Fatherland è un bel film per la televisione tratto dal romanzo omonimo di Robert Harris e racconta una ucronia simile a The man in the high castle (in Italia La svastica sul sole) di Philip K. Dick.
Come nel romanzo di Dick anche in Fatherland la Germania nazista ha vinto la seconda guerra mondiale, tuttavia non è stato un trionfo dell’Asse sugli Alleati grazie al bombardamento di Washington, Londra e Mosca con ordigni atomici. Si è giunti piuttosto a un armistizio con gli Stati Uniti e la guerra con la Russia non è mai finita.
La storia alternativa che disegna la nuova geografia del mondo è abbastanza credibile: il Giappone è sconfitto nel 1945 con i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, ma nel 1946 il Terzo Reich lancia un missile a lungo raggio V3 che esplode sopra New York senza far vittime. Si tratta di un’azione dimostrativa e una minaccia di rappresaglia se non si porrà immediatamente fine alle ostilità. Inizia così la Guerra Fredda tra l’America vittoriosa nel Pacifico e la Germania vittoriosa in Europa.
Nel film il protagonista Xavier March, agente della Kriminalpolizei, è interpretato da Rutger Hauer e questo è un punto che scricchiola nella vicenda. Infatti nel 1994, quando furono girate le riprese, l’attore aveva cinquant’anni tondi e si vedeva eccome! La domanda è: avrebbe potuto, un tedesco cinquantenne nel 1964, non sapere che gli ebrei erano stati assassinati nelle camere a gas durante il conflitto? Un attore più giovane avrebbe reso più credibile il personaggio, che è assolutamente ignaro dell’Olocausto? Forse sì, anche se i comizi di Hitler li avevano sentiti perfino i bambini. Chissà se un diciottenne, allo scoppio della guerra imbarcato su un sottomarino e spedito negli abissi...
Bé, tirata per i capelli, un attore più giovane avrebbe rappresentato chi, nato durante la guerra e cresciuto nella propaganda, finisce per credere alla falsa realtà del regime. E viene subito in mente il personaggio di Johannes Betzler del bellissimo film Jojo Rabbit. Magari troppo giovane, certo, ma che rende l’idea di cosa voglio dire.
Tornando a Fatherland, il protagonista è un ex comandante di U-Boot, che quindi ignora il genocidio perché la guerra l’ha fatta tutta sott’acqua (senza mai emergere neppure per vedere il tempo che fa) e anche dopo, a fine guerra, ha continuato a vivere sui fondali fino all’inizio del film. È entrato nella Kripo subito dopo i titoli di testa senza mai incrociare neppure per sbaglio uno stronzo della Gestapo e magari farsi qualche domanda. Comunque, tralasciando queste quisquilie, inizia a indagare sulla misteriosa morte di un gerarca nazista, viene ostacolato dalla Gestapo, ma riesce a scoprire il tremendo segreto che Adolf Hitler vuole tenere nascosto al presidente Joseph P. Kennedy durante la visita nel Terzo Reich. E cioè lo sterminio degli ebrei, visto che la Germania aveva raccontato al mondo che erano stati “risistemati” in strutture costruite in Ucraina.
Nel film Xavier March, stremato e gravemente ferito, riesce a consegnare all’ambasciatore statunitense il plico con le prove dei crimini nazisti e poi muore. Nel romanzo, invece, consegna i documenti con le prove a una giornalista americana e fugge nel bosco con la pistola impugno inseguito dalle SS, in un finale aperto ad un eventuale seguito.
Tutto sommato, nonostante la poca credibilità del protagonista, il film è vedibile.
In effetti avrebbe funzionato meglio con un protagonista più giovane. Onestamente però, le ucronie in cui i nazisti vincono la II Guerra Mondiale o i sudisti quella di secessione americana mi sono decisamente venute a noia. Preferisco roba più originale, come De Bello Alieno di Del Popolo Riolo, il ciclo degli Yilanè di Harry Harrison o i ccli di Videssos di harry Turtledove.
RispondiEliminaEffettivamente, riciclare due volte la stessa idea è già troppo.
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