domenica 1 ottobre 2023

Un racconto di fantascienza


L'UOMO DI EUROPA

© 2019 Marco Alfaroli

 

 

Anno 2214, Base Scientifica Zeus sulla quarta luna di Giove.

Durante gli scavi per l’ampliamento della Base nel sottosuolo ghiacciato di Europa i minatori trovarono una salma congelata. Dalle analisi allo scanner biotronico risultò appartenere a un essere umano e il calcolo dell’età dei tessuti lo fece risalire a due milioni di anni fa.

La scoperta sbalorditiva rimbalzò dal freddo satellite di Giove direttamente sui media della Terra e ci restò per giorni. Dopo l’uomo di Neanderthal e l’uomo di Cro-Magnon, arrivava l’inaspettato uomo di Europa!

Le sorprese non finirono qui, il corpo fu scongelato in ambiente sterile e un team medico si apprestò a effettuare l’autopsia. Ma pochi minuti prima di intervenire lo trovarono vivo e vegeto in piedi davanti al lettino.

Parlava una lingua incomprensibile e i suoi occhi brillavano come le stelle del cielo. Passeggiò a lungo per i corridoi della Base e gli scienziati inviarono, al centro operativo della NASA, rapporti contraddittori.

Oggi abbiamo perso ogni contatto con Europa. Una missione di salvataggio è in partenza dal primo ormeggio della stazione spaziale e nessuno riesce a immaginare cosa possa essere successo lassù.


***


Anno 2215, l’astronave esplorativa Trantis 3 è appena entrata nell’orbita esterna di Giove e il pilota, Hornet 62, esegue le operazioni per l’avvicinamento alla quarta luna, Europa.

«Computer: ripeti il calcolo della traiettoria, quanto margine di errore abbiamo?»

«Traiettoria perfetta, margine di errore 0,0034».

«È possibile eliminare quello 0,0034?»

«Negativo: il pulviscolo spaziale e la forte attrazione del pianeta impediscono un controllo della rotta superiore al 99,98%».

«Beh, Europa è grande! Dovremmo centrarla comunque, non credi?»

«Non afferro la battuta, Signore».

«Lo so, è perché sei un vecchio modello».

L’attivazione dei motori ausiliari a impulso è repentina e Hornet 62 si schiaccia leggermente nella poltrona per l’accelerazione. Trascorrono altre due ore standard e finalmente la sfera grigiastra piena di striature rossicce si staglia imponente e riempie tutta la vetrata dell’abitacolo.

«Base Zeus da astronave Trantis 3, chiedo il permesso per l’allunaggio».

Nessuna risposta.

È inutile chiedere ancora, dalla Terra ci hanno provato per mesi, ma Hornet è un meticoloso e chiama per altre tre volte. Poi procede verso la superficie, dritto sulla Base.

L’allunaggio è dolce. Il ghiaccio si estende ovunque e la Base è quasi invisibile, dato che si sviluppa nel sottosuolo. A rivelarla sono solo alcune antenne e un boccaporto degno di un sommergibile.

La manovra manuale per i casi d’emergenza permette l’ingresso dall’esterno e Hornet entra. Una volta pressurizzato l’ambiente avanza nei corridoi stranamente poco illuminati per raggiungere il centro di comando. Quasi subito gli vengono incontro due ombre.

«Ragazzi, non mi offendo per la fredda accoglienza che mi avete riservato. D’altra parte so bene che qui fa un po' freddino».

Le ombre avanzano mute, lente e a tratti barcollano. Appena incontrano la poca luce vicino a Hornet rivelano volti assenti con gli occhi privi di pupille.

«Direi che avete dei grossi problemi! Una visita dal medico della Base no?» una rapida occhiata al cartellino identificativo di uno dei due fornisce la risposta: lo zombi è un dottore!

Hornet si ritrae, porta la mano alla fondina e estrae il disintegratore. Lo punta su uno dei due ex uomini, ma si rende conto che non sono pericolosi. Sembrano ebeti erranti, colpiti da chissà quale malattia degenerativa, probabilmente diffusa dall’ospite scongelato. La prima direttiva della sua missione è proprio osservare la quarantena in caso di epidemie. E questo sembra proprio quel caso.

