lunedì 21 gennaio 2019

Ucronia Romana


La Galea attraccò nel porto della colonia Victorum, in Amentus Magna, quando ormai il tramonto infiammava il cielo. I motori elettrici rallentarono attenuando l’attività delle turbine e appena lo scafo sfiorò il pontile potenti rostri idraulici lo bloccarono. Il clima mite, il verde che accerchiava le mura e l’acqua tiepida rendevano quel luogo molto simile a Roma, anche se era dalla parte opposta del Mondo.
Il console Claudio Quinzio sbarcò scortato da un Manipolo di Pretoriani gentilmente concessi dall’Imperatore perché vegliassero sulla sua persona durante la permanenza nel Nuovo Mondo. Ad attenderlo c’era una Centuria schierata, il Centurione avanzò di un passo e alzò il braccio in segno di saluto.
«Ave console Quinzio, eravamo in trepidante attesa del tuo arrivo» disse con voce marziale.
Poi fece un passo di lato lasciando il campo al tribuno consolare Flaminio Metello, governatore provvisorio della Colonia. Si trattava di un tipo che era sempre stato sullo stomaco a Quinzio: viscido, ambizioso, senza scrupoli e anche senza onore! Un uomo forse adatto a fare il politico a Roma, ma estremamente deleterio lì, nel Nuovo Mondo.
«Console Claudio, quale immenso piacere averti con noi. L’Imperatore sa bene quanto il Proconsole e io siamo riusciti a ben amministrare la Colonia. Presto fonderemo la prima città. Ho deciso che la chiameremo Raptores e sarà l’orgoglio di Roma».
«Come sta il proconsole Gracco?»
«Purtroppo devo darti una triste notizia: il Proconsole è morto. Le ferite riportate durante la vile imboscata dei pellerossa non gli hanno lasciato scampo».
«Barbari! Avete inflitto loro la giusta punizione?»
«Abbiamo bruciato tre villaggi. E tutti quelli che non sono morti in combattimento sono stati crocifissi. Ma le tribù si stanno alleando e... beh, con sole tre Legioni non riusciamo più a contenerli».
«Il Proconsole ha sottovalutato il nemico. Roma sta allestendo una flotta speciale che imbarcherà sette Legioni, dobbiamo risolvere il problema dei barbari una volta per tutte per stabilizzare questa nuova Provincia. È il mio incarico e non fallirò come il mio predecessore».
«Siamo onorati del vigore che porti da Roma, console Quinzio. Sono sicuro che sotto il tuo comando schiacceremo i barbari». L’adulazione di Metello produsse una smorfia di disprezzo sulla faccia di Quinzio. Il Tribuno la notò, sorrise e tranquillo proseguì. «Ho inviato una Galea a esplorare le terre a Sud, pare che là esista un grosso Regno di pellerossa ben più civilizzati di quelli che combattiamo qui. Forse converrebbe attaccarlo subito, appena avremo a disposizione le nuove Legioni».
«No. Abbiamo conquistato l’Impero Cinese solo dopo aver consolidato tutte le Province romane nella Partia. E anche questa volta faremo lo stesso. Prima ci prenderemo le terre del Nord, le renderemo forti nonostante siano lontane da Roma e poi potremo pensare a conquistare quel Regno».
«Sei tu lo stratega e noi abbiamo piena fiducia in te, lo sai bene».
«Indicami il mio alloggio, devo riposare. Domani preparerò un piano d’azione».
Il Tribuno, con fare sempre più mellifluo, gli fece cenno di seguirlo: «Avrai le stanze del Proconsole, sono le uniche degne del tuo rango. E per domani abbiamo preparato un convivium in tuo onore».
Il Console non commentò, scortato dai Pretoriani seguì Metello. La Centuria si mosse marciando in direzione opposta, verso il castrum.


