La
guerra continuava da più di trent’anni. Praticamente dall’anno
prima della mia nascita, così almeno mi aveva detto mio padre.
Loro
erano arrivati all’improvviso, avevano distrutto la nostra Base
sulla Luna e subito dopo la Stazione Internazionale. Poi avevano
squarciato le nuvole con i loro giganteschi dischi e si erano
posizionati sopra le maggiori città del mondo. La reazione delle
nazioni terrestri fu tempestiva, ma per niente coordinata. Ognuno
attaccò gli extraterrestri per conto proprio, mentre questi
atterravano con i mezzi da sbarco. Furono usate tutte le armi
disponibili e quando la situazione volse al peggio si decise di
impiegare anche quelle nucleari. Fu la catastrofe!
Già
dopo il primo mese di guerra l’ottanta percento della popolazione
mondiale era stata decimata dalle radiazioni. In pratica i difensori
avevano fatto più danni degli attaccanti, per questo si decise di
cambiar rotta: i superstiti furono portati al sicuro, nel sottosuolo,
e le nazioni cessarono di esistere. Fu nominato un Presidente della
Sopravvivenza Umana e per la prima volta nella Storia tutti i popoli,
o quello che ne restava, vennero riuniti contro il nemico comune.
Purtroppo
la nostra vita nel sottosuolo è troppo simile a quella dei topi. Io
non ricordo neppure il mio nome, non ho avuto un’infanzia e già a
sette anni mi addestravano al combattimento. Oggi sono Sergente della
fanteria, equipaggiato col meglio della tecnologia offensiva
terrestre, e sono l’ultimo baluardo a difesa dei resti
dell’umanità.
Attivazione
squadre: tutti i componenti pronti per l’azione in dieci secondi,
nove, otto, sette, sei...
«Preparatevi
al combattimento!» tuona il Capitano.
Gli
uomini controllano l’attrezzatura, le armi al plasma e il livello
della tensione repulsiva sulle corazze. Devo occuparmi della squadra
tre, ma il Capitano è responsabile dell’intera compagnia e leggo
nei suoi occhi quanto gli pesa.
«Gli
ordini sono semplici: dobbiamo catturare uno Scarafaggio vivo. È
molto importante, ricordatelo» continua il Capitano.
Uno
scarafaggio vivo? Penso che al Comando siano impazziti. Non è
possibile prendere vivo uno di quei bastardi! Sono tre volte più
grandi di noi e possono farci a pezzi perfino se li stendiamo.
«Capitano, ha idea di quanti ci resteranno secchi, nel tentativo?»
«Lo
so, Sergente, ma sembra che gli scienziati abbiano messo a punto un
virus che può rendere la pariglia agli invasori. Pareggeremo i conti
una volta per tutte se ne cattureremo uno. Sarà infettato durante
l’azione di un sedativo e poi lo rilasceremo. I suoi simili non
sospetteranno nulla e siccome i primi sintomi si manifesteranno dopo
un mese dal contagio, quando avranno i primi morti sarà troppo tardi
per fermare la Pandemia. Naturalmente gli umani sono immuni».
«Ho
capito, abbiamo un’insetticida per gli Scarafaggi».
«Esatto,
Sergente. Ora muoviamoci: le squadre due e quattro attueranno un
diversivo appena incontreremo la pattuglia nemica. Voglio uno scontro
frontale con tutto il fuoco disponibile, teniamoci bene al coperto.
Le squadre uno e tre li prenderanno alle spalle. Dobbiamo eliminarli
in fretta risparmiandone uno e sappiamo bene quanto sia pericolosa
una belva ferita».
Usciamo
dal boccaporto in fondo alla galleria di risalita. Ci passiamo uno
alla volta e il primo sono proprio io. Mi guardo intorno puntando il
mitragliatore, così copro l’uscita degli altri. Sembra tutto
tranquillo, abbiamo fatto abbastanza casino con la galleria nove e il
grosso dei loro incursori deve essere accorso proprio là.
Alzo
in alto lo sguardo, uno di quei dannati dischi copre metà del cielo.
Non capirò mai come fanno a stare fermi così, a mezz’aria. Torno
a contemplare il paesaggio, le macerie che ci circondano sembrano una
moderna Stalingrado distrutta dai nazisti. Un tempo qui c’era una
strada, c’erano auto, persone, grattacieli, c’era la frenesia
della vita quotidiana. Ora ci sono le macerie. E ci siamo noi con la
nostra missione.
