Abilene
era una cittadina in cui non ci si annoiava mai. Negli ultimi tempi
l’avevano animata violente sparatorie, dove diversi uomini di legge
avevano concluso la loro giornata stesi a terra e appesantiti dal
piombo.
Il
carico d’oro in arrivo da Fort Scott attirava sicuramente i
peggiori ceffi del Kansas come api sul miele, ma lo sceriffo Wild
Bill Hickok non se ne preoccupava più di tanto.
Quella
mattina tenne sotto controllo la strada davanti alla banca
accarezzando le sue Colt Navy. Gli aiutanti, dietro di lui,
imbracciavano nervosi il Winchester e masticavano tabacco.
Il
carro arrivò mezz’ora più tardi scortato da dieci soldati a
cavallo e si fermò davanti a loro. Hickok si guardò intorno:
sembrava tutto tranquillo, troppo tranquillo.
«Liscio
come l’olio, sceriffo!» disse il sergente mentre smontava dalla
sella.
«Può
darsi, ma occhi aperti. I pendagli da forca non mancano e quell’oro
fa gola. Verranno, anche se per prenderlo, rischiano di suicidarsi».
La
porta di legno della banca si aprì e ne uscirono due impiegati.
Hickok li guardava accarezzandosi i baffi con le dita. Quelli là,
lui, non li considerava uomini.
Stavano dietro una scrivania e maneggiavano solo soldi. Sapeva che
non avevano nemmeno un briciolo di coraggio, altrimenti non si
sarebbero scelti quel lavoro. La loro colpa più grave, era che non
sapevano usare la pistola. Era quello che ai suoi occhi definiva chi
era un uomo e chi invece una donnicciola.
I
due si avvicinarono sotto il suo sguardo schifato, spingendo un buffo
carrellino sul quale cominciarono a caricare i lingotti. Il cocchiere
del carro scese ad aiutarli.
«Il
Signor Bennett la ringrazia per l’aiuto, sceriffo...» dissero
accennando un sorriso.
Hickok
restò impassibile e non rispose; i due spinsero il carrello carico
fino alla porta; qualcuno da dentro aprì e li fece entrare.
La
banda arrivò al galoppo sparando all’impazzata. Probabilmente non
conoscevano l’uomo che si preparava ad affrontarli e non sapevano a
che cosa andavano incontro.
Alcuni
di loro si erano arrampicati sul tetto del Saloon e puntavano i
fucili sul carro e sui soldati.
Non
fecero in tempo a sparare un colpo. Lo sceriffo li vide e aprì
subito il fuoco.
Sparò
in modo alternato, prima con una pistola e poi con l’altra. Ne
colpì uno, che cadde giù dal tetto, poi un altro, che sparì dietro
la grossa insegna del Saloon. Al terzo, colpito in pieno, volò il
cappello. Perse il Winchester e rovinò pesantemente sulla tettoia
dell’edificio. Rotolò per un paio di metri e rimase immobile,
esanime.
Altri
banditi arrivarono a cavallo. Furono subito bersagliati dai soldati
blu. Uno fu disarcionato da una fucilata. Cadde a terra morto e il
suo destriero proseguì nella corsa.
Gli
aiutanti di Hickok spararono decisi senza muoversi dalle loro
posizioni. Prendevano con calma la mira mentre gli avventati
fuorilegge venivano avanti. Molti di questi furono abbattuti mentre
passavano.
Anche
tra i difensori qualcuno si accasciò fulminato dal piombo.
La
sparatoria terminò alla svelta e i banditi si ritirarono come cani
feriti. Il loro attacco, alla fine, aveva portato solo più lavoro al
becchino.
Lo
sceriffo si affrettò a ricaricare le sue Colt: non era il momento di
rilassarsi. Intimò al suo vice di riunire gli uomini per controllare
la situazione nella banca. Uno dei suoi era ferito e zoppicava,
mentre tra i soldati c’erano stati due morti; ma era un problema
del sergente e non ci si soffermò.
La
scena che si trovò di fronte Wild Bill Hickok quando entrò nella
banca lo sorprese parecchio: da una parte c’erano tutti gli
impiegati con le mani alzate che guardavano nella stessa direzione e
dall’altra un bandito col volto nascosto dalla bandana e la pistola
in pugno che li teneva sotto mira.
Ai
suoi piedi, in una sacca, c’era tutto l’oro... che stava
rimpicciolendo. Era una cosa assurda. Hickok sgranò gli occhi
convinto di sognare. Scosse la testa, poi si rese conto che quello
che vedeva succedeva realmente. Il bandito teneva nella mano sinistra
qualcosa di simile a una lanterna e la luce che irradiava sul giallo
metallo lo faceva diminuire di volume. Era già diventato abbastanza
piccolo e leggero da poter essere trasportato da una sola persona.
