giovedì 15 ottobre 2020

Base Lunare Alfano

 

Sto ancora ridendo per l’ironia contenuta in questo racconto, che potrà essere apprezzato solo da chi amò l’ormai preistorica serie TV Spazio 1999.

Gianluca Gemelli fonde la politica italiana con la fantascienza britannica e inonda la fusione con una forte dose di umorismo. Il risultato sono il comandante John Letta, la dottoressa Helen Bonino, il professor Victor Saccomanni e il commissario politico Alfano, impegnati nel rovesciamento completo della trama originale.

Da leggere tutto d’un fiato!

 



SEPARAZIONE – Gianluca Gemelli


Il comandante John Letta guardava preoccupato la Terra sorgere dall’orizzonte lunare. La Terra... Così vicina eppure così lontana... Gli sembrava strano, in ogni caso, che il suo destino e quello di tutti i residenti della Base Lunare Alfano, dipendesse da decisioni prese sulla Terra.

Mentre sulla Terra i membri della Commissione Democratica Spaziale discutevano, bevendo cappuccini, seduti in comodi uffici, o magari passeggiando in un giardino... Mentre dibattevano su realtà di cui conoscevano poco o nulla, lui e i suoi lavoravano duramente ogni giorno, in spazi angusti, bevendo acqua riciclata e respirando aria viziata, cercando di tener sotto controllo lo spread magnetico.

Perfino Alfano, il geniale commissario politico che era riuscito a dare il proprio nome al progetto della base lunare, perfino lui ora era caduto in disgrazia, e si trovava chissà dove alla deriva nello spazio! Com’erano lontani i tempi della sua ascesa politica! Voltare le spalle all’anziano presidente di Forza Spazio, che a suo tempo era sembrata la cosa giusta da fare, si era rivelata una scelta suicida.

E lui? John Letta? Sulla Luna aveva fatto un buon lavoro, ne era sicuro. Tutti davano per scontato che la base lunare sarebbe stata abbandonata, a causa degli enormi costi e della crisi economica. E anche per quel campo magnetico che non faceva che aumentare, per motivi misteriosi, nella zona della discarica di Malacratere. La Base Lunare Alfano sembrava spacciata. Forse per questo ci avevano mandato lui, lassù.

Invece negli ultimi mesi era riuscito a tenere unito il personale male assortito della base e a rimandare per ben tre volte il pagamento della temuta IMU (Illegal Moon Use) che minacciava di far fallire la base. Quanto allo spread magnetico, grazie agli sforzi del professor Victor Saccomanni, finalmente era tornato a scendere.

John, sei preoccupato?

La dottoressa Helen Bonino gli si era avvicinata. Lei era in ansia se lui lo era. C’era una decisa empatia, tra i due.

Io? No, preoccupato no. Non direi. Solo... Mi dispiace di dover abbandonare tutto. Proprio ora che... Ancora un po’ e, con il piano dei risparmi, la raccolta dell’uranio porta a porta e la privatizzazione delle Aquile... Ancora un po’ e avrei potuto riportare questa dannata base lunare in attivo. Oh, Helen, se soltanto mi dessero ancora fiducia, se soltanto mi lasciassero lavorare!

Hai fatto molto, John. Il resto non dipende da te. È il nuovo presidente della Commissione Democratica Spaziale, lo sai. Lui è geloso della tua popolarità. Gli alti costi della Base Lunare Alfano sono solo un pretesto.

Ho trovato una situazione... Quando sono arrivato qui, intendo. Sprechi di tutti i tipi: Aquile blu a tutto spiano, risorse dissipate in assurdi esperimenti per fabbricare la birra sintetica... Ho cambiato tutto, e sono mesi che vivo di acqua riciclata e mi sposto con una mini-aquila, e la piloto personalmente. Sono un ottimo pilota. Ma ho tutti contro, ormai. E quel che è peggio, tutti noi quassù, tutti noi... stiamo per perdere il posto, e io non posso farci niente!

Oh, John! Non preoccuparti, un posto alla Commissione Spaziale Europea te lo rimediano sempre!

Sì, ma io...

La cicala sgradevole dell’interfono interruppe le sue riflessioni:

John! John! − il viso del professor Victor Saccomanni comparve in video sulla parete dell’ufficio del comandante.

Che succede, Victor?

Lo spread, John! Lo spread magnetico! Sta ricominciando a salire! Sta salendo velocemente! Dobbiamo mettere immediatamente in funzione il nostro piano di raccolta dell’uranio porta a porta!

C’è qualche rischio?

E me lo chiedi? Quel che abbiamo sempre temuto sta accadendo sotto i nostri occhi. Dobbiamo allontanare subito le scorie radioattive dalla discarica di Malacratere. Se non facciamo qualcosa, e se non lo facciamo adesso, rischiamo un disastro di dimensioni apocalittiche!