«Squadre,
distanziamoci e avanziamo. Ci comunicheranno il punto di estrazione a
missione compiuta. Per trasportare il prigioniero occorrono un mezzo
pesante e una scorta».
«Ricevuto,
Capitano» rispondo nel comunicatore mentre faccio cenni alla mia
squadra di spostarci a sinistra. Gli altri sergenti danno il Roger.
Passiamo
a fianco al relitto di un caccia abbattuto nei primi giorni di
guerra, vedo i resti del pilota, non ha fatto in tempo a eiettarsi.
Più avanti superiamo due carri armati, hanno la corazza fusa dai
raggi alieni, trent’anni fa non avevamo ancora rubato la tecnologia
della tensione repulsiva. Gli equipaggi fecero una morte orribile.
Il
Capitano è con la squadra due, davanti. Il ripetitore sotterraneo
invia il segnale al suo tracciatore, credo che abbia già localizzato
la pattuglia di Scarafaggi più vicina. Ci fa cenno di seguirlo tra
le rovine del grattacielo dinnanzi a noi, entriamo e ci inoltriamo
nella voragine aperta sotto le fondazioni. Avanzare bassi è sempre
un bene e se lo fai alcuni metri sottoterra è ancora meglio.
Camminiamo per dieci minuti senza incontrare anima viva, la voragine
ha coinvolto molti edifici e l’abbiamo usata altre volte per
spostarci. Finita quella copertura proseguiamo tra le lamiere
contorte e i detriti di calcestruzzo, in modo da essere bersagli
difficili per il nemico.
«Eccoli,
sono a cinquanta metri da noi, dietro quel palazzo» ci avvisa il
Capitano col comunicatore «squadre uno e tre, prendeteli alle
spalle, noi attacchiamo!»
«Ricevuto
per squadra tre» dico io «aggiriamo da est».
«Squadra
uno, ti seguiamo».
Da
questo momento siamo tagliati fuori dalla metà dei nostri compagni,
che forse si faranno ammazzare per darci il tempo di portare a segno
la missione. Deve valerne la pena, per cui non possiamo sbagliare.
Aggiriamo
in fretta, passiamo sotto una trave che sostiene un cumulo di
detriti, speriamo non ceda proprio ora. Svoltiamo l’angolo
dell’edificio a avanziamo compatti. Oltre un intreccio di ferri
rugginosi, tubazioni e altre condutture saliamo su una collina di
laterizi rotti. Eccoli! Sono il primo a vederli, ordino alla truppa
di tenersi bassi. Ci fermiamo a tiro di mitragliatore e comunico:
«Squadre uno e tre in posizione».
«Bene,
iniziamo i fuochi artificiali» risponde a tutti il Capitano e un
presentimento mi dice che è l’ultima volta che lo sento.
I
bagliori e i boati dei fucili al plasma annunciano l’inizio della
battaglia. Da dove siamo non vediamo i nostri, vediamo solo gli
Scarafaggi che ci voltano le spalle, sempre se quell’ammasso di
sporgenze, placche e antenne possa essere chiamato spalle. Ne conto
quattro, troppi per una sola compagnia.
Ordino
ai miei di mirare a quello centrale, apriamo il fuoco e lanciamo
anche un paio di granate soniche. Altro fuoco arriva dalle squadre
due e quattro, bombe comprese. Lo spostamento d’aria è tremendo,
il fumo e la puzza di carne aliena bruciata è ovunque, forse ce
l’abbiamo fatta.
No,
non è fatta per niente, uno di loro è ancora in piedi e lancia
lampi azzurri da ogni tentacolo che fuoriesce dal guscio, sono
diretti sui nostri dall’altra parte e dubito che le corazze siano
sufficienti a respingerli tutti. Sento le grida strozzate degli
uomini! Continuo a sparare, è l’unica cosa che posso fare per
aiutarli.
Uno
di quelli caduti a terra si rialza, i suoi tre occhi fiammeggianti ci
puntano traboccanti di collera. Galoppa verso di noi. I tentacoli, le
zampe uncinate e gli arti che reggono le armi a raggi lo fanno
somigliare più a un ragno che a uno scarafaggio. Ormai ci è
addosso.
«Granate!»
impreco «lanciatele o siamo fottuti!»
Nessuno
di noi fa in tempo, è troppo vicino. Arretriamo e spariamo ma già i
primi vengono travolti dalla furia. Il Caporale, tagliato in due,
stramazza in un lago di sangue bianco. Altri tre soldati, raggiunti
nell’istante successivo, vengono smembrati e vedo con orrore i loro
tubi vitali sparsi dappertutto. Indietreggio, il mostro mi raggiunge.