Attiva un trasmettitore sulla cintura e invia il rapporto: «Emissario Hornet 62 a Houston, ho preso contatto con i primi due membri dell’equipaggio di Zeus. Sono stati infettati da un morbo sconosciuto, è importante mantenere la quarantena per evitare assolutamente il contagio». La spia brilla di rosso, il transponder della Trantis non riesce a inviare il segnale. E questo non è bene!

Col bioscanner integrato nella cintura analizza i malati: battito cardiaco assente, calore corporeo dieci gradi Celsius, i fluidi interni sostituiti da una densa linfa grigia. Sono morti che camminano, o forse qualcosa di più: emanano un’energia, convertita dalla cinetica dei loro lenti movimenti, e la emanano in direzione del centro di comando.

Quello è indubbiamente il prossimo obiettivo di Hornet! Qualcuno laggiù capta quell’energia e quel qualcuno può essere soltanto il tizio ritrovato nei ghiacci di Europa, un essere tutt’altro che umano.

***

La Base Zeus contava ventiquattro membri fissi, tutti scienziati e ricercatori. Durante gli scavi di ampliamento si erano aggiunti al gruppo dieci operai trivellatori, lasciati su Europa dal cargo Valley Forge, che avrebbe dovuto tornare a prenderli per riportarli a casa a fine lavori. Poi ci fu il blackout.

Il centro di comando è cambiato molto da quando la Base non è più operativa. Sulla poltrona che un tempo fu del comandante siede l’uomo di Europa: ha capelli lunghi corvini e barba folta nerissima, lo sguardo è penetrante e gli occhi ardono come bracieri. È circondato da zombi che si trascinano tristi al solo scopo di produrre energia cinetica per lui. Eppure, nonostante sia il padrone della Base, non è ancora soddisfatto: l’assimilazione di trentaquattro individui, che prossimamente diventeranno trentacinque, è troppo poco. Europa è solo un avamposto dell’uomo; per avere il controllo totale bisogna raggiungere la casa dell’uomo, la Terra!

Proprio in quel momento entra in sala l’intruso, il terrestre inviato a investigare, la prossima vittima.

«Stai occupando quella poltrona abusivamente, l’intera Base è proprietà del mio pianeta» esordisce deciso Hornet «non so chi tu sia, ma hai praticamente ucciso tutti gli esseri umani qui dentro e ti devo considerare ostile in ogni caso. Anche nel caso che tu abbia diffuso il contagio involontariamente».

L’uomo di Europa si alza dalla poltrona e gli viene incontro. È calmissimo e per niente intimorito dal tono del nuovo arrivato.

«L’arma che porti al fianco non può farmi nulla, i tuoi simili hanno già provato a spararmi. Ma il mio organismo funziona in modo differente dal vostro, anche se nell’aspetto sembro uno di voi in realtà sono diverso. Aggiungerei superiore e invincibile».

«Perché tieni l’illuminazione così bassa?»

«Non temo la luce!» l’uomo di Europa ride di gusto. «Speri in un mio punto debole, tuttavia per tua sfortuna non ne ho. Tengo bassa l’illuminazione solo perché ho la vista estremamente migliore della vostra» si avvicina a una consolle e alza alcune leve. La luce va al massimo.

«Beh, almeno ora tutto è più chiaro» scherza Hornet.

«Sei un individuo interessante. Hai respirato l’aria contaminata dai miei germi, ma sembri immune. Sai da quanto tempo tengo sotto osservazione la gente del pianeta Terra?»

«Da due milioni di anni, suppongo».

«Esatto. Da qui ho assistito all’intera evoluzione della specie e ho assunto di volta in volta l’aspetto dell’ominide di turno, fino al Sapiens».

«E allora?»

«Allora mi serve la tua astronave. Sono molto potente, ma non posso attraversare il nulla».

«Intendi lo spazio cosmico che separa Giove dalla Terra?»

«Sì».

«Ma come, uno potente come te non è in grado di costruirsi un’astronave?»

«No, posso controllare solo la materia organica».

«Buono a sapersi, anche se l’avevo già intuito».

L’uomo di Europa si avvicina a Hornet, gli arriva sul muso e digrigna i denti. La sua espressione diviene quasi bestiale.

