giovedì 1 dicembre 2022

Un racconto di fantascienza sull'invasione

 


 

La guerra continuava da più di trent’anni. Praticamente dall’anno prima della mia nascita, così almeno mi aveva detto mio padre.

Loro erano arrivati all’improvviso, avevano distrutto la nostra Base sulla Luna e subito dopo la Stazione Internazionale. Poi avevano squarciato le nuvole con i loro giganteschi dischi e si erano posizionati sopra le maggiori città del mondo. La reazione delle nazioni terrestri fu tempestiva, ma per niente coordinata. Ognuno attaccò gli extraterrestri per conto proprio, mentre questi atterravano con i mezzi da sbarco. Furono usate tutte le armi disponibili e quando la situazione volse al peggio si decise di impiegare anche quelle nucleari. Fu la catastrofe!

Già dopo il primo mese di guerra l’ottanta percento della popolazione mondiale era stata decimata dalle radiazioni. In pratica i difensori avevano fatto più danni degli attaccanti, per questo si decise di cambiar rotta: i superstiti furono portati al sicuro, nel sottosuolo, e le nazioni cessarono di esistere. Fu nominato un Presidente della Sopravvivenza Umana e per la prima volta nella Storia tutti i popoli, o quello che ne restava, vennero riuniti contro il nemico comune.

Purtroppo la nostra vita nel sottosuolo è troppo simile a quella dei topi. Io non ricordo neppure il mio nome, non ho avuto un’infanzia e già a sette anni mi addestravano al combattimento. Oggi sono Sergente della fanteria, equipaggiato col meglio della tecnologia offensiva terrestre, e sono l’ultimo baluardo a difesa dei resti dell’umanità.

Attivazione squadre: tutti i componenti pronti per l’azione in dieci secondi, nove, otto, sette, sei...

«Preparatevi al combattimento!» tuona il Capitano.

Gli uomini controllano l’attrezzatura, le armi al plasma e il livello della tensione repulsiva sulle corazze. Devo occuparmi della squadra tre, ma il Capitano è responsabile dell’intera compagnia e leggo nei suoi occhi quanto gli pesa.

«Gli ordini sono semplici: dobbiamo catturare uno Scarafaggio vivo. È molto importante, ricordatelo» continua il Capitano.

Uno scarafaggio vivo? Penso che al Comando siano impazziti. Non è possibile prendere vivo uno di quei bastardi! Sono tre volte più grandi di noi e possono farci a pezzi perfino se li stendiamo. «Capitano, ha idea di quanti ci resteranno secchi, nel tentativo?»

«Lo so, Sergente, ma sembra che gli scienziati abbiano messo a punto un virus che può rendere la pariglia agli invasori. Pareggeremo i conti una volta per tutte se ne cattureremo uno. Sarà infettato durante l’azione di un sedativo e poi lo rilasceremo. I suoi simili non sospetteranno nulla e siccome i primi sintomi si manifesteranno dopo un mese dal contagio, quando avranno i primi morti sarà troppo tardi per fermare la Pandemia. Naturalmente gli umani sono immuni».

«Ho capito, abbiamo un’insetticida per gli Scarafaggi».

«Esatto, Sergente. Ora muoviamoci: le squadre due e quattro attueranno un diversivo appena incontreremo la pattuglia nemica. Voglio uno scontro frontale con tutto il fuoco disponibile, teniamoci bene al coperto. Le squadre uno e tre li prenderanno alle spalle. Dobbiamo eliminarli in fretta risparmiandone uno e sappiamo bene quanto sia pericolosa una belva ferita».

Usciamo dal boccaporto in fondo alla galleria di risalita. Ci passiamo uno alla volta e il primo sono proprio io. Mi guardo intorno puntando il mitragliatore, così copro l’uscita degli altri. Sembra tutto tranquillo, abbiamo fatto abbastanza casino con la galleria nove e il grosso dei loro incursori deve essere accorso proprio là.

Alzo in alto lo sguardo, uno di quei dannati dischi copre metà del cielo. Non capirò mai come fanno a stare fermi così, a mezz’aria. Torno a contemplare il paesaggio, le macerie che ci circondano sembrano una moderna Stalingrado distrutta dai nazisti. Un tempo qui c’era una strada, c’erano auto, persone, grattacieli, c’era la frenesia della vita quotidiana. Ora ci sono le macerie. E ci siamo noi con la nostra missione.

