sabato 19 dicembre 2020

Locandine di fantascienza

 

Ecco alcune delle molte locandine che acquistai nel lontano 1988, durante il servizio militare, alla S.A.C. di Roma. Sono riuscito a ottenere delle buone fotografie solo oggi, con lo smartphone e l’alta risoluzione.

I tentativi fotografici fatti al momento dell’acquisto, con la vecchia Fuji a rullino piazzata sul cavalletto furono deludenti, per cui il materiale finì arrotolato in tubo di cartone, lasciato a invecchiare nel ripostiglio.

Che dire? Meglio tardi che mai! Le metto qui a disposizione dell’eventuale appassionato di passaggio.


 












martedì 1 dicembre 2020

L'astronave Orion

Stagione 1 - Episodio 8 - L'assalto dei Frog




Il comandante Cliff McLane si alzò a fatica in mezzo ai rottami. Fumo e scintille lo circondavano. Si guardò intorno: la plancia era in pezzi.

«State tutti bene?» chiese agli altri, che risposero con un cenno. Alcuni erano sdraiati, altri in ginocchio; si aggrapparono a qualcosa per tirarsi su. Avevano ferite lievi, graffi, ma per fortuna niente di grave.

«Stiamo bene, comandante. Quella che non sta bene è la nave» disse Shubashi.

Aveva ragione e McLane lo sapeva. La battaglia contro i Frog era stata devastante e i terrestri l’avevano persa. Di tutte le astronavi della Terra, due sole erano sopravvissute: l’Orion e l’Hydra. Entrambe erano pesantemente danneggiate.

Mentre i suoi uomini spegnevano gli ultimi focolai d’incendio, McLane esaminò la strumentazione di bordo. A occhio e croce il funzionamento era garantito al quaranta per cento. Poteva bastare per manovrare, ma non per ingaggiare un altro scontro, che sarebbe stato sicuramente fatale.

Accanto a lui c’erano Tamara Yagellovsk e Hasso Sigbiornson. Proprio a quest’ultimo in quel momento affidava le sue speranze.

«Puoi fare qualcosa, Hasso?»

Il tenente scosse la testa.

«Posso fare ben poco. Troppe parti sono compromesse; credo di riuscire a muoverla, ma sarà una tartaruga».




Ma come diavolo avevano fatto quei maledetti Frog a vincere? Come avevano fatto a neutralizzare l’Overkill, l’arma più potente della Terra? Non lo sapeva, ma in qualche modo l’avevano fatto. Subito dopo avevano annientato tutte le difese esterne e ora stavano dilagando nel Sistema Solare.




Allontanò quei pensieri.

«Farò il possibile» disse Hasso. «Proverò a muoverla».

«Bene! Helga, mettimi in contatto con l’Hydra o con la Terra» ordinò il comandante all’operatrice radio.

Helga Legrelle si diede da fare.

«Hydra da Orion, rispondete... Hydra da Orion...»

Non ci fu nessuna risposta; provò ancora diverse volte. Poi passò alla Terra.

«Terra da Orion, riuscite a sentirmi?»

Niente. Erano isolati.

Hasso regolò la potenza residua, tolse tutta l’energia agli scudi e la convogliò ai motori. Escluse i circuiti danneggiati.

L’astronave Orion, ferma nello spazio, riattivò le luci. Iniziò lentamente a ruotare, poi si mosse in avanti.

«Funziona, anche se ci spostiamo solo a bassa velocità!» gridò soddisfatto.

McLane gli dette una pacca sulla spalla.

«Ottimo lavoro».

L’entusiasmo gli si spense subito in gola, ripensando a tutti gli amici che aveva perso quel giorno sulle navi distrutte e al suo mondo che si sgretolava sotto il peso dell’invasione.




Il generale Wamsler, sulla Terra, osservava inorridito la comunicazione registrata da Marte. Si vedevano sullo sfondo uomini che combattevano e, ancora più lontani, le figure evanescenti dei Frog che si avvicinavano. L’uomo in primo piano che parlava verso la telecamera era un suo amico, comandante della colonia.

«Generale, sono dappertutto. Dov’è la pattuglia spaziale? Non potremo resistere ancora per molto, abbiamo bisogno di aiuto...»

Un lampo apparve sullo schermo: il messaggio finiva lì.

Wamsler si volse verso gli altri ufficiali del TRAV, che avevano assistito in silenzio. Le loro facce erano funeree.

«Siamo impotenti» ringhiò «cosa darei per avere ancora una sola astronave, la guiderei io contro quei maledetti!»

«Una l’abbiamo» disse qualcuno.

«Cosa?»

La faccia del generale s’illuminò.

«Abbiamo ricevuto proprio ora una comunicazione dall’Hydra: il generale van Dyke ha ripristinato in modo parziale la nave. Necessita di molte riparazioni ma è ancora funzionante. Ha detto di aver parlato con McLane dopo lo scontro e di aver perso il contatto subito dopo. Forse anche l’Orion ce l’ha fatta».