«Hai la faccia di uno che ha finito le opzioni e sta per ricorrere alla violenza» scherza ancora Hornet e intanto, dietro le sue spalle, salgono minacciosi strani tentacoli muniti di pungiglione.

«Non sai chi hai di fronte, terrestre. Sei immune, ma ho altri mezzi per ghermire le mie prede».

«Sei una specie di vampiro, è ovvio. Vorrei studiarti, sei una creatura scientificamente rilevante».

Uno, due, tre e poi quattro pungiglioni si conficcano come pugnali nella schiena di Hornet. Ma non esce una goccia di sangue. L’Uomo di Europa è sorpreso… con i tentacoli sonda la sua preda, poi comprende.

«Sei una macchina! Un maledetto robot!»

«Un androide, prego. Non confondermi con quelle ferraglie buone solo a eseguire programmi. Ho un cervello positronico io, che ti credi?»

Un’esplosione fragorosa scuote la Base, attraverso gli oblò si vede la Trantis 3 deflagrare ingoiata da un lampo di luce. Dalla nube di vapori e detriti sfreccia via un piccolo razzo diretto verso la Terra.

«Il Computer aveva ordine di autodistruggersi insieme alla nave se io non fossi rientrato in tempo» sibila Hornet vittorioso «e un avvertimento a stare alla larga, corredato da un dettagliato rapporto della situazione, è stato inviato automaticamente ai miei superiori».

I tentacoli si ritirano e rientrano nelle braccia dell’uomo di Europa, furioso.

«Mettiamoci comodi» prosegue calmo Hornet. «Sono equipaggiato con una pila a fusione atomica che mi dà un’autonomia di cinquemila anni. Abbiamo tante cose da dirci e vorrei sapere chi sei e da dove vieni. Che ne dici, il tempo non manca... cominciamo?».

 

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venerdì 1 settembre 2023

Un racconto di fantascienza

 

 

SALVATE IL SENATO

© 2016 Marco Alfaroli

 

Ernst Dukas alzò gli occhi e guardò il pannello digitale, posto in alto sulla parete, che riportava informazioni in continuo aggiornamento.


Seduta n° 375. Senato di Estralia.

11 Giugno 2196. Ore 10:47.


Controllò il display sul suo bracciale.

Segnava le 10:45. Ebbe una smorfia di disappunto. Il programma doveva essere difettoso, se perdeva il contatto col satellite.

Devo resettare il sistema, pensò. Anzi, forse è meglio che ne richieda la sostituzione.

La sua squadra doveva essere efficiente e sincronizzata. E soprattutto, lui che la comandava, doveva essere il migliore di tutti. Ormai per quel giorno, avrebbe lavorato con un errore di due minuti, ma a fine turno era indispensabile correggere la situazione.

Aggiustò l’auricolare e parlò.

«Capo sicurezza a squadra: prova radio».

«Ottima la prova radio, per Sicurezza 2».

«Roger, Sicurezza 5».

«Bene anche per Sicurezza 9».

Risposero tutti i sedici agenti sparsi nell’edificio. Non aveva dubbi che fossero tutti al proprio posto, erano uomini di cui si fidava ciecamente.

Lui era a capo della sicurezza del Senato. In appoggio aveva un intero distaccamento di polizia e un presidio militare. Tutti insieme assicuravano protezione ai senatori della Repubblica, intenti a legiferare per il bene del Paese.


In quel momento se ne stava impassibile a metà del corridoio, con le spalle quasi a ridosso della parete. Il corridoio era la sua zona e non l’avrebbe abbandonata, salvo che non ci fosse un imprevisto.

Contatto radio e occhio d’aquila! Questo era il suo motto... e aveva sempre funzionato.

Mosse leggermente la testa, scrutando con attenzione il senatore Robida che, accompagnato dal suo staff, attraversava il corridoio, seguito da uno stuolo di giornalisti e fotografi.

Li fissò uno per uno. Avevano tutti un pass ed erano lì perché autorizzati, ma era bene tenere gli occhi aperti. Quante volte era successo che qualcuno si fosse infiltrato con documenti falsi? Accadeva spesso e in quei casi i documenti erano stati sempre falsificati maledettamente bene.