«Squadre, distanziamoci e avanziamo. Ci comunicheranno il punto di estrazione a missione compiuta. Per trasportare il prigioniero occorrono un mezzo pesante e una scorta».

«Ricevuto, Capitano» rispondo nel comunicatore mentre faccio cenni alla mia squadra di spostarci a sinistra. Gli altri sergenti danno il Roger.

Passiamo a fianco al relitto di un caccia abbattuto nei primi giorni di guerra, vedo i resti del pilota, non ha fatto in tempo a eiettarsi. Più avanti superiamo due carri armati, hanno la corazza fusa dai raggi alieni, trent’anni fa non avevamo ancora rubato la tecnologia della tensione repulsiva. Gli equipaggi fecero una morte orribile.

Il Capitano è con la squadra due, davanti. Il ripetitore sotterraneo invia il segnale al suo tracciatore, credo che abbia già localizzato la pattuglia di Scarafaggi più vicina. Ci fa cenno di seguirlo tra le rovine del grattacielo dinnanzi a noi, entriamo e ci inoltriamo nella voragine aperta sotto le fondazioni. Avanzare bassi è sempre un bene e se lo fai alcuni metri sottoterra è ancora meglio. Camminiamo per dieci minuti senza incontrare anima viva, la voragine ha coinvolto molti edifici e l’abbiamo usata altre volte per spostarci. Finita quella copertura proseguiamo tra le lamiere contorte e i detriti di calcestruzzo, in modo da essere bersagli difficili per il nemico.

«Eccoli, sono a cinquanta metri da noi, dietro quel palazzo» ci avvisa il Capitano col comunicatore «squadre uno e tre, prendeteli alle spalle, noi attacchiamo!»

«Ricevuto per squadra tre» dico io «aggiriamo da est».

«Squadra uno, ti seguiamo».

Da questo momento siamo tagliati fuori dalla metà dei nostri compagni, che forse si faranno ammazzare per darci il tempo di portare a segno la missione. Deve valerne la pena, per cui non possiamo sbagliare.

Aggiriamo in fretta, passiamo sotto una trave che sostiene un cumulo di detriti, speriamo non ceda proprio ora. Svoltiamo l’angolo dell’edificio a avanziamo compatti. Oltre un intreccio di ferri rugginosi, tubazioni e altre condutture saliamo su una collina di laterizi rotti. Eccoli! Sono il primo a vederli, ordino alla truppa di tenersi bassi. Ci fermiamo a tiro di mitragliatore e comunico: «Squadre uno e tre in posizione».

«Bene, iniziamo i fuochi artificiali» risponde a tutti il Capitano e un presentimento mi dice che è l’ultima volta che lo sento.

I bagliori e i boati dei fucili al plasma annunciano l’inizio della battaglia. Da dove siamo non vediamo i nostri, vediamo solo gli Scarafaggi che ci voltano le spalle, sempre se quell’ammasso di sporgenze, placche e antenne possa essere chiamato spalle. Ne conto quattro, troppi per una sola compagnia.

Ordino ai miei di mirare a quello centrale, apriamo il fuoco e lanciamo anche un paio di granate soniche. Altro fuoco arriva dalle squadre due e quattro, bombe comprese. Lo spostamento d’aria è tremendo, il fumo e la puzza di carne aliena bruciata è ovunque, forse ce l’abbiamo fatta.

No, non è fatta per niente, uno di loro è ancora in piedi e lancia lampi azzurri da ogni tentacolo che fuoriesce dal guscio, sono diretti sui nostri dall’altra parte e dubito che le corazze siano sufficienti a respingerli tutti. Sento le grida strozzate degli uomini! Continuo a sparare, è l’unica cosa che posso fare per aiutarli.

Uno di quelli caduti a terra si rialza, i suoi tre occhi fiammeggianti ci puntano traboccanti di collera. Galoppa verso di noi. I tentacoli, le zampe uncinate e gli arti che reggono le armi a raggi lo fanno somigliare più a un ragno che a uno scarafaggio. Ormai ci è addosso.

«Granate!» impreco «lanciatele o siamo fottuti!»

Nessuno di noi fa in tempo, è troppo vicino. Arretriamo e spariamo ma già i primi vengono travolti dalla furia. Il Caporale, tagliato in due, stramazza in un lago di sangue bianco. Altri tre soldati, raggiunti nell’istante successivo, vengono smembrati e vedo con orrore i loro tubi vitali sparsi dappertutto. Indietreggio, il mostro mi raggiunge. Sparo, sparo e sparo ancora! L’ho trafitto con tutta l’energia che avevo a disposizione, sono sicuro che è quasi morto, eppure i suoi uncini calano su di me. Sento il dolore che mi lacera inesorabile.

