giovedì 1 febbraio 2024

Un racconto di fantascienza

 


ATUMIANI

© 2016 Marco Alfaroli

 

Atum era il Signore delle divinità,

si era autocreato e aveva come sposa la sua ombra.


Quel giorno Ra era proprio di buon umore. Sorrise e puntò i suoi occhi di rapace sulle piramidi che aveva impastato personalmente quella notte.

Quando si divertiva a modellare usava sempre materia grezza e poi, attraverso impulsi mentali, rendeva le pareti lisce e compatte. Il risultato era una serie di forme perfette, diverse per colore e grandezza, tutte sospese a mezz’aria. Le sue creazioni rimanevano immobili, in attesa della conclusione del gioco.

Fissò la più grande e questa, quasi subito, iniziò a traslare di lato e si fermò su quella più piccola, di colore rosso.

Con un’altra azione mentale, fece ruotare la piramide fino capovolgerla completamente. Poi ghermì le altre tre, verdi e luminose. Anche queste ruotarono, ma rimasero perpendicolari e i loro vertici finirono per fronteggiarsi.


Toth si avvicinò proprio in quel momento.

«Bella scultura aerea!» esclamò.

«Non so» disse Ra «mi sembra che manchi qualcosa».

I suoi occhi si accesero e tra i vertici delle piramidi, con un lampo, esplose un piccolo sole.

«Ecco, ora va molto meglio».

Toth osservava pensieroso quella meravigliosa manifestazione della loro grandezza. Improvvisamente parlò.

«Quel sole giallo, ti ricordi? È successo tanto tempo fa...»

«Sì, mi ricordo».

Gli altri Atumiani si destarono dall’apatia e prestarono attenzione all’evento, perché evocava le loro gesta del passato.

Anubi intervenne nella discussione.

«Li ho percepiti. Stanno arrivando!» disse. «I loro pensieri sono semplici, come allora. Eppure li sento sempre più vicini».

«Credi che siano venuti a cercarci?» chiese Ra, perplesso.

«No, è un caso. Avverto in loro molta sete di conoscenza. Sono state la curiosità e la speranza ad averli spinti fin qui».

Ra si elevò di quota. Le enormi pinne vela che lo mantenevano in volo lentamente si trasformarono. Come tutti i suoi simili, riusciva a modificare il proprio aspetto e assumere forme diverse.

Toth lo osservò mentre imitava gli umanoidi del terzo pianeta di quel sole lontano. Lui era sempre stato contrario a questa pratica: assomigliare a esseri così semplici significava sminuirsi. Era vero però, che quegli organismi primitivi avevano subito stimolato la fantasia degli Atumiani e anche lui, tutte le volte che si era presentato a loro, lo aveva fatto imitandone l’aspetto.

Gli Atumiani riuscivano a fare qualsiasi cosa, perché avevano il controllore della materia e del tempo; erano immortali e potevano spostarsi ovunque nello spazio a velocità inimmaginabili.

Si erano spostati spesso nel cosmo: lo facevano per gioco. Una volta, per esempio, erano partiti in molti per raggiungere quel mondo così diverso dal loro.

Era stato divertente. Ripensò per un attimo a come aveva influito sugli abitanti di quel mondo... a come aveva plasmato la civiltà Egizia. Si rivolse a Ra, che ormai esibiva, esclusa la testa, un aspetto completamente umano.

«Io insegnai agli uomini il linguaggio dei simboli. Dimostrarono molta intelligenza e sfruttarono bene quello che appresero. Fu qualcosa di notevole, se si pensa a quanto fosse stata ingiusta la natura con loro».

Ra tornò lentamente alla sua forma naturale, le gambe umane si unirono tornando a essere la lunga coda verticale e le pinne vela crebbero veloci di lato.

«Erano solo materia per i nostri giochi. Ricordate come li abbiamo abbandonati? Fu la noia a convincerci a partire».


La fitta coltre di nubi fu rotta da un oggetto volante, piccolo e durissimo.

A bordo, da dietro i molti finestrini, gli abitanti del terzo pianeta della lontana stella gialla, guardavano sbalorditi il mondo degli Atumiani.

Il suolo non era visibile, coperto da incredibili vapori colorati. Enormi masse di gas nascondevano chissà quali segreti e rendevano tutto indistinto.

Dalla nebbia emergevano altissimi e maestosi rami color ebano, addobbati da un’infinità di sfere bianche di varie grandezze. In mezzo a questa bizzarra vegetazione, i giganteschi Atumiani galleggiavano nell’aria, immobili, incuriositi dai visitatori.

«Sono loro?» chiese Iside, che fino a quel momento non aveva ancora parlato.

«Sì» le rispose Anubi «vi avevo detto che sarebbero arrivati».