***


Il deserto illuminato dalla luna sembrava più freddo di quanto in realtà non fosse. Un crotalo strisciò sulla sabbia e si fermò sotto un cactus. Percepiva la presenza della preda e non vedeva l’ora di immobilizzarla col veleno, per poi divorarla.
Ci fu un lampo. Il gelo divampò per un raggio di alcuni metri cristallizzando il crotalo e il topo che, proprio in quel momento, aveva messo la testa fuori dalla tana. Apparve una bolla sospesa a mezz’aria, divenne sempre più grande, finché calò cullandosi sul terreno ormai congelato.
Deflagrò.
Il calore ridusse il ghiaccio a un acquitrino e al posto della bolla restò una nuvola di vapore che si diradò lentamente svelando due uomini sdraiati l’uno accanto all’altro, fradici, provati per gli sbalzi di temperatura. Si rialzarono a fatica.
«Stai bene, Vasiliy?»
«Sto bene, compagno. E tu?»
«Potrei star meglio... Ma ora controlla l’attrezzatura».
Vasiliy allungò la mano proprio dietro di sé. Prese una grossa sacca di cuoio, l’aprì ed esaminò il contenuto. Estrasse due bracciali e ne porse uno al compagno. Entrambi li indossarono, azionando il pulsante laterale. Si illuminò un piccolo display e iniziarono a scorrere dati e parametri.
«Sembra sia andata bene: non vedo anomalie nelle nostre funzioni vitali».
L’altro uomo tirò fuori dalla sacca uno strumento triangolare provvisto di asta retrattile acuminata. Lo avvicinò a terra e l’asta si allungò di scatto conficcandosi in profondità.
«Sonda attivata» disse. Quindi estrasse gli ultimi due oggetti contenuti nella sacca: due pistole, piuttosto tozze, argentee e con la Stella Rossa impressa sull’impugnatura. Entrambi verificarono i caricatori, le spie luminose ne confermarono il funzionamento.
Trascorsero alcuni minuti in cui i due viaggiatori rimasero immobili per recuperare le forze.
«Nikolay...»
«Sì?»
«Quanto ci mette la sonda a identificare questa Terra? Non voglio fare la fine di Andrey e Leronim».
«Hanno fatto la fine che meritavano... volevano fuggire dal Soviet, ma hanno trovato solo la morte».
«Non continuare a ripetermi la versione del Partito. I compagni scienziati hanno sbagliato, li hanno mandati su una Terra piena di piante assassine!»
«I compagni scienziati non sbagliano, non credere alle storie dei dissidenti» gli replicò Nikolay mostrando però ben poca convinzione.
La sonda impiegò dieci minuti a stabilire la posizione, l’epoca e soprattutto l’universo in cui erano capitati. A ciclo concluso le spie di attività iniziarono a brillare e Nikolay esultò: «Ecco la lettura! Siamo sulla Terra giusta. L’Africa è interamente elettrificata dal manufatto alieno, le forme di vita in tutto il continente sono ridotte quasi a zero».
«E i Romani? A che punto è l’espansione dell’Impero?»
«C’è qualcosa che non va... forse siamo finiti troppo in avanti nel tempo...»
«Lo vedi che qualcosa hanno sbagliato?»
«Non è possibile... i calcoli erano corretti».
«Di quant’è lo scostamento sulla linea temporale?»
«Milleottocento anni dopo Cristo, sempre se qui contano gli anni dalla sua nascita».
«Non nominare quell’uomo!»
«E tu non cominciare col tuo snervante ateismo da Soviet Supremo! Era comunque un uomo buono!»
«Lo conoscevi?»
«No, ma mi hanno parlato di lui».
«Lo vedi? Anche tu credi alle storie dei dissidenti. E non venirmi a dire che la Russia era cristiana ai tempi dello Zar perché vai contro il Partito come farebbe un fascista qualunque».
«Mia nonna era credente. E anche mia madre, però di nascosto, perché mio padre si arrabbiava se la scopriva a pregare».
«Stavo scherzando!» Vasiliy rise di gusto, ma rendendosi conto che l’amico c’era rimasto male corresse il tiro «Scusami, era solo per dimostrarti che tutti abbiamo dei dubbi. Non c’è niente di male. Però, a proposito di Cristo... mi torna in mente il rapporto della missione precedente. Se non sbaglio c’era scritto che su questa Terra i Romani hanno scelto Mitra e contano gli anni dal suo avvento ufficiale nell’Impero, ai tempi di Costantino. Quindi dovremmo essere più o meno nel millecinquecento».
«Hai ragione, me n’ero dimenticato».
Vasiliy sganciò dalla sonda un elemento a forma di piccola piramide e l’assicurò alla cintura. «Diamoci da fare, bisogna trovare in fretta il punto preciso per piazzare il tracciatore dimensionale. La nostra posizione attuale è il deserto del Texas. I Romani hanno fondato la loro Colonia in Louisiana, che di sicuro avrà un altro nome. C’è molta strada da fare, andiamo».
Nikolay si accorse di avere la cerniera della tasca aperta, iniziò a frugarsi preoccupato. «Cazzo! Ho perso le pillole!». Ancora più preoccupato: «Come faccio a mantenermi idratato?»
«Tieni, le ho portate doppie». Vasiliy recuperò dalla tasca una manciata di pillole gialle e blu e gliele porse. «Ci sono anche le Z-92 per decuplicare la resistenza fisica».
«Grazie».
Nikolay ne ingoiò subito due. Stessa cosa fece il suo compagno e dopo qualche minuto l’effetto iniziò a manifestarsi. I muscoli divennero ipertonici e l’idratazione del corpo raggiunse il novanta per cento. Probabilmente farmaci di quel genere causavano seri danni a lungo termine, forse accorciavano la vita. Ma un vantaggio lo produssero subito: donarono una supervelocità temporanea ai due esploratori dimensionali, che iniziarono a correre più veloci del vento, verso la Louisiana.

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