«McLane!» esclamò Wamsler. «Il più indisciplinato dei miei comandanti e l’unico che riesce sempre a sorprendermi con qualche trovata geniale. Abbiamo bisogno di lui, deve avercela fatta! Non può permettersi di essere morto».

«I Frog hanno distrutto gran parte dei nostri ripetitori, generale. Per questo ci sono settori di spazio dove le comunicazioni sono impossibili, a parte quelle dirette, s’intende. Se l’astronave Orion esiste ancora, dobbiamo aspettare che esca da una di quelle zone d’ombra».

Un suono acuto scosse i presenti. Sullo schermo di controllo si vedevano le astronavi Frog in avvicinamento. Erano numerose e puntavano sulla Terra.

«Allora sarà bene che si sbrighi» disse a denti stretti Wamsler «oppure presto qui saremo tutti morti».




Erano passate alcune ore e il comandante dell’astronave Orion aveva preso la decisione di ridurre al minimo il consumo di energia per evitare di essere intercettati dai Frog. Anche le luci erano state abbassate. La scia energetica lasciata dalla nave, in questo modo, era quasi nulla.

Hasso, in sala macchine, aveva appena finito di aggiustare al meglio il sistema di propulsione. Non rimaneva che aspettare la ricarica degli accumulatori. Serviva tempo e forse era proprio quello a scarseggiare.

Decise di passare alla sezione armi, per vedere quali danni potevano essere riparati. Insieme a de Monti smontò il pannello di controllo dell’Overkill ed esaminò i diagrammi di flusso, le statistiche delle ultime ore di attività e il momento del combattimento.

Rimase sconvolto.

La principale arma della Terra non era stata neutralizzata dai Frog, come si pensava. L’Overkill si era semplicemente spento, per un ordine arrivato direttamente dal calcolatore centrale terrestre.

Resettò e riavviò.

De Monti controllò gli indicatori: tutto era andato a posto. L’arma era perfettamente funzionante.




Quando, più tardi, si riunirono, ne parlarono e McLane tuonò sbattendo il pugno sul tavolo.

«Qualcuno sulla Terra ha lavorato per i Frog!»

«È già successo in passato» disse Hasso. «Ricordiamo quanti ottimi soldati hanno subito il lavaggio del cervello e si sono rivoltati contro la Terra. È probabile che abbiano piegato la volontà di qualcun altro. Poi l’hanno messo nel posto giusto e l’hanno attivato al momento opportuno».

«Non ci credo» obiettò Tamara. «Possibile che al TRAV nessuno si sia accorto di nulla?»

«È possibile, invece. Magari la spia ha usato un “magnete”, uno di quei gingilli che si attaccano come un parassita sul computer, modificando la programmazione interna senza alterare le informazioni ai monitor esterni. È un vecchio apparecchio militare, ma se si conoscono i codici giusti, s’infila dappertutto».

McLane tagliò corto: «Ed è uno dei nostri “gingilli”! Siamo stati sconfitti con la nostra stessa tecnologia. Ma ormai tutto questo non è importante, dobbiamo trovare il modo di rimediare».

Tamara lo guardò incredula: «Credevo fosse chiaro che non si potesse rimediare».

«Finché siamo vivi, abbiamo la possibilità di farlo. E ho intenzione di non perdere altro tempo. Ho in mente qualcosa, ma bisogna trovare il modo di comunicare con Wamsler senza essere intercettati dai Frog».

«E l’uomo sotto il loro controllo? Potrebbe essere ancora attivo» replicò lei. «Non credi che verrà a conoscenza delle tue mosse? Avvertirà i Frog. Anche usando un messaggio in codice, quando arriverà sulla Terra e sarà decrittato, cadrà subito nelle sue mani».

«È vero, ma non succederà se sarà Wamsler l’unico in grado di decrittarlo».

«Non ti seguo».

«Io so una cosa che tu non sai. Nell’ufficio del generale c’è una macchina. È un reperto storico di cui solo in pochi ricordano la funzione. Naturalmente è una riproduzione. L’originale risale alla seconda guerra mondiale e si chiama Enigma. Wamsler si è divertito a impararne il funzionamento. Il computer dell’Orion ha in memoria il suo codice cifrato, sono stato io a volerlo, in previsione di tempi difficili. Quindi noi possiamo scrivere il messaggio ma sulla Terra non hanno il codice e non riusciranno a decifrarlo».

«Se Wamsler è abbastanza sveglio» ridacchiò Hasso «capirà che deve tradurselo da solo e userà la macchina tagliando fuori la spia. Sì, può funzionare».




Poco dopo apparve l’Hydra, proprio davanti all’Orion. Le due astronavi a forma di disco, circondate dal cosmo nero e profondo, si fronteggiarono per qualche minuto. Poi dall’Orion si staccò una navicella. Il comandante non voleva rischiare di essere individuato e preferì evitare anche le comunicazioni dirette.

Lydia van Dyke lo aspettava in plancia. Fu felice di vederlo e di apprendere che i membri del suo equipaggio stavano tutti bene. McLane le spiegò quello che aveva intenzione di fare.

