domenica 7 luglio 2024

Un racconto di fantascienza


 

IL VOLO

© 2016 Marco Alfaroli

 

Il signor Kijri attendeva con ansia il volo per Gramiika, che poi era l’ex Vancouver. Dopo tutto quello che era successo, però, nessun canadese di un tempo l’avrebbe riconosciuta.

A causa di un brutto incidente, aveva perso la vista. Col passare degli anni, tuttavia, era riuscito a sviluppare gli altri sensi in maniera da compensare la grave perdita. Quelli come lui sapevano farlo molto bene.

Teneva stretta a sé la valigetta, con tutto l’occorrente per i suoi viaggi d’affari, compresa la tavoletta braille.

Fuori, oltre la vetrata della grande sala d’attesa, pioggia e fulmini flagellavano senza pietà le piste di rullaggio, il tetto dell’aerostazione e i velivoli fermi sui parcheggi.

Kijri sentiva tutto.

In pratica vedeva tutti quelli che stavano intorno a lui, anche senza la vista. Ne avvertiva i loro movimenti, il respiro e il loro odore. A volte, gli pareva di percepire persino i loro pensieri. Ma sicuramente si stava sopravvalutando.

Volare non gli era mai piaciuto. Purtroppo il suo lavoro lo obbligava a spostamenti continui. E, viste le distanze da coprire, il vibroplano era il mezzo migliore che potesse utilizzare.

Se gli aerei del passato erano sempre stati considerati statisticamente sicuri, il vibroplano lo era ancora di più: per realizzarlo non era stato necessario nessun calcolo di portanza, e quindi di dimensionamento delle ali. Gli ingegneri aerospaziali, ogni volta che ne progettavano uno, dovevano preoccuparsi solo di tenere sotto controllo l’antimateria. Questa, infatti, protetta da speciali campi di forza, esercitava un’azione repulsiva sulla materia e permetteva il volo dell’apparecchio.

Kijri, però, non si sentiva mai tranquillo quando saliva su uno di quei bestioni d’acciaio.


«Attenzione: il volo 336 diretto a Gramiika è in partenza... potete avviarvi all’imbarco. La Compagnia vi augura buon viaggio».


«Ah, finalmente» disse il signor Kijri. Si alzò e si diresse al gate, insieme agli altri passeggeri.

Fece appena in tempo a mettersi in fila, e subito un odore acre lo avvolse.

Era tremendo. Da dove arrivava? Fu preso dal panico.

«Mi scusi» disse alla femmina che lo precedeva «sente quest’odore sgradevole?»

«Cosa vorrebbe insinuare con questa domanda?» rispose stizzita. «Io profumo, lo sa?»

Si ritrovò solo con l’odore nauseabondo e con quella stupida femmina che gli voltava le spalle offesa.

Arrivò il suo turno per il controllo dei documenti. Quando fu davanti agli addetti chiese: «Non sentite niente?»

«Che cosa dovremmo sentire, signore?» risposero quelli, sfoderando il solito sorriso di circostanza.

«Va bene, lasciamo perdere... fate in fretta con i documenti».

«Stia tranquillo, non perderà certo il volo per colpa nostra».

Il loro sarcasmo non lo divertiva, mentre quella puzza tremenda, invece, lo distruggeva. Recuperò tutte le sue cose e si avviò veloce all’uscita del terminal.

L’odore si attenuò un po’. Fuori si stava meglio. L’aria era umida per la pioggia caduta fino a poco prima e i lampi illuminavano in lontananza il cielo notturno, ora che il temporale si era allontanato.

Lo scivolatore a getto d’aria che trasportò i passeggeri fino al vibroplano era impregnato da quell’aroma pestilenziale e Kijri soffrì molto, ma sperò che una volta salito sull’apparecchio, tutto si sarebbe risolto. Forse era la città che puzzava.

Salì a bordo. La hostess lo accompagnò al posto numero 26 B. L’odore acre c’era ancora e lui camminava con sempre più fatica; gli sembrò che respirare richiedesse uno sforzo immane, al limite delle sue possibilità.

Tentò di controllarsi. Presto avrebbero acceso i condizionatori e sicuramente tutto sarebbe passato. Chiusero i portelli e il velivolo rullò sulla pista. Il decollo antimateria fu quasi istantaneo. In pochi istanti, silenziosi e leggeri, superarono le nuvole e si stabilizzarono in quota.


«Attenzione: siamo a 8000 piedi di altezza, fra circa 25 minuti arriveremo a Gramiika. Procediamo a velocità di accelerazione, si pregano i signori passeggeri di rimanere ai posti assegnati».


Il decollo non aveva causato fastidi ai passeggeri ma tra loro ce n’era uno estremamente agitato, che sudava abbondantemente e appariva smanioso e provato. Era il signor Kijri. Sentiva che non avrebbe resistito ancora per molto.