Lui non era certo il tipo che si faceva sorprendere. Aspettava la prossima mossa dei terroristi per minacciare gli eletti dal popolo.

I terroristi: gli Alethei. Ultimamente ne avevano presi parecchi e presto sarebbero iniziati i processi. Gli Alethei, a dire il vero, non avevano ancora ucciso nessuno. Non era chiaro neppure quello che volessero rivendicare, ma i media e il governo avevano sempre parlato di loro come di estremisti e a Dukas non erano mai piaciuti gli estremisti.

La parola Alethei, da quello che aveva studiato a scuola, rimandava al greco e significava rivelazione, verità. Roba di sicuro da fanatici religiosi.

A essere del tutto sinceri neppure i politici piacevano a Dukas: parlavano troppo e di solito non mantenevano quello che promettevano. Ma erano eletti dai cittadini e questo gli bastava. La democrazia era il miglior sistema possibile e a lui spettava il compito di difenderla.

All’improvviso, una spia sul bracciale prese a brillare. C’era un allarme. Guardò il display.


Sicurezza: individuato intruso nel complesso.

Identificato come professor Adam Krynicki, chimico e dissidente legato al movimento estremista degli Alethei.

È probabile che sia in atto un’azione terroristica.

Fermatelo a tutti i costi.


Il messaggio sparì e al suo posto comparve il volto di un uomo anziano, magro, pieno di rughe e con grandi occhi sognanti. Capelli bianchi lunghi e scompigliati gli scendevano fino al collo. Sulla fronte portava occhiali misti, di quelli da laboratorio, provvisti di visori.

Dukas premette immediatamente il pulsante radio sull’auricolare.

«Ricevuto. Datemi l’ultima posizione».


È stato rilevato nell’atrio. Dispone di equipaggiamento Shapeshifter e può avere l’aspetto di chiunque.

Accendete i lettori di DNA.

Vi trasmettiamo il codice con telenet.


«A tutti gli agenti: convergete sull’intruso e bloccatelo!» gridò Dukas agli altri. «Attivate i lettori di DNA!»

Lettori di DNA! Erano vietati perché diffondevano radiazioni gamma. Eppure, nei casi di sicurezza nazionale, sul loro impiego calava il segreto di Stato. D’altra parte, erano quei maledetti terroristi che ricorrevano a tecnologie sempre più sofisticate per i loro attacchi. Gli agenti dello Stato dovevano essere all’altezza per controbatterli. E chi picchia duro è sempre quello che vince. Di questo era sicuro Dukas.

Raggiunse il senatore Robida.

«Senatore, deve avviarsi verso l’uscita e abbandonare il Senato. Temiamo un attentato».

Il senatore apparve sorpreso ma non spaventato.

«Non fuggo davanti a chi minaccia il mio Paese. Che figura farei se, davanti a un gruppo di violenti che profanano la casa democratica dei cittadini, battessi in ritirata? Sono sicuro che gestirete la situazione con professionalità».

«Se non si metterà al sicuro con tutti gli altri senatori, per me sarà più difficile gestire la situazione».

«Va bene, ma non può ordinarmi di fuggire». Ribatté Robida. «Comunque informate l’aula del pericolo» disse al suo seguito. «Chi lo desidera, con compostezza, lasci pure i locali».

Come al solito! Pensò Dukas. Sottovalutano i fatti e mettono in difficoltà la sicurezza.

Non insistette: era un’inutile perdita di tempo.

Si fece largo tra la gente, senza tanti complimenti. Urtò qualche giornalista. A un fotografo cadde l’attrezzatura, ma lui non se ne curò. Arrivò all’ascensore.

Mentre aspettava al piano, accese il lettore. Se n’era dimenticato: era il primo errore della giornata e si augurò di non commetterne altri. La spia rossa lampeggiava sempre per qualche secondo prima che fosse attivo. Si aprì la porta scorrevole e vide la donna delle pulizie.

«Venga fuori signora, c’è un’emergenza».

La fece uscire, afferrandola con forza. La donna si portò dietro granata e spazzolone. Il secchio con acqua e sapone si rovesciò e allagò il pavimento.