Il piano prevedeva di uscire dalla zona d’ombra e di proseguire in direzione del Sole. La loro meta era la stazione solare Elios. O meglio, dovevano avvicinarsi a quella zona. Al resto avrebbe dovuto pensare il generale Wamsler, dopo aver letto il messaggio cifrato.

Le probabilità che tutto andasse liscio non erano molte, ma nella situazione in cui si trovava la forza di difesa terrestre, diventavano un’importante speranza.




L’uomo che due ore dopo entrò nell’ufficio del generale, portava un messaggio stampato su carta.

«L’astronave Orion è uscita dalla zona non comunicativa e questo è ciò che ci ha inviato, signore».

Wamsler guardò il foglio.

«McLane è impazzito? Che ci faccio io con questo?» borbottò.

«È incomprensibile!»

Poi, osservando meglio la pagina scritta, cambiò espressione e il suo volto s’illuminò. Alzò gli occhi verso l’uomo che gli aveva consegnato il messaggio.

«Se ne vada» urlò. «Devo pensare. Da solo!»

Aveva capito subito che c’era qualcosa che non andava nell’Intelligence terrestre. Altrimenti perché McLane gli avrebbe inviato un cifrato? Di sicuro cercava di tenere alla larga gli occhi curiosi di qualche spione. Come diavolo aveva fatto McLane a capire che le linee di comunicazione non erano sicure? Quell’uomo è un drago, si disse. Ma non aveva certo intenzione di dirglielo, era bene tenerli sempre in tiro, i suoi ufficiali. Anche ora che ne erano rimasti pochi.

Una cosa era certa: nessun altro oltre a lui doveva leggere quel messaggio. Chiuse tutte le porte e non aprì a nessuno per le successive due ore. Si mise al lavoro con la macchina e da quel foglio ebbe rivelazioni clamorose. C’era anche un piano. Sorrise mentre lo leggeva. Era il piano più pazzo che avesse mai esaminato, ma forse proprio per questo poteva funzionare. E poi (il suo volto si velò di tristezza) non avevano niente da perdere. Quindi, perché non tentare?




L’astronave Hydra si era fermata nei pressi di Mercurio, mentre l’Orion rimaneva presso Venere. I Frog erano a metà strada tra Marte e la Terra; il tempo stava per scadere.

Sul grande radar orizzontale e rotondo McLane vide comparire una moltitudine di segnali: astronavi, migliaia di astronavi che arrivavano dal Sole. Una nuova invasione, numericamente superiore alla flotta Frog. E di origine sconosciuta.

Per nulla sorpreso, si rivolse a de Monti che dietro a lui preparava l’Overkill.

«Il generale ha eseguito i miei ordini alla lettera, da bravo soldatino!»

«L’hai convinto» gli rispose il cannoniere. «Speriamo di convincere anche i Frog».

Quasi subito arrivarono strane comunicazioni in una lingua stramba, aliena ma anche assurda. Riempiva tutte le frequenze e risultava assordante.

Non era linguaggio Frog, questo era certo. Somigliava più a un’accozzaglia di parole che stessero insieme senza una logica. Chissà, forse un non-umano ci poteva anche cascare.

«Helga, apri un canale riservato con la Terra, per aggirare l’ostruzione radio».

Appena fu sicuro di poter comunicare, McLane continuò.

«Terra, qui è l’incrociatore veloce Orion VIII: siamo attaccati da forze superiori, non sono i Frog! Ripeto, non sono i Frog».

Subito dopo con un cenno intimò ad Helga di chiudere.

«Overkill!» ordinò infine a de Monti.

L’Overkill dell’Orion colpì in pieno Venere. Il pianeta si sfarinò in una valanga di detriti che partivano dalla zona centrata per poi disperdersi nello spazio in tutte le direzioni. In poco tempo il bellissimo pianeta azzurro che aveva ispirato tanti miti in passato fu spazzato via. Cancellato dal cosmo.

«Disattivare tutti gli strumenti e spegnere i motori» disse infine Mclane. «Speriamo che abbocchino alla balla che siamo stati distrutti».

L’astronave Hydra, invece, si era avvicinata a Mercurio. Come l’Orion, aveva chiamato la Terra comunicando di essere attaccata da forze sconosciute e, subito dopo, con l’Overkill aveva distrutto il pianeta. Poi si era spenta. Era come se la nave non esistesse più, come se fosse stata distrutta.

I messaggi dalla Terra non tardarono ad arrivare.

«Terra chiama astronave Orion! Rispondete... Terra chiama astronave Hydra! Qualcuno è in grado di rispondere? Qualcuno è sopravvissuto?»

Nessuna risposta.

Gli equipaggi erano in ascolto. I detriti dei due mondi distrutti schizzavano da tutte le parti. Alcuni colpirono lo scafo. Sull’Orion sentirono le lamiere che si piegavano, ma sperarono che i danni non fossero gravi. Sull’Hydra ci fu uno scossone e un forte boato. Ebbero fortuna, un pezzo di Mercurio li aveva sfiorati staccando una parte della nave. Nonostante questo la struttura resistette e non esplosero.




