Quando
gli esuli della Terra arrivarono, Zeist avvertì la loro presenza. Li
sentì avvicinarsi nello spazio. Vide che viaggiavano a bordo di uno
strano ammasso metallico e li osservò mentre entravano in orbita
attorno al suo mondo. Attese per capire quali fossero le loro
intenzioni, quindi per qualche giorno non successe niente.
Percepì
che stavano raccogliendo informazioni biologiche e ambientali.
Immaginò che fossero esploratori.
Fu
preso dalla frenesia, voleva a tutti i costi esplorare l’universo e
questi esseri erano in grado di farlo. Un tempo ci aveva provato,
aveva tentato di vedere più da vicino le stelle. Purtroppo non era
riuscito ad andare molto lontano perché le sue unità Zeist, appena
si allontanavano dall’insieme Zeist, morivano.
Da
quel giorno triste aveva capito di essere legato in modo totale al
suo mondo e si era convinto di non poter conoscere l’ignoto come
avrebbe voluto. Adesso, però, per un incredibile colpo di fortuna,
l’ignoto
era
venuto
a cercarlo.
Rifletté
meglio sui visitatori, non erano come lui e assomigliavano agli altri
che in passato erano venuti, avevano sorvolato il pianeta e non erano
scesi. Non gli avevano dato la possibilità di comunicare e lui si
era molto dispiaciuto.
Come
allora, anche in quel momento avvertiva una moltitudine di menti
indipendenti affollate nell’ammasso. Si chiese come
facessero ad andare d’accordo,
senza rischiare di disturbarsi a vicenda, visto che ognuno aveva
pensieri propri.
Passarono
altri giorni e la sua curiosità crebbe. Purtroppo i visitatori si
mantenevano nello spazio stando fuori dal suo raggio d’azione. A
quella distanza percepiva le loro menti, ma non riusciva a leggere i
loro pensieri.
Zeist
era solo da sempre. E quella moltitudine di altri
accese la sua eccitazione.
Erano
una novità che a lui interessava molto, perché finalmente avrebbe
potuto confrontarsi con un diverso modello di intelligenza.
Decise
di agire.
Si
avvicinò ai visitatori utilizzando gli Zeist che aveva costruito per
esplorare lo spazio. Erano rossi scarlatti e avevano un corpo
durissimo, resistente al vuoto assoluto, ali ricurve adatte al
rientro nell’atmosfera e pinne longitudinali nella parte anteriore,
per mantenere l’assetto in volo.
Con
queste unità, Zeist si avvicinò all’ammasso in orbita, si fermò
a distanza di sicurezza e fu certo di essere stato individuato perché
sentì che là dentro parlavano di lui. Non fu intrapresa però
alcuna azione concreta nei suoi confronti, per cui,
con
molta cautela, cominciò a leggere i loro pensieri.
Ricavò
notizie essenziali in pochi attimi. L’ammasso metallico era
un’astronave da carico: il Conestoga
C-723,
un vascello inadatto a uno sbarco e, soprattutto, inadeguato a
trasportare passeggeri, tuttavia molto più facile da rubare rispetto
alle gigantesche navi turistiche. Di tutte queste parole assimilò in
fretta il significato grazie alle immagini che attraversavano le
menti che stava analizzando. Capì che il vascello era stato rubato a
una compagnia mercantile e utilizzato per la fuga. Non comprese da
cosa stessero fuggendo perché in quel momento erano tutti
concentrati sullo studio del suo mondo.
Qualcuno
memorizzò le informazioni trasmesse da una macchina.
“Sistema
stellare triplo Alfa Centauri… stella nana rossa Proxima Centauri…
pianeta Proxima 2 classificato come Archon… unico pianeta con
caratteristiche simili alla Terra… risultati delle analisi
dell’atmosfera… respirabile ma con sostanze moderatamente
tossiche… necessario l’uso di maschere a filtro”.
Ormai,
grazie alla comparazione dei pensieri e delle immagini lette nelle
menti dei visitatori, Zeist aveva decifrato il loro modo di
comunicare. Si chiamava linguaggio, avveniva mediante suoni e usciva
da una cosa chiamata bocca.
All’improvviso
ci fu un rumore secco, seguito dal fragore continuo dei motori in
accensione. Zeist si spaventò e d’istinto tornò sul pianeta.
Cominciò a diffidare dei visitatori e decise che se fossero scesi
sarebbe rimasto nascosto, a osservarli.
Così
fece, ma con lo sguardo puntato al cielo, aspettando l’arrivo. Non
aveva considerato l’idea che i visitatori potessero danneggiarlo,
non ci aveva nemmeno pensato. Eppure essi potevano anche arrivare con
intenzioni ostili. Quindi decise che se fosse stato necessario, si
sarebbe difeso.