Cosa intendi per disastro di dimensioni apocalittiche?

Una gigantesca esplosione, John! Gigantesca!

Una esplosione gigantesca, dici? E potrebbe... Potrebbe...

Potrebbe? − domandò Victor Saccomanni.

John! Cos’hai in mente? − chiese preoccupata Helen Bonino.

Mi chiedevo se questa gigantesca esplosione di cui parli potrebbe far uscire la Luna fuori dall’orbita terrestre! − disse John Letta accarezzandosi la pelata.

Victor Saccomanni era perplesso.

Non lo so, John. In teoria è possibile... Ma non so se... John! John! Dove vai!

Ma il comandante non lo ascoltava più. Corse alla sua scrivania e premette il bottone che apriva la parete che separava il suo ufficio dalla sala controllo. Di fronte a lui comparve il pannello di controllo del computer e, in piedi accanto a una bottoniera di luci colorate, l’ufficiale di colore Davida Kienge, responsabile del computer.

Kienge! − chiamò il comandante. È occupato, il computer?

Veramente sta calcolando il numero di insulti ignoranti che ho ricevuto da parte della Lega Terrestre questo mese.

E ne avrà per molto?

Tutta la giornata, temo.

Interrompa l’operazione. Mi serve una risposta, subito.

John, che intenzioni hai? − chiese ancora la dottoressa Helen Bonino.

Kienge, chieda al computer quanto uranio bisognerebbe aggiungere alla discarica di Malacratere per ottenere un esplosione in grado di proiettare la Luna fuori dall’orbita terrestre!

Ma John! Sei impazzito?

Non capisci, Helen? Potremmo viaggiare nello spazio! Liberi! Senza più dipendere dalla Terra! Nessuno di noi perderebbe più il lavoro! Nessuno!

John! − Victor Saccomanni li raggiunse di corsa. − Forse ho capito le tue intenzioni. Ma devo metterti in guardia!

Victor! Forse l’esplosione di cui parlavi è la risposta a tutti i nostri guai!

John! È un rischio troppo grande! Potresti distruggere l’intera Luna!

Se c’è una possibilità di salvare la Base Alfano dalla chiusura, io voglio saperlo!

Ma ci sono calcoli difficili da fare, bisogna essere precisi... E noi non abbiamo tempo!

Per questo ho detto a Kienge di chiederlo al computer! Kienge! Che dice il computer?

Sta calcolando, comandante, − rispose la donna.

Ma John, non avrai veramente intenzione di separaci dalla Terra!

Perché no? Se Alfano si è separato da Forza Spazio, anche io posso separarmi dalla Commissione Democratica Spaziale!

Si ma noi altri? − obiettò Helen, indicando sé stessa e Victor Saccomanni.

Tutti noi, qui dentro siamo qualcuno, valiamo qualcosa. Sulla Terra non siamo nulla.

Helen e Victor tacquero, pensosi.

Se solo il computer ci desse una risposta positiva... − mormorò il comandante.

In quella il computer sputò finalmente una specie di scontrino fiscale, che finì nelle mani di Kienge.

Sì! La cosa è fattibile, comandante! − esultò la donna.

Renzi, tiè! − gridò il comandante Letta. − Victor! Annulla tutti i Porta a porta: ordina a tutte le Aquile di trasportare le scorie radioattive a Malacratere! Si parte!

 

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lunedì 12 ottobre 2020

Battlestar Galactica

Stagione 1 - Episodio 26 - Disperso




Della neve sporca cadde dagli alberi sulla testa di Scorpion. Odiava il freddo. Si scrollò il ghiaccio dai capelli. Tirò fuori l’ultimo sigaro dal taschino e lo accese. Il suo Viper stava ancora bruciando. Forse la cosa migliore era rimanere lì, per riscaldarsi.
E i Cyloni che l’avevano abbattuto? Non voleva diventare un bersaglio troppo facile. Decise che bisognava muoversi.
Certo che quelle maledette teste di latta avevano migliorato la mira, ultimamente.
Si guardò intorno: era circondato dalla foresta innevata. Senza tecnologia diventava un problema anche solo orientarsi.
«Mi hanno fregato! Questa non gliela perdonerò mai». Tirò una boccata di fumo, guardò la brace del sigaro e mormorò: «Per fortuna ci sei tu a scaldarmi».
Accennò un sorriso beffardo e sfidò il destino. Affondando nella neve fino alle ginocchia, iniziò a farsi strada tra i rami carichi di neve. La direzione? Una a caso.


***


Sul Galactica, il comandante Adamo e il capitano Apollo seguivano le informazioni sullo schermo del computer.


Pianeta Grontag,
territorio controllato dai Cyloni.
Clima: freddo.
Ambiente di tipo terrestre.