Sulla Terra tutti osservavano il grosso schermo rotondo sul quale si vedevano muovere, provenienti dal Sole, i segnali dei misteriosi nuovi invasori.

Era un’orda enorme in avvicinamento che aveva già distrutto due mondi e le ultime due astronavi della pattuglia spaziale. Era la fine. L’unico che sogghignava era il generale Wamsler, ma non se ne fece accorgere.

C’erano anche altri che ascoltavano le ultime, drammatiche, comunicazioni terrestri: i Frog. Sulle loro navi avevano tracciato i nuovi invasori, avevano assistito alla distruzione dei due mondi e avevano visto scomparire le navi terrestri. Videro anche che gli sconosciuti alieni puntavano sulla Terra. Proprio dove stavano andando anche loro.

Il comandante dei Frog cercò di evitare la disfatta e ordinò di ritirarsi.




Sulla Terra videro i segnali luminosi delle astronavi Frog che invertivano la rotta; alla massima velocità si spostarono verso Giove e poi proseguirono. Superarono l’orbita di Saturno, poi di Nettuno e Urano. Ben presto uscirono dal radar: il pericolo era scampato... per ora.

Nell’enorme sala del calcolatore centrale uno dei tecnici urlò di dolore, si accasciò a terra e morì. Accorsero in molti per soccorrerlo ma ormai non c’era più niente da fare. i Frog in ritirata, non potendolo tenere ancora sotto controllo, l’avevano ucciso.




Sull’astronave Orion le luci furono riaccese, l’energia ripristinata e i motori riattivati.

«Torniamo sulla Terra per le riparazioni» disse McLane. «Helga, sull’Hydra hanno potuto fare lo stesso?»

«Si stanno muovendo ora, sembra che siano molto danneggiati ma possono farcela».




Tutti i segnali luminosi dei nuovi invasori raggiunsero la Terra, ma si rivelarono essere tutt’altra cosa che astronavi. I rimorchiatori in orbita inviarono le prime immagini. Erano le sonde solari per la raccolta dell’energia inviate dalla stazione Elios.

«Generale Wamsler» disse poco dopo uno dei componenti del TRAV «vuole spiegarci, una buona volta, quello che è successo? Perché noi non sapevamo nulla di quest’operazione? Quelle sonde hanno svolto un compito che non era il loro. Arrivando fin qui si saranno sicuramente danneggiate. Ma sono servite a scacciare i Frog e perciò è stata una bella mossa. Avremmo solo voluto essere informati, ecco tutto».

«Capisco» rispose solenne Wamsler «ma non avevo scelta. C’era una spia, qui sulla Terra. Ho dovuto restringere la cerchia dei partecipanti all’operazione. In pratica oltre a me e al comandante McLane, ho informato solo gli operai della stazione Elios. Hanno impostato loro la rotta delle sonde, dopo averle caricate al massimo di energia. I sensori le hanno scambiate per astronavi proprio perché erano ipercariche».

«E quei messaggi che sembravano un collage di tutte le lingue terrestri messe insieme?» disse ancora l’altro.

«Quella è stata la parte più debole. Ho dovuto inventare un linguaggio cifrato alla svelta e da solo. Il mio computer ha mischiato più idiomi insieme e ne è venuto fuori un pasticcio. Per fortuna i Frog ci sono cascati. Ho anche distorto il segnale per non far capire che lo inviavo dal mio ufficio».

«Torneranno, appena avranno capito l’inganno».

«No. Sanno che l’Overkill non è stato annientato, ma solo spento. Basta ripristinarlo e le difese della Terra saranno di nuovo attive. Questo ci darà il tempo di ricostruire le astronavi».




L’astronave Orion giunse sulla Terra, malconcia ma tutta intera. L’Hydra, invece, aveva esaurito l’energia nei pressi della Luna e i rimorchiatori la stavano ancora trainando.

«Abbiamo dovuto sacrificare due pianeti, ma era necessario, per spaventarli. Altrimenti l’attacco non sarebbe stato credibile» dichiarò McLane.

«Siamo responsabili di una catastrofe» replicò de Monti, mentre ricalibrava l’Overkill. Sullo schermo rotondo si vedeva la nuova fascia di asteroidi che si era creata al posto di Venere e Mercurio. McLane annuì.

«Abbiamo salvato la Terra» sorrise «consoliamoci con questo».

L’Orion entrò nell’atmosfera.


Phantastischen Abenteuer
des Raumschiffes Orion
Serie TV – Germania. 1965-1966
ideata da: Rolf Honold
prodotta da: Hans Gottschalk, Helmut Krapp

venerdì 6 novembre 2020

Cavie - Daniele Missiroli

 

Queste sono le copertine dei libri da me disegnate per lo scrittore Daniele Missiroli. Cavie è il settimo episodio della serie Aedis disponibile, insieme agli altri titoli, sulla pagina dell’autore.