«Mi scusi» le disse, mentre l’ascensore si richiudeva. In quel momento la spia del lettore divenne verde. Adesso era attivo; subito prese a suonare, segnalando la presenza del ricercato.

Dukas premette frenetico i pulsanti del piano per fermare la discesa e tornare su.

Ecco chi era quella donna! Krynicki, camuffato alla perfezione. Era stato giocato come un dilettante. E ora il terrorista andava dritto nell’aula del Senato, magari con una bomba sotto la camicia.

Passarono alcuni lunghissimi secondi, prima di arrivare al piano.

«Capo sicurezza a tutti gli agenti: il terrorista è al terzo piano. Probabilmente entrerà nell’aula. Convergete sull’unico ingresso, quello nell’ala ovest! Voglio anche la polizia! Fate evacuare subito i senatori!»

Sul bracciale comparvero le informazioni dalla centrale:


Situazione aggiornata.

Terrorista al terzo piano dell’edificio.

Avviamo la procedura di evacuazione.


Finalmente la porta si aprì. Dukas estrasse la pistola e irruppe nel corridoio. C’erano i soliti di prima ma tra loro non vide la donna delle pulizie. Prese a correre verso l’unico posto dove poteva essere andata.

Si aprirono altri due ascensori. Entrarono tre agenti di sicurezza e due poliziotti. Fece un cenno, e loro lo seguirono con le pistole spianate.

Senatori, segretarie, portaborse, tutti si appiattivano alle pareti per farli passare. C’era anche la troupe televisiva, che iniziò a riprendere l’evento.

Arrivarono all’ingresso ovest. Dukas si affacciò nell’aula.

La discussione sulla legge ambientale era stata interrotta. Uomini della sicurezza avevano già raggiunto il presidente per informarlo del pericolo. Nell’aula regnava la confusione.

Il presidente si alzò in piedi.

«Mi hanno appena informato che qualcuno si è infiltrato nel Senato» annunciò. «Ignoriamo le sue intenzioni, ma potrebbero essere ostili. Tutti escano con calma e in maniera ordinata, gli uomini della sicurezza penseranno a gestire la crisi nel migliore dei modi».

Dukas scrutò le facce dei senatori che lentamente uscivano, cercando d’individuare il terrorista. Ma sapeva che era inutile. L’equipaggiamento Shapeshifter poteva dare a quell’uomo l’aspetto di chiunque, anche di un senatore, nel giro di un secondo. Era impossibile scoprirlo. E quei politici erano dannatamente lenti... una bomba li avrebbe certo spazzati via prima che fossero riusciti a raggiungere l’atrio.

Politici! È più facile difendere una mandria di bufali, pensò.

Rientrò nel corridoio e fece il punto della situazione. Krynicki non si era introdotto nell’aula, altrimenti il suo obiettivo sarebbe già stato raggiunto. Oltretutto il rilevatore di DNA non segnalava nulla.

Ma allora dov’era andato? Cercò di riflettere: non doveva commettere altri errori. All’improvviso gli venne in mente il dettaglio più importante: Krynicki era un chimico.

Al terzo piano, vicino ai bagni, c’era il punto di purificazione dell’acqua. Forse quel bastardo voleva avvelenare tutto il Senato! Dukas si maledì per non averci pensato subito.

«Venite con me!» urlò agli altri. «So dov’è!»

Iniziarono a correre, forse era già troppo tardi.


Tra i tanti poliziotti accorsi, uno si era diretto verso i bagni. Nessuno aveva badato a lui. Le forze dell’ordine, quando c’è un allarme per qualcosa di cui s’ignora la portata, sono il naturale punto di riferimento per tutti e mai verrebbe in mente che il pericolo è rappresentato proprio da quell’uomo in divisa.

Era stato lui ad azionare l’attrezzatura Shapeshifter e da donna delle pulizie si era trasformato in poliziotto. Magari più tardi avrebbe assunto le sembianze di Dukas. Chi meglio del Capo della sicurezza sarebbe potuto uscire dal Senato senza dover dare spiegazioni?

L’uomo travestito da poliziotto raggiunse i bagni. Prima di entrare, notò il distributore di acqua potabile, uno dei tanti collocati nei corridoi, tutti collegati alla rete idrica. Ebbe la conferma che non c’erano riserve indipendenti e sorrise.