Sparo, sparo e sparo ancora! L’ho trafitto con tutta l’energia
che avevo a disposizione, sono sicuro che è quasi morto, eppure i
suoi uncini calano su di me. Sento il dolore che mi lacera
inesorabile.
Il
buio mi oscura la vista, non sento più niente.
***
Situazione
soggetto: stabile. Parametri funzionali: in ripresa.
«Li
hanno riportati a pezzi».
«È
già qualcosa se il recuperatore è riuscito a raccoglierli».
Sento
i tecnici, apro gli occhi e li vedo, in ambiente sterile, con tute
antiradiazioni e maschere a filtro, mi stanno operando. Mi hanno
salvato! Credevo di essere morto. Il resto della squadra... la
compagnia... il Capitano, sono riusciti a salvare anche loro?
«Il
computer rileva un residuo di coscienza».
«Com’è
possibile? La CPU è isolata dall’ambiente circostante».
«Forse
l’elaborazione arriva da un circuito periferico».
«Allora
cancelliamo la memoria e riprogrammiamo il soggetto. Quegli schifosi
alieni hanno fatto un bel casino».
Riprogrammare?
Che stanno farneticando questi due, io sono un uomo! Sono quasi morto
per salvare il loro culo e vogliono riprogrammarmi? Che cazzo sta
succedendo?
«Queste
ferraglie sono la carta migliore che abbiamo, non potremmo
sopravvivere là sopra, con tutte quelle radiazioni».
«Non
potremmo sopravvivere neppure in un corpo a corpo con quei mostri.
Abbiamo rinforzato i nostri campioni, anche se, a giudicare da questo
sfacelo, non abbastanza».
«Centrale»
il tecnico parla nel comunicatore «Abbiamo tre androidi
completamente distrutti. Il resto della compagnia, invece, è
ripristinabile. Però servono molti ricambi. Per ora ne abbiamo
aggiustati quindici».
Dall’altra
parte qualcuno sbraita che bisogna ritentare la missione il più
presto possibile e il tecnico aggiunge la novità che riguarda me,
sdraiato sul lettino: «Ne abbiamo uno qui, con i circuiti mnemonici
pieni. Potrebbe comprometterla, la missione».
Cancellate
e riprogrammate con personalità standard, ci serve l’emotività
umana per vincere,
è la risposta secca.
«Visto?
Ne ero sicuro» sorride un tecnico all’altro.
«Eppure
è un caso eccezionale. Potrebbe trattarsi della prima autocoscienza
in una macchina».
«Beh,
nella situazione in cui siamo non possiamo certo perderci dietro ai
dilemmi sull’intelligenza artificiale. Se non liquidiamo gli
invasori siamo spacciati e ci occorre ogni risorsa».
Fermi!
Che diavolo fate! Fermi! Non abbassate quella leva…
***
Soggetto
ripristinato con successo: memoria cancellata e personalità standard
installata.
Dove
mi trovo? Che mi è successo? Mi sollevo lentamente, non ho dolore.
Bene! Mi metto seduto sul lettino, sono nella sezione sanitaria.
Evidentemente i dottori si sono presi cura di me. Perché? Ah, ora
ricordo: l’incidente durante l’addestramento. Il Capitano mi ha
portato all’infermeria e lì devo aver perso i sensi.
Spero
di non essere fuori dalla squadra operativa, quei maledetti
Scarafaggi stanno vincendo. Mio padre mi disse che arrivarono l’anno
precedente alla mia nascita, da quando esisto la Terra ha conosciuto
solo guerra e devo fare qualcosa per mettere fine a tutto questo,
anche a costo della vita.
Soggetto
in standby, riprogrammato per la missione virus. In carica per
settantadue ore prima dell’azione.
***
Attivazione
squadre: tutti i componenti pronti per l’azione in dieci secondi,
nove, otto, sette, sei...
Eccoci
pronti. Gli uomini controllano l’attrezzatura e così faccio
anch’io. Il Capitano è deciso portare a compimento la missione.
Dobbiamo catturare uno Scarafaggio vivo, la cosa è di vitale
importanza. Se i nostri scienziati riusciranno a infettarlo vinceremo
la guerra. Lo ascoltiamo con ammirazione.
«Abbiamo
una sola occasione, uomini, prenderemo la galleria di risalita.
Voglio due squadre per l’attacco frontale e due per prenderli alle
spalle, questa volta sarà la volta buona. Ne sono sicuro!»
Lo
ascolto, eppure... ho come un déjà
vu...