 

 

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Samira ha salvato suo padre e fatto arrestare la banda che lo ricattava.
Philip ha rivelato di essere in possesso di abilità straordinarie e di aver indagato a fondo sulla nave aliena che nasconde, ma siamo sicuri che non ci siano manufatti sfuggiti al suo controllo? Quando Samira scopre che le figlie della sua migliore amica Flora si trovano in pericolo, rischierà la vita senza indugi per salvarle, anche se non potrà chiedere aiuto a Daniel o alle forze dell'ordine, per via di oscure minacce da parte di misteriosi individui. Grazie al suo nuovo amico Herbert, a Philip, e a una pistola in ogni mano, l'adrenalina tornerà a scorrere veloce nelle vene di Samira, e questa volta non avrà pietà di chi considera sacrificabili delle ragazzine innocenti.
Samira adesso è armata e l'avventura più pericolosa della sua vita inizia qui.



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Nel XXII secolo, la giovane dottoressa Kimberly ha inventato un ascensore per la Luna. Raymond Peterson, il direttore dell'Agenzia Spaziale Terrestre, è inizialmente scettico, ma si rende conto che grazie a quel progetto può riscattarsi dal fallimento dell'anno precedente e accetta di costruirlo. L'unico luogo sulla Terra adatto al progetto si trova in Kenya, dove sorgono molti problemi tecnici e soprattutto di natura religiosa: la popolazione è devota al Dio Ngai, che osserva dall'alto della montagna sacra
tutto ciò che ha creato. Il gigantesco cavo che sale verso la Luna scatenerà reazioni impreviste e Raymond dovrà combattere per salvare sé stesso e la donna di cui si sta innamorando.

 