Un suono di avvertimento e una spia lampeggiante sulla consolle allertarono la hostess in fondo al velivolo.

«Il passeggero al posto 26 B si sente male!» urlò, alzandosi di scatto seguita da due stewart. In un attimo furono da lui.

«Signore, riesce a sentirmi?» gridò e prese a scuoterlo.

Kijri alzò gli occhi ormai spenti, mentre le sue squame si staccavano e cadevano.

Un passeggero, alcune file più indietro, sganciò la cintura, abbandonò il suo posto e venne in soccorso.

«Sono un medico!»

La hostess sbatté le ciglia dei suoi tre occhi. Un medico era quello che ci voleva e si sentì sollevata. Lui, velocissimo con le sue quattro mani, rilevò il polso, esaminò la pelle che si staccava secca come il cartone e controllò le pupille velate.

«Ma siete impazziti? Ci sono due nativi sul vibroplano. E lui è un rettiloide di Centauri».

Il personale di volo lo guardava senza capire. Il dottore, allora, indicò qualcuno in fondo al velivolo. Dagli ultimi due posti fecero capolino una bambina e suo padre.

«I rettiloidi sono allergici alla sudorazione umana. Non lo sapeva nessuno, qua dentro?»

«Beh, gli umani sulla Terra sono pochissimi. È molto raro vederli in viaggio su un vibroplano» disse la hostess.

Il medico, un Perchiudos millenario, tornò a occuparsi del paziente.

«Si sta difendendo».

«Cambiando pelle?»

«È l’unico modo per superare la crisi. Avete del Grakzar tra i medicinali?»

«Sì dottore, vado a prenderlo?»

«Fate presto!».

La hostess si precipitò verso la cassetta medica; il Perchiudos dalla pelle blu guardò i due umani in fondo al velivolo. L’uomo stringeva a sé la sua bambina che continuava a giocare con la piccola consolle elettronica.

«Abbiamo fatto il biglietto, come tutti...»

«Lo so» rispose il medico «non è colpa vostra, avete rischiato l’estinzione in passato, e ora state lentamente ripopolando il pianeta. Il fatto è che ci sono specie non compatibili col vostro organismo. Dovreste evitare di incontrarvi».

La hostess tornò col farmaco. Il dottore ne somministrò immediatamente una capsula al signor Kijri.

Le luci della città di Gramiika apparvero sotto di loro.


«Attenzione: mancano tre minuti all’atterraggio. Il clima è ottimo e la temperatura serale è di 24 gradi. Siamo felici che abbiate deciso di viaggiare con noi».


Il signor Kijri si era ripreso. Non ancora del tutto, ma comunque abbastanza; il cambio di pelle e la medicina gli avevano permesso di superare la crisi. Ora desiderava solo uscire all’aria aperta, lontano da quei due umani. Pur con i suoi sensi sviluppati non si era accorto di loro, forse perché non ne aveva mai incontrato uno.

Il vibroplano atterrò in perfetto orario e il primo a scendere fu proprio il signor Kijri. Uno steward lo accompagnò fino al presidio medico.

«Siamo profondamente dispiaciuti per l’accaduto. Se più tardi vorrà passare dai nostri uffici, potrà compilare il modulo per la richiesta di rimborso del biglietto. È previsto, in questi casi».

«Grazie, ma non credo che lo farò. Ho solo voglia di andare in albergo e rilassarmi».


Al presidio gli fecero perdere tempo. Esami inutili, domande sulle sue abitudini alimentari e stress per almeno due ore. Quando finalmente uscì, si precipitò a chiamare un taxi.

Uno scivolatore a getto d’aria di color giallo ocra lo raggiunse poco dopo. Arrivò volando e scese lentamente accanto a lui. Lo sportello si alzò verticalmente e l’autista parlò. Era un Cronolide.

«Ben arrivato signore, lei è il mio cliente n. 50000 e ha diritto a uno sconto del cinquanta per cento sulla corsa».

«Ottimo, questa è una buona notizia. Mi porti al Dragmas Hotel».

Si accomodò sul sedile. Il peggio era passato.

«Ha detto Dragmas Hotel? Ho appena portato laggiù una bellissima bambina umana e suo padre. È difficile incontrare dei nativi. A me, invece, è successo, sono stato fortunato».

«Cosa?» balbettò Kijri mentre il vetro per la privacy si alzava separando l’autista dal passeggero. L’odore di esseri umani impregnava tutto là dentro. Gli arrivò subito addosso, lo aggredì. Lui ricominciò a sentirsi male.

Per un attimo, dubitò di giungere vivo all’Hotel. Ma forse si stava sottovalutando.

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