L’astronave era molto piccola. Se si rapportava alle dimensioni di Ra, di Toth e di tutti gli altri, appariva minuscola. I visitatori sembravano formiche al cospetto di giganti.

Eppure non si persero d’animo e attivarono tutti i mezzi in loro possesso per cercare di farsi capire.

Dalla nave partirono tanti segnali. Fasci di luce diretta e lampeggiante, bagliori prolungati e a volte intermittenti, comunicazioni radio su tutte le frequenze possibili, messaggi a contenuto matematico con sequenze logiche e intuitive.

Gli umani provarono ogni strada per arrivare a stabilire un contatto con quelle creature extraterrestri che ricordavano molto le antiche divinità Egizie, almeno nella parte superiore del corpo.


«Credi che abbiano fatto dei progressi, Anubi?» chiese Ra, curioso.

«Sono arrivati fin qui. Hanno fatto molto, ma non si sono evoluti in tutto questo tempo: sono gli stessi deboli umani che ci adoravano sul loro mondo».

Il parere di Anubi fu sufficiente perché Ra prendesse la sua decisione: con un ampio gesto creò una nuova piramide.

Era una struttura trasparente e vuota, che avvolse l’astronave dei terrestri chiudendosi ermeticamente. Il risultato fu una prigione di cristallo a forma di piramide.

Il velivolo atterrò sulla superficie levigata. Sbuffi di fumo ne annunciarono la stabilizzazione. Un grosso portello laterale si aprì e gli esseri umani sbarcarono.

Dapprima rimasero protetti nei loro scafandri astrali, poi, dopo un’attenta analisi dell’atmosfera che li circondava mediante le loro macchine, decisero di togliersi il casco.

Aria respirabile! Avevano intorno aria fresca e respirabile!

Avevano anche intorno, però, spesse pareti di un materiale trasparente durissimo e impenetrabile.

Il loro stato d’animo cambiò; si agitarono, gesticolarono isterici. Anubi avvertì nei loro pensieri paura, disperazione e rabbia.


Ra, invece, non si preoccupò di che cosa pensassero gli umani, puntò lo sguardo e con un’azione mentale spostò la prigione vetrosa proprio sopra la piramide capovolta della sua creazione, formando una struttura in armonia col resto dell’opera, le forme erano vicine ma non si toccavano, l’insieme rimaneva sospeso e riscaldato dalla luce della piccola stella.

«Perché hai fatto questo?» chiese Toth a Ra.

«Solo così questi esseri possono essermi utili».

Anubi e Iside sembravano affascinati dalla conclusione geniale dell’opera. Anche gli altri Atumiani presenti, si avvicinarono per vedere meglio.

Dentro la piramide di cristallo, intanto, gli uomini parlavano freneticamente tra loro. Quello che sembrava il capo tornò a bordo, mentre gli altri, demoralizzati, restarono fuori senza più sapere cosa fare.


Lo sforzo creativo aveva stancato Ra che, infatti, decise di tuffarsi nei vapori sottostanti. Gli altri lo videro sparire.

Lo faceva sempre, quando sentiva di doversi riposare dopo aver esagerato con i suoi poteri mentali.

Gli altri Atumiani scivolarono nuovamente in una dolce apatia, aspettando la prossima scossa di divertimento.

Toth si avvicinò guardingo alle piramidi. Appena fu davanti al muro vetroso che imprigionava i visitatori, li guardò con una specie di ghigno divertito.

Assestò un colpo potente: gli uomini fuori dell’astronave barcollarono e poi caddero a terra. Tutto tremò.

Con una sola mazzata, se avesse voluto, avrebbe potuto mandare in frantumi la piramide. Ma non era questo il suo piano.

I terrestri spaventati si rifugiarono nell’astronave e il comandante ordinò il decollo. Getti di energia e fumo sostennero il velivolo, immobile in aria, circondato dalla struttura trasparente visibilmente incrinata.

Ecco, avevano fatto ciò che voleva. Toth sferrò un secondo, potente colpo di pinna, che sbriciolò gran parte della creazione di Ra, compresa la piramide degli umani.

Gli Atumiani si rallegrarono del colpo di scena. Era un bel modo per scuoterli dalla noia. Intanto la piccola astronave schizzò via, zigzagando tra quei corpi colossali. Poi guadagnò il cielo, aumentando la potenza dei motori per fuggire via, a casa.

Toth si compiacque per quello che aveva fatto.

«Chissà come si arrabbierà Ra domani quando scoprirà che ho distrutto la sua creazione» disse, fiero. Tutti scoppiarono in una fragorosa risata.

Poi, stanco per l’intensa attività, si tuffò nelle nuvole di vapore, anche lui per riposarsi.

 

Gli altri racconti della stessa antologia ti aspettano su Amazon