Voyagers è uno di quei film che vengono preceduti da un film minore con lo stesso soggetto, come accadde nel lontano 1998 per Armageddon preceduto da Deep Impact e nel 2009 per Avatar preceduto da Battle for Terra (2007). In questo caso il film quasi clone di Voyagers è High Life, del 2018.
Voyagers, a differenza del suo folle clone, è un bel film. Soprattutto è coerente e non lascia punti irrisolti. Parte da una situazione estrema piuttosto abusata nella fantascienza: la Terra ha ormai gli anni contati. Come in Interstellar bisogna trovare un nuovo mondo per la razza umana, ma non c’è nessun Wormhole per spedire gli astronauti dall’altro capo dell’universo in un battito di ciglia. Il pianeta abitabile è stato individuato a una distanza raggiungibile, dall’astronave terrestre che parte per la missione, in 87 anni. Non è possibile ibernare l’equipaggio e quindi, come nel romanzo Universo di Robert A. Heinlein, si susseguiranno alcune generazioni prima di arrivare alla meta.
Il tema affrontato è molto delicato: come si può obbligare un essere umano a vivere l’intera sua esistenza su una zattera di metallo che solca il vuoto assoluto? E come si può sperare che non impazzisca e si riproduca, consapevole che saranno i suoi nipoti a vedere da giovani il nuovo mondo, mentre i suoi figli ci arriveranno vecchi, quando lui sarà morto da tempo?
Non si può se non si è costretti, ma essendo la Terra compromessa, bisogna scegliere se morire tutti o inviare qualcuno a colonizzare un altro mondo in una missione più che disperata. Per cui, per l’istinto di sopravvivenza della specie, si sceglie questa seconda strada.
Purtroppo la natura umana, molto distante dai robot, rende l’individuo facile preda dell’istinto primordiale, vista la situazione critica in cui viene a trovarsi. Quindi la prevaricazione e gli impulsi sessuali sfociano per forza nella violenza, rischiando di far fallire la missione a metà strada se non prima.
A questo punto del film c’è una pianificazione pensata dagli ideatori della missione, che fa subito tornare in mente L’uomo che fuggì dal futuro, di George Lucas. Infatti i ragazzi sull’astronave bevono un liquido blu tutti i giorni, inconsapevoli del suo effetto: inibisce il desiderio sessuale, la ricerca di contatto con gli altri simili e soprattutto gli sbalzi di umore e gli scatti d’ira. Per la riproduzione è prevista la fecondazione in vitro.
Come accadeva per THX 1138, anche per i ragazzi di Voyagers, si delinea una non-vita. E l’unico “anziano”, lo scienziato Richard, salito a bordo dell’astronave con l’obiettivo di proteggere il più possibile le ultime speranze dell’umanità, perde ben presto il controllo della situazione.
Il film introduce una buona dose di azione almeno dalla metà in poi e la tensione sale alle stelle, grazie anche al dubbio che sia entrato un alieno attraverso lo scafo durante un incidente. È una differenza non da poco rispetto a High Life, che invece resta piatto fino ai titoli di coda… conciliando il sonno.
Gli effetti speciali, gli interni dell’astronave e tutti gli elementi tecnologici mostrati nel film sono estremamente credibili. Inoltre, l’equipaggio formato da ragazzi e ragazze della medesima età, espleta compiti precisi per mantenere efficiente la nave. Cosa che veniva molto sorvolata in High Life, in cui l’equipaggio era composto da ex carcerati.
Alla fine, guardando il film, si comprende quanto leggero sia Guerre Stellari e quante invece siano le difficoltà nell’affrontare veramente il cosmo. Abbiamo una sola casa, teniamocela stretta!
Il povero Cliff McLane mi sta difendendo a spada tratta dagli emissari dell’altro gruppo in missione manganellatrice. Non può vincere, ma si batte come un leone.
Si sono attaccati alla parola “minore” e giù! Addosso! Dagliene (come diciamo qui in Toscana). Mi torna in mente la canzone di Antoine: Pietre, del 1967 e rido...
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