Lo
sceriffo si riprese dallo stupore, ma intanto aveva perso quei due o
tre secondi che bastarono al bandito per raccogliere la sacca e
fuggire.
Si
slanciò verso una porta in fondo alla stanza. Hickok estrasse le sue
pistole e sparò ma lo mancò per un pelo, cosa che gli accadeva di
rado. Il fuorilegge chiuse con violenza la robusta porta di legno
dietro di sé.
«Cosa
c’è di là? Un’altra uscita?» chiese Hickok al bancario
tremante che rispose balbettando:
«Que...
quella è la stanza delle scope...»
«Apri
la porta!» tuonò lo sceriffo al suo aiutante, mentre teneva le
pistole spianate.
Il
vice, con la fronte imperlata di sudore, girò con prudenza la
maniglia e spalancò l’uscio. Era sicuro che quello all’interno,
vistosi perso, avrebbe vomitato tutto il fuoco possibile dalla sua
pistola.
Wild
Bill Hickok sparò all’impazzata numerosi colpi. Il fumo delle Colt
che offuscava i suoi occhi di ghiaccio si diradò; ripose
l’artiglieria nel fodero e si accarezzò i lunghi baffi.
«Per
mille bottiglie di whiskey, ma qui non c’è nessuno!»
Una
piccola sfera metallica stava nell’angolo dello stanzino pieno di
scope e attrezzi da lavoro. Lo sceriffo la notò subito perché aveva
una luce rossa lampeggiante che iniziò a lampeggiare sempre più
velocemente, finché la frequenza fu tanto alta da farla sembrare una
luce continua. Ne seguì un sibilo acuto e poi la sfera deflagrò.
Non
ci fu calore ne distruzione, solo una folata di vento che investì i
presenti. Hickok si guardò intorno e si chiese una cosa sola...
Ma
cosa era successo?
***
Tutte
le volte sentivo quel maledetto senso di nausea, il buio m’inseguiva
anche se avevo fatto il salto.
In
tutti i salti nel tempo c’era sempre l’intervallo, il limbo che
ti rubava altro tempo, che ti faceva stare al buio. Ed io odio il
buio.
Il
tunnel temporale mi stava conducendo all’uscita. Era una sensazione
virtuale, in realtà non mi spostavo nello spazio. Poi finalmente
vidi la luce in fondo a tanta oscurità: era il mio biglietto per il
ritorno a casa. In questa fase avveniva l’unico movimento reale,
verso un’altra zona dell’America.
Chiusi
gli occhi per via del bagliore crescente, li riaprii e mi ritrovai al
sicuro nel covo, le spalle contro il muro e il bottino ai miei piedi.
Ce
l’ho fatta anche questa volta. Ma c’è mancato poco, quel
bastardo sapeva il fatto suo.
Mi
avvicinai al frigo bar, avevo bisogno di una birra. Non sapevo
neppure se la bomba temporale aveva fatto il suo dovere.
Ma
sì, l’aveva fatto di sicuro, quegli aggeggi funzionavano sempre.
Creavano una frattura nella quarta dimensione che impediva un nuovo
viaggio dal punto dell’esplosione fino ai dieci anni precedenti.
Era
un gingillo vietato. Possedevo molti congegni illegali, come, ad
esempio, la mia macchina del tempo spallabile. D’altra parte
anch’io sono molto illegale: sono un ladro!
Raccolsi
la sacca e vuotai il contenuto nel ridimensionatore ionico. Lo misi
in funzione e poi mi buttai pesantemente sulla mia poltrona
preferita. Mi gustai con calma la birra.
***
«L’ha
fatto un’altra volta! Abbiamo la traccia lasciata dalla bomba. Ha
colpito in Kansas, nel 1871».
Il
capitano della cronopolizia sbatté forte il pugno sul tavolo, mentre
la sua squadra lo ascoltava in silenzio.
«Da
quando si sono diffuse quelle dannate diavolerie, è sempre più
difficile prenderli, e questo qui sembra averne una discreta
scorta!».
«Forse
se le costruisce da solo» azzardò un agente.
«Già,
un ladro ingegnere elettronico e forse anche scienziato. Ma anche un
uomo come tutti gli altri! Lo farà uno sbaglio, prima o poi! Giuro
che quel giorno lo inchioderò».
Pieno
di collera, il capitano del distretto 9 della sezione cronopolizia si
lasciò cadere a peso morto sulla sedia mettendosi le mani nei
capelli. Quel ladro gli stava dando troppi grattacapi. Non era il
solito sprovveduto che si attrezza con una macchina del tempo da due
soldi e torna indietro per indovinare i numeri della lotteria. Gente
come quella la sua squadra se la cucinava per colazione. Questo
invece puntava su eventi rischiosi, a volte poco documentati e
impiegava tutta la tecnologia moderna. Prenderlo diventava molto più
difficile.
Eppure
dovevano prenderlo. Si stava prendendo gioco di loro. E questo, al
capitano non andava giù.
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