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domenica 1 novembre 2020

Spazio 1999

Stagione 1 - Episodio 25 - Il parassita





L’Aquila 1 rientrava dalla missione esplorativa. Alle sue spalle, il misterioso pianeta azzurro percorso da striature gialle brillava prepotente, era l’ennesimo sfiorato dalla Luna durante la sua folle corsa nello spazio.
Sulla Base Lunare Alpha, nella Sala Comandi, il comandante John Koenig fissava serio lo schermo principale. Stranamente, l’Aquila era scomparsa alla vista dei sensori interrompendo ogni contatto per alcune ore e adesso, senza una spiegazione, era ricomparsa.
Paul Morrow, seduto alla sua postazione, tentò ancora una volta di ristabilire il contatto video. Ebbe successo.
Le interferenze sul monitor si diradarono lasciando intravedere il volto di Alan Carter.
«Carter, riesce a sentirmi?» tuonò Koenig pieno d’impazienza.
L’immagine divenne nitida, Carter apparve euforico.
«È tutto a posto Comandante, abbiamo attraversato una tempesta e credo che la densità delle nubi abbia provocato il blackout, ma ora riesco a vedervi e a sentirvi benissimo».
«Cosa è successo laggiù? Siete riusciti a scendere?»
«Sì Comandante. Siamo scesi come previsto, è un mondo bello come la Terra».
«Quando abbiamo perso il contatto con voi, quel pianeta ha cambiato per ben due volte il colore della sua atmosfera. È molto strano. Che mi dice dei campioni, li avete raccolti?»
«Abbiamo tutto. Laggiù è meraviglioso, Comandante. Non vedo l’ora di andarci a vivere!»
Il professor Victor Bergman, che fin’ora aveva osservato senza parlare, raggiunse il computer da cui fuoriusciva la striscia di carta appena stampata. Esaminò velocemente l’elaborato, poi si avvicinò a Koenig.
«John, tutti i dati inviati al computer sono positivi. Possiamo dare inizio all’Operazione Exodus».
«Prima voglio un’analisi di quei campioni, Victor. Non dobbiamo rischiare. Se abbandoniamo Alpha non devono esserci brutte sorprese».
«Ti riferisci al cambiamento di colore delle nuvole, vero?» il professore tamburellò le dita sulla tempia. «Effettivamente è strano. Eppure, secondo il computer, si tratta di un fenomeno di rifrazione sui vapori esterni dell’atmosfera».
«Abbiamo ancora quindici ore prima di superare il pianeta. Non sono molte ma devono bastare per indagare e, se vale la pena, per dare inizio all’Operazione Exodus».
«Ci lavorerò su, John. Sono convinto che il computer non possa sbagliare, ma ti assicuro che controllerò tutte le possibili varianti».
«Bene, Victor» John sorrise soddisfatto, poi tornò a occuparsi di Carter che, attraverso lo schermo, aveva assistito alla conversazione. «Esamineremo quei campioni, Carter. E se quel mondo risulterà adatto a ospitare gli esseri umani ci andremo ad abitare».
«Io potrei tornarci anche subito, Comandante» fu la battuta di Carter «Quindi facciamo in fretta e non lasciamoci sfuggire quel paradiso».
Fu in quel momento che la porta scorrevole della Sala Comandi si aprì e Alan Carter entrò, barcollando. Sembrava uno che si era appena ripreso da una sbornia. Avanzò verso i presenti, eppure nessuno sembrò curarsi di lui. Nessuno parve far caso ai due Carter identici: uno nello spazio, alla guida dell’Aquila 1 e l’altro lì, sulla Base Lunare Alpha.
Il Comandante, invece, inorridì.
«Carter!» gridò quasi per reazione istintiva e, incredulo, si voltò a guardare lo schermo; poi tornò a guardare l’uomo confuso che aveva di fronte. Infine osservò tutti gli altri, calmi come se non fosse successo niente di strano.
Il professor Bergman gli si avvicinò, stupito: «John, che ti succede? Sembra che tu abbia visto un fantasma».
«Victor... non lo vedi? Come fai a non vederlo?»
«Chi dovrei vedere?»
Koenig si rivolse a tutti, visibilmente alterato: «Nessuno di voi lo vede, qui dentro?» gridò fuori di sé «Siete diventati ciechi?»
Morrow, Bergman, Sandra Benes, ciascun membro della Sala Comandi lo squadrò con sospetto, temendo che fosse impazzito.
John si avventò su Carter, lo afferrò per le spalle e lo scosse.
«Carter! Riesce a spiegarmi cosa sta succedendo? Lei è qui e a bordo dell’Aquila 1, come è possibile?» indicò deciso lo schermo «Guardi!»
Proprio quando Alan alzò la testa un disturbo cancellò l’immagine. «Cosa... cosa devo guardare, Comandante?» scosse la testa, cercando di schiarirsi le idee. «Io... io non sono sicuro di sentirmi bene».
Paul Morrow tentò l’impossibile sulla sua consolle per ripristinare il collegamento, ma senza esito.
«La comunicazione si è interrotta, Comandante».
Koenig non badò a lui, non badò agli altri. Tenne gli occhi fissi sulla faccia di Carter e non mollò la presa. Carter abbassò lo sguardo, rifletté su quanto gli era accaduto; poi, lentamente parlò.
«Ora ricordo... mi sono svegliato per terra, non so come sia arrivato là... c’era quel tentacolo attorno al mio collo, ma a un certo punto mi ha lasciato. Non so perché, forse per qualche ignoto motivo si è indebolito».
«Quale tentacolo? Che sta dicendo?» Koenig spostò di poco Carter verso il professore.
«Victor! Alan è qui davanti a me, come puoi non vederlo?»
«Non lo vedo, John... perché non c’è. Forse sei vittima di allucinazioni».
Vittima di allucinazioni. John Koenig era sicuro di non essere pazzo, ma si rese conto di essere solo. L’unica persona con cui valeva la pena di parlare per venire a capo di quell’incubo era Carter, quindi ignorò gli altri.
«Alan, può dimostrare quello che dice?»
«Posso mostrarle il tentacolo, venga con me».
«Paul, prenda lei il comando».
«Sì, Comandante».
«Andiamo!». Koenig e Carter si avviarono fuori dalla Sala Comandi.
