Zaygo si alzò presto, come faceva
tutte le mattine. Il suo primo pensiero, quando si svegliava, era
sempre il cibo, per questo teneva alcuni squynzi di scorta.
Scese dal tubo dove si era
attorcigliato per la notte e si avvicinò alla vasca al centro della
stanza. Immerse la mano, velocissimo. Ci fu un fuggi fuggi generale,
con schizzi d’acqua in tutte le direzioni. Prese lo squynzo più
grosso al primo colpo e lo divorò dalla coda al gozzo gonfio, in un
attimo. Poi infilò la testa nella vasca per bere avidamente, finché
non si sentì dissetato.
Infine si vestì.
Mise la tunica rossa, simbolo di
fuoco e di forza. Lui era un Lorn, apparteneva alla più forte delle
tre specie dominanti di Bhlyss. Le sue squame erano azzurre e i Lorn
andavano fieri di quell’azzurro; era un colore nobile, li rendeva
belli e gloriosi, ma soprattutto diversi da quei maledetti Saytrac
che avevano la pelle dello stesso colore di uno squynzo in avanzato
stato di decomposizione. Un vero schifo.
I Saytrac non erano gli unici
nemici dei Lorn. C’erano gli altri, i Tlazk: rettili piccoli,
brutti e deformi. Essi non meritavano il rispetto di Zaygo, non si
erano mai affidati alla forza e al coraggio per guidare il loro
destino; usavano congegni per fare ogni cosa, anche per combattere.
Lui odiava i Tlazk. E il passato
gli aveva dato buone ragioni per rafforzare quell’odio.
Tuttavia, dopo millenni di guerre,
a un certo punto, si era arrivati a un equilibrio precario dettato
dall’emergenza. Erano stati quei ripugnanti Umani a renderlo
possibile. Dei mostri dalla pelle liscia, senza scaglie, con cespugli
di peli sulla testa.
Zaygo ringhiò immaginandoseli
davanti.
Quegli orrendi esseri erano
venuti, armati fino ai denti, per conquistare Bhlyss. Ed erano
riusciti involontariamente a unire tutti i rettiliani.
All’inizio, ciascun popolo aveva
reagito all’invasione umana in modo indipendente, collezionando una
lunga serie di sconfitte. Solo per la necessità di sopravvivere, il
rancore che separava le tre specie si era sopito, pur bruciando
ancora oggi, come la brace sotto la cenere.
Sebbene uniti, Lorn, Saytrac e
Tlazk avevano perso la guerra e dovuto affrontare la sottomissione.
Sottomissione,
rifletté Zaygo, con una smorfia di rabbia a imbruttirgli il suo
grugno squamoso al solo pensiero.
Per anni la sua gente aveva dovuto
sopportare l’umiliazione della schiavitù. La rinuncia alle tuniche
rosse, l’obbedienza incondizionata, il lavoro forzato a fianco
delle altre specie rettiliane inferiori... Era stata un’epoca di
sofferenza e mortificazione per qualsiasi Lorn nato sotto il sole di
Sirio.
Finché qualcosa era successo tra
i conquistatori.
Aveva ancora nelle orecchie il
discorso fatto da un umano chiamato il Presidente. Era giunto su
Bhlyss annunciando una nuova era di fratellanza.
«Saremo
vostri amici, se lo vorrete» aveva detto in un discorso pieno di
retorica. «Ciò che è avvenuto in passato non accadrà mai più,
perché potremo condividere con voi il bene per cui noi stessi
abbiamo lottato: la libertà».
Ed era ripartito insieme agli
altri invasori. Dopo tutto il male che avevano fatto, se n’erano
andati mendicando il perdono dei loro schiavi e parlando di libertà
concessa.
«La libertà si conquista e gli
schiavi si sfruttano» disse a voce alta Zaygo, sibilando per il
disprezzo.
Gli Umani non avevano mai compreso
né i Lorn né la convivenza delle tre specie su Bhlyss. Di certo,
non si erano guadagnati la fiducia di nessuno, nemmeno dopo la Grande
Liberazione.
Con l’umore guastato da quei
pensieri, Zaygo indossò l’armatura. Impugnò il guanto sicli e
controllò la daga a tre lame. Lo scatto era perfetto, la ripose nel
fodero.
Quando uscì all’aperto, il
cielo rosso era limpido, l’aria più calda del solito. Restò fermo
a riscaldare il suo sangue per qualche attimo, era piacevole farlo in
quelle magnifiche giornate.
Con calma gustò il panorama,
dalle alte pareti di roccia che proteggevano la valle, coperte da
piante variopinte, ai muri verde smeraldo e le cupole argento e oro
delle case che facevano sapere al mondo quanto fossero nobili i Lorn.
Tutta la città risplendeva.
Né i Tlazk né i Saytrac dovevano
avere la possibilità di ammirare tanta bellezza mettendo piede nella
sua città, lui l’avrebbe impedito.
Un forte stridio arrivò
dall’alto. Vide il terreno scurito da un’ombra e alzò lo
sguardo. Un gigantesco Kurr, gracchiando, passò sopra di lui e con
le ali provocò un vento impetuoso.
Com’era maestoso quell’animale!
I Kurr che volavano liberi, i loro
simili domati che portavano i Lorn in cielo, la sua città che
prosperava all’aperto, a differenza di quelle dei Tlazk nascoste
sottoterra... Ogni cosa intorno a lui gli confermava che il suo
popolo viveva nella Natura più di quanto facessero le altre specie.