Dalle
nuvole sbucò l’enorme astronave che subito azionò una serie di
razzi frenanti per tentare l’atterraggio. Il sibilo che
accompagnava la discesa era impressionante. Dovevano essersi resi
conto di non avere altra scelta e sapevano che anche se la manovra
fosse riuscita, la nave non sarebbe più potuta ripartire, quindi
erano destinati a restare per sempre sul pianeta o a morire nel
tentativo di atterraggio.
Zeist
li osservò con curiosità. Erano dei pazzi! Non avevano certo dei
corpi-copia al sicuro da qualche parte in cui continuare a pensare.
Se fossero morti, la loro esistenza sarebbe finita quel giorno. Fu
inorridito da quel pensiero, lui non avrebbe mai rischiato tanto.
L’astronave
scese sempre più lentamente fino ad arrivare quasi a fermarsi,
sospesa a poche decine di metri dalla superficie con il fragore dei
motori ormai divenuto insopportabile. Fu una lotta disperata contro
la gravità. I getti di carburante incandescente dei razzi la
contrastarono finché poterono, ma alla fine furono vinti e
l’astronave precipitò, schiantandosi al suolo. Ci fu un forte
boato, la struttura cedette, le lamiere si contorsero e si sollevò
tanta polvere.
Quando
essa si disperse, il silenzio calò sul relitto.
***
Larsson
aprì il portello. Per la precisione, lo fece saltare, perché i
comandi di apertura erano bloccati. L’aria esterna entrò nei
corridoi e saturò l’ambiente. Si voltò verso i suoi compagni:
«Ragazzi, indossate le maschere a filtro e non tenete in vista le
armi, ci sono almeno venti creature là fuori, non voglio che ci
considerino ostili. Però occhi aperti…».
Lentamente
uscirono. Si guardarono intorno. Il cielo era coperto da una fitta
coltre di nubi verdi che Proxima Centauri riusciva appena a passare
con la sua luce arancione. Tutto intorno non si vedevano montagne,
c’era solo un’immensa pianura su cui torreggiavano giganteschi
vegetali dai tronchi contorti che s’intrecciavano formando figure
abbastanza tetre. A varie altezze e sulla loro sommità si ergevano
piattaforme ricche di materiale bianco che, visto da lontano, pareva
soffice e caldo.
«Sembrano
enormi funghi» disse l’uomo accanto a Larsson.
«Già.
Non avevo mai visto un ambiente più alieno di questo».
«Non
avevi mai visto un ambiente alieno, punto. Non ti sei mai mosso dalla
Terra.»
«Intendevo
dire neppure negli olofilm. Hai visto dove sprofondano i tuoi
funghi?».
Larsson
fece qualche passo verso il più vicino, almeno a un centinaio di
metri da loro. Entrava dentro un cratere immenso e anche gli altri,
più indietro, spuntavano da crateri simili.
Attaccati
alle cortecce e al terreno, ben saldi come se avessero forti radici,
c’erano strani palloni
semitrasparenti,
mollicci e pieni di venature rosse, parevano contenere un fluido.
«Quella
là dentro sarà acqua?»
«Se
ci sono i vegetali, l’acqua c’è per forza. E se sta là dentro
sarà più facile prenderla».
Larsson
indicò il lungo solco alla loro destra. Si avviarono per indagare.
Appena lo raggiunsero capirono di essere sull’orlo di una voragine.
Forse si trattava di un fiume e l’acqua scorreva proprio là in
fondo, a chissà quale profondità. Ossian alzò lo sguardo
sull’orizzonte e vide altri solchi che s’intersecavano tra loro,
alla maniera di una fitta rete di canali, con in mezzo crateri e
funghi colossali. Tutto era avvolto in una leggera nebbia.
«Ossian,
puoi aggiornarmi sulla situazione?»
fu la richiesta via comunicatore, dal relitto.
«Ancora
non abbiamo stabilito alcun contatto con gli alieni, Zac. E più mi
guardo in giro e più rimpiango la Terra. Qui il villaggio vacanze è
veramente brutto».
«Non
avevamo molta scelta, mi pare».
«Vero.
Speriamo almeno che il gioco valga la candela».
«Siamo
vivi. Questo è già abbastanza per me».
D’un
tratto, Larsson s’accorse della creatura che lo osservava a una
distanza di circa dieci metri. Stava dritta davanti a lui e gli
puntava addosso i suoi sei occhi; avvertì subito la presenza di
altre creature simili, in avvicinamento alla prima.
«Abbiamo
visite» disse uno dei suoi compagni. E fece per estrarre la pistola
dalla fondina.
«Fermo!»
lo bloccò Larsson.
Le
creature emersero completamente dalla nebbia. Erano aracnidi alti tre
metri, con una grossa testa piatta, il busto era solo un pretesto per
tenerci attaccate sei gambe, anzi, quattro erano di sicuro gambe,
mentre le altre due, le anteriori, sembravano braccia. Un particolare
lo colpì: non avevano la bocca e non c’era niente di alternativo
che ne facesse la funzione.