«John, dove stai andando?» la domanda del professor Bergman non ebbe risposta, davanti a lui si chiuse inesorabile la porta scorrevole appena furono usciti.
Poco dopo entrarono nel travel tube sotterraneo per il collegamento alle sezioni più lontane di Alpha e partirono diretti agli hangar delle Aquila. Nessuno dei due parlava, ma si guardavano seri, quasi con sospetto. Nella testa di Koenig frullavano mille dubbi su quello che stava facendo e iniziò a chiedersi se quell’uomo che aveva davanti, ottimo pilota e amico, era veramente chi diceva di essere. Per un attimo temette di essersi chiuso lì dentro insieme a un essere inumano che per qualche inspiegabile ragione era apparso su Alpha assumendo l’aspetto di Alan. E che adesso avrebbe potuto ucciderlo. Lentamente portò la mano al laser, nella fondina, e si preparò a difendersi.
«Comandante...» disse Alan avvicinando la mano alla sua nuca.
Koenig estrasse il laser e si mostrò minaccioso, pronto a sparare.
Carter esitò, attese che l’altro riacquistasse fiducia in lui e rafforzò con un sorriso il più amichevole possibile. Poi, con prudenza, toccò qualcosa che stava attaccato al collo di Koenig.
«Ha perso forza. Come è successo con me. Ho cominciato a vederlo solo ora».
Anche Koenig iniziò a vederlo, sembrava un tentacolo, ma aveva la consistenza della corteccia e diventava sempre più visibile. Con un gesto di stizza lo allontanò da sé e lo vide ritirarsi fino a scomparire nella parete. Ripose il laser nella fondina.
«Cosa diavolo era?»
«Non lo so, Comandante. Ma sta succedendo qualcosa di strano e almeno noi due avevamo un parassita attaccato addosso».
«Anche il tentacolo che voleva mostrarmi, probabilmente si sarà ritirato come questo».
«Probabilmente».
«Un momento... non lo vedevamo prima, ma c’era e finché ci stava addosso riusciva a ingannare i nostri occhi».
«Forse ci riesce comunque, forse continua a ingannare ogni membro della Base».
«Questa è l’unica certezza che abbiamo». La luce che indicava il movimento del travel tube si fermò, segno che erano arrivati. Koenig si alzò in piedi e col commlock aprì la porta scorrevole, poi si precipitarono nel corridoio.
Si avventò sulla prima colonna per le comunicazioni che incontrarono e digitò un comando. Sgranò gli occhi per lo stupore. Sul monitor si vedeva l’Aquila 1, ferma nel suo hangar, spenta e inutilizzata.
«Non... non è mai partita. Abbiamo solo creduto di vederla partire e qualcuno ci ha indotto a crederlo».
«Io dovevo essere alla guida» disse Alan «per questo quel qualcuno mi ha tenuto fuori gioco, ma deve essergli andata storta e mi sono svegliato».
«Carter, attivi l’elevatore. Dobbiamo fare in modo che la nostra gente si svegli! Faremo uscire l’Aquila 1 sulla rampa, quando dalla Sala Comandi la vedranno sarà chiaro a tutti che l’altra è falsa».
«Bene».
«Io andrò alla Sezione Medica, forse Helena è ancora in sé e può darmi un farmaco utile contro le allucinazioni».
I due si divisero. Carter prese il corridoio di destra, nel settore successivo avrebbe potuto controllare l’elevatore manualmente. Koenig, invece, prese il corridoio a sinistra, che portava alla Sezione Medica.
Aprì la prima porta scorrevole col commlock e si trovò di fronte la dottoressa Russell. Fu sorpreso, ma poi ripensò al suo comportamento in Sala Comandi e fu certo che Morrow, prendendo il comando della Base, avesse ritenuto opportuno allertare i medici e forse anche la sicurezza.
La osservò bene, non aveva tentacoli legnosi addosso, o forse ce li aveva e a lui serviva del tempo per riuscire a vederli, perché era ancora preda latente del mostro.
Le disse tutto. Non aveva tempo da perdere, la falsa Aquila 1 si avvicinava sempre più ad Alpha e servivano alleati per fronteggiare l’incombente pericolo. Purtroppo il risultato fu alquanto deludente. Negli occhi di lei lesse solo incredulità.
«John, non stai bene. Io posso aiutarti».
«Helena, devi credermi! Siamo minacciati. Alan me li ha fatti vedere, sono qui tra noi».
«No, John. Alan sta tornando, è alla guida dell’Aquila 1, l’abbiamo visto tutti partire. Ascoltami, Victor mi ha detto che ti comporti in modo strano. Credo che abbia ragione, lascia che faccia dei controlli su di te».
Era tutto inutile, Koenig si rese conto che non poteva convincerla. Abbassò lo sguardo e le voltò le spalle.
«Non seguirmi» col commlock aprì la porta scorrevole ed entrò nel corridoio da cui era venuto. Lei fu per dire qualcosa, ma la porta le si chiuse davanti.
Koenig seguì il percorso a ritroso e imboccò il corridoio attraversato da Carter. Lo trovò non molto lontano, oltre la seconda porta, per terra con gli occhi sbarrati. Si muoveva appena e aveva un tentacolo che gli stringeva il collo. L’avevano ripreso.
«Carter! Si svegli!» cercò di toglierglielo, ma sembrava impossibile. Aveva la resistenza di una quercia e per quanti sforzi facesse, non riusciva a muoverlo di un centimetro. Alzò lo sguardo seguendolo fino al soffitto, dove sfumava. Furioso impugnò il laser deciso a reciderlo con la forza.
«John...» si voltò e vide Helena, l’aveva seguito fin lì.
«Devi venire con me al Centro Medico, è per il tuo bene». Dietro di lei si aprì ancora la porta scorrevole ed entrarono gli uomini della sicurezza.
Mentre si avvicinavano vide con terrore che in tutti, da dietro il collo, partivano quei cordoni legnosi che salivano verso il soffitto e anche Helena ne aveva uno.
Tentò un diversivo.
«Va bene Helena, verrò con te».
Mentre gli uomini della sicurezza avanzavano, coperto dietro la dottoressa, regolò il laser su stordimento. Poi con una mossa fulminea aprì il fuoco. Uno dopo l’altro caddero a terra tramortiti.
