a sopportarli.

Entrò nella mente dell’alieno e lì trovò paura, tensione e avversione per il suo aspetto. Non si stupì, anche loro non erano certo piacevoli da guardare. Continuò a curiosare finché si accorse dello stupore che causava. L’alieno si era reso conto dell’intrusione, era disorientato… e allora Zeist si ritrasse, perché temette di fargli del male. Decise di tornare nella sua mente, ma solo per iniziare la comunicazione.

Avete armi, volete usarle contro di me?pensò l’alieno.

Larsson sentì arrivare la voce come fosse portata dal vento. Fu un contatto tanto strano che per un momento ne restò turbato. Poi riconobbe il primo approccio telepatico e si sforzò di pensare un discorso, lo scandì ben chiaro, meglio che poté.

Noi veniamo dal pianeta Terra. Siamo fuggitivi. Laggiù non c’è più posto per noi, per via delle nostre idee che contrastano con quelle di un regime terribile. Restare avrebbe significato non avere un futuro e forse morire. Per questo motivo siamo venuti qui. Siamo stati costretti. Abbiamo le armi, è vero, ma non le useremo… ti chiediamo ospitalità. Siamo in pochi e abbiamo solo bisogno di un piccolo spazio per insediare una colonia”.

Guardò preoccupato i ragni e questi non si mossero di un millimetro. Temette di non essersi spiegato bene e lo temettero anche gli altri Umani. L’uomo accanto gli mise una mano sulla spalla: «Chi ci dice che non ci faranno a pezzi, Ossian? Sarà meglio indietreggiare finché siamo in tempo».

Zeist ebbe un sussulto, i ragni s’irrigidirono e un nuovo messaggio arrivò nelle menti del gruppo: “Pensate, non parlate. C’è una distorsione nella vostra voce che non sopporto”.

Va bene, va bene. Così va meglio?” pensò Larsson.

Sì, molto meglio”.

Puoi dare una risposta alla mia richiesta d’asilo?”.

La risposta arrivò.

E non fu diretta solo a lui, arrivò in tutte le menti umane nello stesso istante.“Zeist ha trovato nuovi amici! Potete restare a patto che io impari da voi ciò che conoscete, a modo mio”.


***


I Terrestri cominciarono a scendere dal Conestoga, a scaricare le loro cose e a curare coloro che si erano feriti durante il naufragio. In tutto scesero dal relitto novecentottanta persone.

Zeist li aveva accolti ed era divorato dalla curiosità. Aveva la possibilità di accrescere la sua conoscenza, era entrato in contatto con esseri sconosciuti, stranissimi, completamente diversi da lui, ed erano a sua completa disposizione.

Iniziò subito. Si mise a leggere i pensieri di uno di loro, poi di un altro e poi un altro ancora. Aumentò la velocità di lettura, diventarono cinquanta, cento, duecento. Alla fine entrò in tutte le menti disponibili e assimilò notizie con sempre maggiore bramosia.

Accumulò una quantità incredibile di informazioni sulla Terra e sugli uomini, e anche sulle donne… L’esistenza di due tipi di Umani, molto diversi tra loro, lo lasciò colmo di stupore. E scoprì che queste due unità così diverse avevano bisogno l’uno dell’altra, ma non come gli Zeist, per creare un collettivo. Il loro obiettivo era completarsi a vicenda, pur rimanendo individui indipendenti. Questo concetto non gli era ancora del tutto chiaro, però si ripromise di approfondirlo. Aveva già capito come facevano i Terrestri a riprodursi e perché alcuni di quelli che scendevano dall’astronave fracassata erano più piccoli degli altri, li chiamavano bambini. In pratica, concluse che si trattava di piccoli uomini in fase di costruzione.

Pensò con soddisfazione che avrebbe avuto molto da fare negli anni successivi.

 

Il romanzo è disponibile su Amazon in ebook e cartaceo