Eppure,
nonostante l’aspetto mostruoso, fu sicuro di non avere di fronte
delle bestie. Osservò quegli occhi che lo guardavano e in quello
sguardo riconobbe un inconfondibile guizzo di intelligenza. Si fece
coraggio e cercò di stabilire un contatto.
«Veniamo
in pace…» annunciò. «Forse non comprendete la mia lingua, ma
spero che in qualche modo si possa comunicare. Vogliamo solo
diventare vostri amici».
Non
ci fu nessuna reazione, gli aracnidi rimasero immobili.
A
Zeist i suoni emessi dal brutto alieno diedero fastidio. Comprendeva
ogni cosa, ma un conto era sentire dialoghi lontani e un altro era
sentirli così da vicino. Non riusciva a sopportarli.
Entrò
nella mente dell’alieno e lì trovò paura, tensione e avversione
per il suo aspetto. Non si stupì, anche loro non erano certo
piacevoli da guardare. Continuò a curiosare finché si accorse dello
stupore che causava. L’alieno si era reso conto dell’intrusione,
era disorientato… e allora Zeist si ritrasse, perché temette di
fargli del male. Decise di tornare nella sua mente, ma solo per
iniziare la comunicazione.
“Avete
armi, volete usarle contro di me?”
pensò
l’alieno.
Larsson
sentì arrivare la voce come fosse portata dal vento. Fu un contatto
tanto strano che per un momento ne restò turbato. Poi riconobbe il
primo approccio telepatico e si sforzò di pensare un discorso, lo
scandì ben chiaro, meglio che poté.
“Noi
veniamo dal pianeta Terra. Siamo fuggitivi. Laggiù non c’è più
posto per noi, per via delle nostre idee che contrastano con quelle
di un regime terribile. Restare avrebbe significato non avere un
futuro e forse morire. Per questo motivo siamo venuti qui. Siamo
stati costretti.
Abbiamo
le armi, è vero, ma non le useremo… ti chiediamo ospitalità.
Siamo in pochi e abbiamo solo bisogno di un piccolo spazio per
insediare una colonia”.
Guardò
preoccupato i ragni e questi non si mossero di un millimetro. Temette
di non essersi spiegato bene e lo temettero anche gli altri Umani.
L’uomo accanto gli mise una mano sulla spalla: «Chi ci dice che
non ci faranno a pezzi, Ossian? Sarà meglio indietreggiare finché
siamo in tempo».
Zeist
ebbe un sussulto, i ragni s’irrigidirono e un nuovo messaggio
arrivò nelle menti del gruppo: “Pensate,
non parlate. C’è una distorsione nella vostra voce che non
sopporto”.
“Va
bene, va bene. Così va meglio?”
pensò Larsson.
“Sì,
molto meglio”.
“Puoi
dare una risposta alla mia richiesta d’asilo?”.
La
risposta arrivò.
E
non fu diretta solo a lui, arrivò in tutte le menti umane nello
stesso istante.“Zeist
ha trovato nuovi amici! Potete restare a patto che io impari da voi
ciò che conoscete, a modo mio”.
***
I
Terrestri cominciarono a scendere dal Conestoga,
a scaricare le loro cose e a curare coloro che si erano feriti
durante il naufragio. In tutto scesero dal relitto novecentottanta
persone.
Zeist
li aveva accolti ed era divorato dalla curiosità. Aveva la
possibilità di accrescere la sua conoscenza, era entrato in contatto
con esseri sconosciuti, stranissimi, completamente diversi da lui, ed
erano a sua completa disposizione.
Iniziò
subito. Si mise a leggere i pensieri di uno di loro, poi di un altro
e poi un altro ancora. Aumentò la velocità di lettura, diventarono
cinquanta, cento, duecento. Alla fine entrò in tutte le menti
disponibili e assimilò notizie con sempre maggiore bramosia.
Accumulò
una quantità incredibile di informazioni sulla Terra e sugli uomini,
e anche sulle donne… L’esistenza di due tipi di Umani, molto
diversi tra loro, lo lasciò colmo di stupore. E scoprì che queste
due unità così diverse avevano bisogno l’uno dell’altra, ma non
come gli Zeist, per creare un collettivo. Il loro obiettivo era
completarsi a vicenda, pur rimanendo individui indipendenti. Questo
concetto non gli era ancora del tutto chiaro, però si ripromise di
approfondirlo. Aveva già capito come facevano i Terrestri a
riprodursi e perché alcuni di quelli che scendevano dall’astronave
fracassata erano più piccoli degli altri, li chiamavano bambini.
In pratica, concluse che si trattava di piccoli uomini in fase di
costruzione.
Pensò
con soddisfazione che avrebbe avuto molto da fare negli anni
successivi.
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