mercoledì 1 giugno 2022

Extraterrestre

 

Immaginare mondi lontani totalmente alieni è difficile. Nei libri come nei film il limite è proprio la fantasia umana. Quando immaginiamo, infatti, abbiamo sempre bisogno di punti di riferimento e ripartire da zero diventa una finestra aperte sul nulla.

Asimov, nel suo Neanche gli Dei, immaginò la specie dei Morbidi divisa in tre tipi di individui: il Razionale, il Paterno e l’Emotiva. Questi si univano in triadi dando origine a un essere di un’altra specie: i Duri. Asimov era piuttosto scarno nelle descrizioni e quindi i suoi mondi, traslati sul grande o sul piccolo schermo avrebbero comunque bisogno dei soliti punti di riferimento che cerchiamo nella fantascienza: tutti riconducibili al “terrestre”.

Il colossal Avatar, successo planetario al botteghino nel 2009 che presto tornerà al cinema col sequel, immagina la luna del gigante gassoso Polifemo come un mondo fiabesco. Su Pandora sembra che la fantasia sia esplosa e lo spettatore rimane abbagliato ma alla fine, anche se ci sono draghi con quattro ali e predatori con sei gambe, tutto quello che si vede passare è molto terrestre. Il cielo è azzurro e la lussureggiante vegetazione è verde. Certo, ci sono enormi rocce sospese a mezz’aria, che però si erano già viste nel fantasy. E i Na’vi? Elfoni azzurri alti tre metri che per usi e costumi somigliano molto ai coraggiosi nativi americani in guerra contro gli invasori europei.

Immaginare un mondo extraterrestre completamente diverso dalla Terra comporterebbe immaginare condizioni ambientali diverse. Quindi le forme di vita sviluppatesi su quel mondo sarebbero prive dei punti di riferimento che ci fanno pensare in modo razionale. E c’è anche il rischio, inventando gli esseri protagonisti della storia, di commettere errori scientifici talmente grossolani da far storcere il naso a più di un esperto.

Eppure, se un mago della fantascienza immaginasse un mondo alieno e i suoi abitanti, assolutamente opposti alla nostra realtà ma perfettamente plausibili, come accoglierebbero l’opera i lettori del libro o gli spettatori al cinema? Secondo me male, perché sia con le parole che con le immagini, c’è sempre bisogno di trasmettere qualcosa di familiare a cui aggrapparsi, mentre ci si addentra nella vicenda.

Per fare un esempio: gli alieni dei vecchi film parlavano la nostra stessa lingua e ciò era ridicolo anche se necessario per far capire agli spettatori cosa stessero dicendo. Nei film moderni, invece, parlano una lingua sconosciuta con i sottotitoli. Ma perché gli alieni dovrebbero comunicare con dei suoni emessi dalla bocca? E perché dovrebbero avere una bocca? Potrebbero non averne bisogno e nutrirsi con la luce della loro stella. Inoltre potrebbero comunicare mutando il colore della pelle, proprio come i nostri camaleonti.

Ho immaginato con sufficiente fantasia? Non abbastanza. Infatti mi sono aggrappato ai soliti punti di riferimento terrestri: la luce del sole come fonte di energia e possibile nutrimento e il camaleonte, animale che considero bizzarro.

È difficile immaginare quello che sicuramente ci meraviglierebbe se potessimo raggiungere anche uno solo dei milioni di mondi abitati in orbita attorno a stelle lontanissime. Ma forse, dopo aver soddisfatto la nostra curiosità, ci sentiremmo come il protagonista della canzone di Eugenio Finardi, Extraterrestre, e vorremmo disperatamente tornare a casa.