Era giusto così, perché i Lorn esistevano per dominare Bhlyss. E se
non c’erano ancora riusciti, era solo perché il destino era
divenuto capriccioso, mettendosi per traverso e riservando loro
quella piaga che erano gli Umani.
Zaygo decise di attraversare la
piazza in pietra per raggiungere l’ampio colonnato dove venivano
deposte le uova. Camminò ondeggiando il corpo con quell’andatura
tanto naturale su Bhlyss quanto bizzarra per gli abitanti della
Terra, perché erano abituati a veder strisciare i serpenti sul
terreno.
Si affacciò sull’area a forma
di conca. C’erano, tutte ordinate, migliaia di coppe riproduttive,
e in ognuna era stato deposto un uovo. In lontananza vide alcune
femmine occuparsi della attività non legate alla guerra. Così era
stato dall’alba dei tempi; questo non perché fossero più deboli
dei maschi, una femmina Lorn valeva quanto cento umane, ma
semplicemente per divisione dei compiti.
Erano guerriere rispettate e
combattevano solo quando dovevano difendere i piccoli. In quel caso,
divenivano rabbiose e determinate più dei maschi. Zaygo ripensò
all’ultima incursione Saytrac e a come le femmine li avevano
scacciati dalla città senza che i maschi avessero dovuto sfoderare
le loro daghe. Sogghignò e le sue zanne brillarono alla luce di
Sirio A.
«Zaygo, ti senti forte oggi?» lo
richiamò Drigo, un altro valoroso guerriero. Come lui, si muoveva in
modo sinuoso, da vero serpente.
«Mi sento forte, Drigo. E il
calore di Bar aumenta sempre più la mia forza».
«I Tlazk stanno preparando
qualcosa, vedo lampi lontani e di notte sento strani echi».
«Credi che preparino una
guerra?».
«Non si può mai sapere cosa
preparano quei viscidi, comunque noi siamo pronti. È tanto ormai che
gli Umani se ne sono andati, le vecchie alleanze non contano più».
Sentirono gracchiare dall’alto e
furono investiti da una folata di vento. Un imponente Kurr, ricco di
penne colorate, atterrò davanti a loro. Ripiegò le ali enormi e i
becchi posti all’estremità delle tre proboscidi si chiusero. Da
buon animale domato, aspettava solo che il suo padrone salisse.
«Drigo, sei diventato un
cavalcatore di Kurr?».
«Dovevo, per forza. Ci sarà
bisogno di noi in battaglia. I guerrieri migliori sono quelli che
attaccano dal cielo». Montò sul Kurr. «Che il coraggio non ti
abbandoni mai, Zaygo».
«Che il coraggio ci segua
entrambi, Drigo».
Il Kurr prese il volo col suo
padrone, tra battiti d’ali possenti e turbini d’aria.
La città lentamente si stava
svegliando. Tanti Lorn erano usciti in strada e cominciavano a
svolgere la proprie attività.
Zaygo vide arrivare una squadra di
dieci soldati, ondeggiavano flessuosi e impugnavano fucili a energia.
Le armi a raggi erano per la truppa, perché solo a pochi eletti,
come lui, spettava l’onore di combattere con armi a lama.
«Rispetto al Portatore della
Daga!» gli gridarono quei Lorn, di passaggio, lasciando per un
attimo i fucili con una mano e mostrando gli artigli.
Anche lui artigliò, fiero.
Chissà, forse stava per scoppiare
un’altra guerra contro i Tlazk. Poteva darsi che quel periodo di
pace fosse il preludio alla tempesta e lui si sarebbe presto trovato
davanti tanti avversari da abbattere. Non temeva nessuno, soprattutto
quei nani rossi coperti di tecnologia inutile. Che venissero pure,
lui li avrebbe aspettati per farli a pezzi. E dopo si sarebbe di
certo sfamato con tanti squynzi e dissetato con molta acqua.
Improvvisamente, gli arrivò
addosso l’ennesima ventata. Guardò in alto pensando all’arrivo
di un altro Kurr.
Invece, il cielo era vuoto.
Appena
abbassò lo sguardo, si accorse che proprio davanti a lui si stava
aprendo un buco
nell’aria... che dava sul nulla. Rimase fermo per qualche secondo a
osservare la novità, incurante di qualsiasi pericolo. Un Portatore
della Daga non aveva paura di nulla, perché un nemico avrebbe potuto
prendergli solo la vita, non l’onore.
Intorno all’apertura si formò
un vortice che iniziò a girare sempre più forte. Il buco si allargò
e il vento che ne uscì buttò tutti a terra, anche Zaygo.
Quando si rialzò, vide qualcosa
muoversi là dentro. Pareva una specie di tempesta, cupa e in
continuo tumultuo. E c’erano tante figure lontane che stavano
arrivando.
Qualsiasi
cosa sia, non è niente di buono, pensò.
D’istinto, estrasse la sua daga.
Lo scatto fece uscire le altre due lame e fu pronta. Dal guanto
sicli, con un altro scatto, si aprì lateralmente la spada a forma di
scimitarra.
Ciò che sbucò dal vortice nero
fu un vero incubo, preceduto da un urlo agghiacciante che sembrava
giungere direttamente dall’Inferno. Uscirono in massa, assetati di
sangue. Zaygo rimase impassibile, ben piantato sulle zampe e pronto
allo scontro.
«Altro sangue per la mia daga!»
urlò, brandendola con sicurezza.
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