Entrò. Aggirò i bagni e forzò la porta del locale dove si trovavano le pompe idrauliche. Lì c’era anche il punto di purificazione dell’acqua. Estrasse dalla tasca una fiala che conteneva un liquido denso di un giallo fosforescente. Tolse il tappo e lo versò nell’acqua.

Applicò un altro congegno a una tubazione, facendo in modo che fosse difficile vederlo. Era un disturbatore magnetico, che serviva per bloccare tutte le comunicazioni e rallentare l’allarme.

Poi uscì con calma.


I poliziotti e gli uomini della sicurezza arrivarono un istante dopo. I lettori di DNA suonavano al massimo della scala. Arrivò anche Dukas.

«Perché non abbiamo una lettura precisa?» chiese un agente.

«Ci dev’essere un deviatore gamma attivo addosso a qualcuno» disse un altro.

Si guardarono con sospetto e puntarono le pistole l’uno contro l’altro. L’intruso era tra loro. Il nervosismo rischiava di giocare brutti scherzi.

«Fermi!» urlò Dukas. Fissò le facce di tutti e decise di parlare al terrorista.

«Sei tra noi... non sappiamo chi sei ma non puoi scappare!»

Era sicuro che il terrorista se la facesse sotto per la paura, sentendosi in trappola.

In quel momento rivolse la sua attenzione al locale di purificazione e vide la porta forzata. Si precipitò dentro. Le pompe funzionavano e il purificatore appariva integro. l’acqua era limpida e non sembrava alterata da qualcosa che vi fosse stato mescolato. Perché il punto era questo: il terrorista aveva versato qualcosa nell’impianto o no?

Forse il veleno è incolore, pensò. Era probabile che non avessero avvelenato l’acqua attraverso le tubazioni esterne perché i filtri contaminati avrebbero fatto scattare l’allarme. Ma da qui tutto diventava più semplice.

Si convinse che il veleno era già in circolo. Bisognava allertare immediatamente l’edificio: nessuno doveva bere!

All’improvviso dalla schiena del poliziotto che stava alla sua sinistra, partirono un lampo e alcune scintille. L’equipaggiamento Shapeshifter si era guastato.

L’uomo cambiò aspetto. Divenne il vecchio con i capelli bianchi scompigliati, portava ancora gli occhiali misti sulla testa e il camice da laboratorio. La pistola svanì perché non esisteva, faceva parte dell’inganno elettronico.

Dukas accorse.

«Non sparate! Lo voglio vivo!».

Il vecchio infilò la mano in una tasca del camice, come per prendere qualcosa.

«Noi vogliamo» disse con voce tremante «che il Paese sia governato solo da uomini giusti».

Una raffica di colpi partì, improvvisa. Fu colpito una, due, tre volte in pieno petto e stramazzò a terra.

«Credevo che avesse un’arma» disse quello che aveva sparato. Dukas lo fulminò con lo sguardo.

Si avvicinò al vecchio. Poté solo costatare che era morto. In mano teneva una lettera. Dukas pensò a una rivendicazione, o a un messaggio di addio. «Spegnete i lettori di DNA. Abbiamo sparso abbastanza raggi gamma nell’ambiente, per oggi».


Il senatore Robida riempì il bicchiere che aveva appena preso dal distributore, nel corridoio.

«Che scarica di colpi!» disse sorridendo. Bevette qualche sorso. «La nostra sicurezza è veramente efficiente. Invito giornalisti e fotografi a seguirmi. Avrete l’anteprima del fatto».


Dukas parlava freneticamente via radio.

«L’acqua! Ha avvelenato l’acqua! Che nessuno si avvicini ai distributori». Non ottenne risposta. Guardò il bracciale: il display si era spento.

L’agente che era accanto a lui poggiò la mano sulla sua spalla.

«Siamo tagliati fuori, Ernst. Dev’essere un attacco magnetico».

In quel momento arrivò il senatore Robida, con lo staff, i giornalisti, la troupe televisiva e i fotografi. Teneva ancora in mano il bicchiere, ormai vuoto.

Dukas sentì un brivido lungo la schiena. Se l’acqua era avvelenata, il senatore aveva i minuti contati. E lui, il giorno dopo, si sarebbe ritrovato a controllare i bigliettini di parcheggio delle auto in sosta.