«Fermati John» lo implorò lei.
Lui le puntò contro il laser, ma non se la sentì di sparare, abbassò l’arma, si voltò e corse via.
Ebbe una scena orribile davanti a sé mentre attraversava il settore successivo della Base. C’erano quei tentacoli vegetali ovunque, scendevano dall’alto intersecandosi e generando una specie di giungla. Erano attaccati a persone sdraiate sul pavimento, e queste pareva che sognassero. Forse tutti quelli che avevano interagito con lui erano stati attivati al momento opportuno dal mostro. Forse prima di vedere il doppio Alan anche lui in Sala Comandi era stato sdraiato a sognare. Forse.
Qualcuno dei sognanti, al suo passaggio si attivò, volse lo sguardo verso di lui, ma chissà quale immagine ingannevole gli arrivò nel cervello. Koenig non perse tempo cercando di svegliare i sognanti, proseguì in mezzo a decine di rami tentacolati e si accorse che potevano essere attraversati, erano incorporei. Si chiese perché in altri momenti erano risultati duri e legnosi, ma non seppe trovare una risposta che avesse un senso.
Era evidente che l’entità aliena, il mostro che minacciava gli Alphani non era ancora sulla Base, altrimenti che senso avrebbe avuto far tornare la falsa Aquila? Quei tentacoli erano un controllo mentale a distanza per preparare la strada all’invasione.
Koenig giunse in un corridoio deserto, chiuse la porta scorrevole dietro di sé, si avventò sulla colonna per le comunicazioni e accese il video. Si vedeva l’Aquila 1 che atterrava sulla rampa sollevando una nuvola di polvere lunare. Non c’era più tempo, il mostro era arrivato per finire le sue prede! Doveva fare qualcosa.
L’immagine sul monitor cambiò e apparve il volto di Paul Morrow.
«Attenzione, il comandante Koenig è impazzito, è molto pericoloso, bisogna fermarlo a tutti i costi».
John Koenig, stizzito, spense il video e fu la sua fortuna perché sullo schermo spento vide riflesso il tentacolo che gli arrivava da dietro per avvolgergli il collo. Reagì d’istinto, alzò il braccio, impedì la manovra e si trovò a lottare disperatamente. Con la mano ancora libera fece saltare la grata di areazione dei circuiti sulla colonna. Poi tirò. Trasse a sé il tentacolo. Fu uno sforzo immane, ma riuscì a infilarlo fra collegamenti elettrici e microchip. Ne scaturì una fiammata, scintille schizzarono ovunque. Gli sembrò di udire un urlò che non aveva niente di umano. Il ramo tentacolato abbandonò la presa e si ritrasse svanendo nel soffitto.
Esausto per la lotta, Koenig, si afflosciò appoggiato alla colonna, sua involontaria salvatrice. Attese qualche minuto. Quando sentì le forze che tornavano, lentamente si alzò e riprese a correre verso la rampa, forse era ancora in tempo.
L’Aquila 1, intanto, era atterrata. Il suo equipaggio era sceso e calpestava il suolo di Alpha.
John Koenig irruppe nel corridoio che arrivava dalla rampa, erano presenti il professor Bergman e la dottoressa Russell insieme ad altre persone, tra cui alcuni uomini della sicurezza. Vide il falso Alan Carter che veniva avanti insieme al suo copilota. Quasi subito vide svanire il copilota, era solo un’illusione.
«Comandante, c’è qualcosa che non va?» disse con un ghigno sinistro il falso Carter, e aumentò il passo. Koenig non gli rispose, subito mirò agli uomini della sicurezza e li tramortì col laser. Poi regolò la potenza al massimo. Per “uccidere”. E puntò l’arma. Purtroppo in quel momento gli arrivarono addosso altri uomini, dovevano fermarlo, lo credevano pazzo. Riuscirono ad atterrarlo, il laser gli sfuggì di mano e con presa ferrea lo tennero fermo.
Ormai bloccato senza alcuna possibilità di liberarsi fu sopraffatto dalla disperazione; tutti quelli che gli stavano intorno avevano un tentacolo che li controllava. Si rivolse a Bergman, la sua ultima spiaggia.
«Victor! Siamo stati invasi! Quello non è Alan, siamo in pericolo! Devi credermi». Ma il professore rimase scettico e lo guardò con compassione.
Carter arrivò a pochi metri da loro. Aveva un’espressione di vittoria talmente forte stampata in faccia da stupire perfino gli uomini che bloccavano il Comandante. Gradualmente allentarono la presa.
John Koenig si divincolò dalla stretta che lo imprigionava, raggiunse il laser, lo impugnò e aprì il fuoco sul bersaglio.
Investito dalla scarica energetica, il falso Carter si incendiò. Perse il controllo delle sue vittime e rivelò la sua vera forma. Somigliava ad un albero ma aveva aspetto umanoide. Dalla sua testa partivano i tentacoli, simili a tante radici che si moltiplicavano all’inverosimile per poi svanire nel nulla.
Bruciò lanciando un grido disumano che scosse Alpha, arrivando in ogni sezione, in ogni corridoio, in ogni stanza. In pochi secondi la creatura si consumò.
Poco dopo la gente cominciò a svegliarsi, alcuni uomini accorsero con gli estintori per domare il fuoco. Bergman aiutò Koenig ad rialzarsi.
Helena era frastornata, usciva in quel momento da un sogno, come tutti.
«John, cosa ci è successo?»
«È tutto finito Helena, tutto finito».
In Sala Comandi Paul Morrow vide con la coda dell’occhio uno strano tentacolo legnoso, che lo lasciò libero, si agitò nell’aria e si dissolse. Tornò a guardare lo schermo davanti a lui, l’Aquila 1 sulla rampa non c’era più. Al suo posto troneggiava minacciosa un’astronave aliena, orrenda e irregolare. Qualcuno li stava attaccando. Subito azionò l’allarme.



Space 1999
Serie TV – Regno Unito, Italia. 1975-1977
ideata e prodotta da: Gerry Anderson
Sylvia Anderson e Fred Freiberger