Il buio mi oscura la vista, non sento più niente.



***



Situazione soggetto: stabile. Parametri funzionali: in ripresa.

«Li hanno riportati a pezzi».

«È già qualcosa se il recuperatore è riuscito a raccoglierli».

Sento i tecnici, apro gli occhi e li vedo, in ambiente sterile, con tute antiradiazioni e maschere a filtro, mi stanno operando. Mi hanno salvato! Credevo di essere morto. Il resto della squadra... la compagnia... il Capitano, sono riusciti a salvare anche loro?

«Il computer rileva un residuo di coscienza».

«Com’è possibile? La CPU è isolata dall’ambiente circostante».

«Forse l’elaborazione arriva da un circuito periferico».

«Allora cancelliamo la memoria e riprogrammiamo il soggetto. Quegli schifosi alieni hanno fatto un bel casino».

Riprogrammare? Che stanno farneticando questi due, io sono un uomo! Sono quasi morto per salvare il loro culo e vogliono riprogrammarmi? Che cazzo sta succedendo?

«Queste ferraglie sono la carta migliore che abbiamo, non potremmo sopravvivere là sopra, con tutte quelle radiazioni».

«Non potremmo sopravvivere neppure in un corpo a corpo con quei mostri. Abbiamo rinforzato i nostri campioni, anche se, a giudicare da questo sfacelo, non abbastanza».

«Centrale» il tecnico parla nel comunicatore «Abbiamo tre androidi completamente distrutti. Il resto della compagnia, invece, è ripristinabile. Però servono molti ricambi. Per ora ne abbiamo aggiustati quindici».

Dall’altra parte qualcuno sbraita che bisogna ritentare la missione il più presto possibile e il tecnico aggiunge la novità che riguarda me, sdraiato sul lettino: «Ne abbiamo uno qui, con i circuiti mnemonici pieni. Potrebbe comprometterla, la missione».

Cancellate e riprogrammate con personalità standard, ci serve l’emotività umana per vincere, è la risposta secca.

«Visto? Ne ero sicuro» sorride un tecnico all’altro.

«Eppure è un caso eccezionale. Potrebbe trattarsi della prima autocoscienza in una macchina».

«Beh, nella situazione in cui siamo non possiamo certo perderci dietro ai dilemmi sull’intelligenza artificiale. Se non liquidiamo gli invasori siamo spacciati e ci occorre ogni risorsa».

Fermi! Che diavolo fate! Fermi! Non abbassate quella leva…



***



Soggetto ripristinato con successo: memoria cancellata e personalità standard installata.

Dove mi trovo? Che mi è successo? Mi sollevo lentamente, non ho dolore. Bene! Mi metto seduto sul lettino, sono nella sezione sanitaria. Evidentemente i dottori si sono presi cura di me. Perché? Ah, ora ricordo: l’incidente durante l’addestramento. Il Capitano mi ha portato all’infermeria e lì devo aver perso i sensi.

Spero di non essere fuori dalla squadra operativa, quei maledetti Scarafaggi stanno vincendo. Mio padre mi disse che arrivarono l’anno precedente alla mia nascita, da quando esisto la Terra ha conosciuto solo guerra e devo fare qualcosa per mettere fine a tutto questo, anche a costo della vita.

Soggetto in standby, riprogrammato per la missione virus. In carica per settantadue ore prima dell’azione.



***



Attivazione squadre: tutti i componenti pronti per l’azione in dieci secondi, nove, otto, sette, sei...

Eccoci pronti. Gli uomini controllano l’attrezzatura e così faccio anch’io. Il Capitano è deciso portare a compimento la missione. Dobbiamo catturare uno Scarafaggio vivo, la cosa è di vitale importanza. Se i nostri scienziati riusciranno a infettarlo vinceremo la guerra. Lo ascoltiamo con ammirazione.

«Abbiamo una sola occasione, uomini, prenderemo la galleria di risalita. Voglio due squadre per l’attacco frontale e due per prenderli alle spalle, questa volta sarà la volta buona. Ne sono sicuro!»

Lo ascolto, eppure... ho come un déjà vu...

 

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