Il senatore gettò il bicchiere nel cestino dei rifiuti.

«Vorrei complimentarvi con voi, agenti della sicurezza, per aver risolto la crisi, limitando le perdite solo al criminale che voleva attentare alle Istituzioni».

I fotografi iniziarono a scattare. Miravano tutti al corpo esanime del vecchio. La troupe riprendeva e i giornalisti registravano.

All’improvviso il senatore cambiò espressione. Sembrava che si sforzasse di resistere a qualcosa. Quello strano atteggiamento durò solo un secondo. Poi si rilassò.

«Vorrei anche aggiungere» disse con calma «che ho ricevuto soldi da almeno tre grandi gruppi industriali per curare i loro interessi. I cittadini vengono dopo, non vi pare? Non mi hanno mica pagato» disse ridendo. «È vero che ricevo già un lauto stipendio ma ho un tenore di vita alto. Che ci volete fare?»

I presenti erano allibiti. Il capo della troupe ordinò al cameraman di continuare a riprendere.

«Ci puoi giurare!» esclamò l’altro e intanto i fotografi scattavano a raffica sul senatore.

A quel punto il senatore non ebbe più alcun ritegno.

«Ricordate il giornalista che aveva preparato l’inchiesta su di me? Quello che diceva di aver trovato le prove? Ha avuto un brutto incidente ed è passato a miglior vita. E il suo computer è sparito. Ebbene, volete ridere? Non è stato un incidente. Ho pagato un killer che ha sabotato i freni della sua auto. E poi, lo stesso killer ha distrutto il computer» disse, sempre ridendo.

I poliziotti gli puntarono addosso le pistole.

«Abbiamo sentito abbastanza, lei è in arresto, senatore Robida. Venga con noi».

Mentre lo portavano via, continuò a parlare: ormai era un fiume in piena.

«Sapete quanti regali mi hanno fatto i più potenti boss della malavita? Non posso certo deluderli. La legge per combattere la criminalità va rivista. Quella, è gente che lavora!»


Il bracciale si riattivò. Dukas vide lampeggiare il reset e una luce azzurra illuminò il display.


Capo sicurezza da centrale: il collegamento radio è stato ristabilito. Avevano piazzato un disturbatore magnetico. L’abbiamo fritto con un attacco ultrasonico.

Può darmi la situazione? Il Senato è sicuro?


Dukas non rispose subito. Pensava a quello che il chimico aveva cercato di fare. Poteva considerarlo davvero un attentato? Aveva scatenato il panico. Aveva violato il sistema di sicurezza del Senato. Ed era morto.

Si chiese se ne fosse valsa la pena.

Pensò al senatore Robida, a quello che aveva detto, e sorrise. Quel diavolo di un chimico aveva inventato il siero della verità. E non c’era modo di nascondere nessun segreto dopo averne bevuto un sorso.

Alethei: quelli che volevano la verità a tutti i costi... non era certo così che li avevano descritti i media. Gli elettori si aspettavano sincerità dagli eletti e questi spesso non erano sinceri. Non tutti, almeno.

Dukas poteva annullare le intenzioni di quel pazzo. Ma lo era davvero?


Aprì la lettera macchiata di sangue e ne lesse il contenuto.


Chi è giusto non avrà danno dalla mia acqua. Ma chi ha una doppia faccia sarà costretto a mostrare al mondo quella immorale. E così il mondo potrà difendersi da lui.


Parole farneticanti, pensò, ma che cominciavano a piacergli.

Premette il pulsante sull’auricolare.

«L’attentatore è morto. Aveva una bomba e l’abbiamo disattivata. Purtroppo c’era un sistema di protezione che l’ha dissolta, perché non volevano che cadesse in mano nostra. Informate i senatori che il pericolo è cessato. Possono tornare ai loro posti. Aggiungerei che possono bere un bicchiere d’acqua, per rilassarsi dopo tanta paura».


Ottimo lavoro, Capo sicurezza.

Riferisco. Sono sicuro che berranno alla sua salute e che prepareranno un discorso alla Nazione.


«E io sono sicuro che sarà un discorso sincero».