«Scorpion è ancora vivo, lo sento» disse Apollo.
Il comandante Adamo era silenzioso. Era logico rischiare una flotta per cercare un uomo? No. Si rivolse a suo figlio con espressione grave.
«Non possiamo provarci, Apollo. Le nostre navi devono andare avanti e i Cyloni sono troppo vicini. Scorpion è da considerarsi morto».
«Non possiamo abbandonarlo così! Non lo faremmo con nessuno dei nostri!» sbottò Apollo.
Intervenne il colonnello Tigh: «È una questione di carburante. Una missione di soccorso non avrebbe autonomia per tornare, a meno che non ci fermiamo ad aspettarla. Questo però offrirebbe un grosso vantaggio al nemico. Un vantaggio che potrebbe esserci fatale».
Apollo, con una smorfia stizzita abbandonò la plancia, furibondo.


***


Tre caccia Cyloni passarono sopra gli alberi a bassa quota. Il frastuono dei motori provocò una forte vibrazione e fece cadere molta neve. Scorpion, che si era gettato a terra, li seguì con lo sguardo. Lo stavano cercando.
«Non hanno altro da fare? Potrebbero ungersi le giunture, o ricaricarsi le pile».
Udì un rumore. Lo scricchiolio di un ramo che si rompe. Subito abbassò lo sguardo sulla candida distesa che aveva davanti. Vide una specie di felino che lo fissava, due pupille rosse come fiamme vive e una pelle verde in contrasto col bianco che lo circondava.
Lentamente portò la mano al cinturone, estrasse la pistola e si preparò a difendersi.
L’animale si voltò e corse via, dileguandosi tra la vegetazione. Il Tenente della flotta, infreddolito nell’insufficiente uniforme coloniale, si alzò in piedi.
Qualcosa di più importante attirò la sua attenzione. Dritto davanti a lui, in lontananza, si vedeva un fumo nero.
«C’è qualcuno laggiù. Beh, andiamo meglio. Almeno ora ho una direzione da seguire».


***


Apollo, seduto al posto di guida dello Shuttle, azionò tutte le levette per l’accensione dei motori. Uno dei tecnici dell’hangar gli fece cenno attraverso il vetro che il rifornimento era terminato. Posò a terra il tubo e si allontanò.
«Come sarebbe a dire, la missione non è autorizzata da tuo padre?» chiese Boomer, accanto a lui.
«Non è autorizzata, ma mi prendo io tutta la responsabilità. Il Galactica ci aspetterà, ne sono sicuro».
Sheba e Boomer, che avevano accettato di seguirlo in quella che doveva essere una missione di salvataggio, ora lo guardavano perplessi.
«Che c’è? Volete abbandonare Scorpion?»
Certo che non lo volevano, ma non volevano neppure fare i cani sciolti.
«L’hanno colpito» disse Boomer. «C’ero anch’io, ho visto l’esplosione... non credo che ce l’abbia fatta».
Apollo non rispose e attivò i motori. Un rombo scosse lo Shuttle. Il tunnel intorno a loro fuggì all’indietro, velocissimo. Sembrava che fosse lui a muoversi. Alla fine davanti a loro non ci fu che il nero stellato dello spazio.
In plancia, il colonnello Tigh fece rapporto.
«Comandante, una navetta ha lasciato il Galactica senza autorizzazione. Al comando c’è il capitano Apollo».
Adamo guardava fuori, oltre la spessa vetrata. La sua espressione era molto seria.
«Mio figlio ha messo in pericolo la flotta. E sta facendo tutto questo per un amico. Che gli dei di Kobol possano aiutarlo».
«Ci fermiamo ad aspettarli?»
«No, proseguiamo».


***


Il fumo nero aveva un’origine. C’era una ciminiera e una stazione di pompaggio, macchine in funzione a ciclo continuo, centurioni Cyloni sparsi ovunque a guardia della struttura.
Scorpion, sdraiato sulla neve, osservava il complesso lontano.
Un avamposto per l’estrazione del carburante, pensò, ecco come fanno a rifornire le loro Basi Stellari. Questo impianto dev’essere il più avanzato. Distruggerlo vorrebbe dire fermarli per un po’.
Sorrise. Hai fatto centro, Scorpion.
Iniziò a scivolare strisciando, con prudenza, attento a non farsi scoprire. Si chiese se fosse in funzione qualche rivelatore termico. Con tutto quel freddo l’avrebbero certamente individuato subito. Sperò solo di essere scambiato per uno dei felini che aveva incontrato prima.
Quando arrivò all’obiettivo, si alzò in piedi. Appoggiato di spalle alla parete d’acciaio della cisterna principale, pistola laser in pugno, si affacciò per vedere meglio.
La voce elettronica dei Cyloni segnalò il suo arrivo.


Attenzione, umano tenta di infiltrarsi.
Ordine primario: eliminarlo.


Sparare prima di parlare! Quelle teste di latta non avevano ancora imparato la lezione. Scorpion si sporse e sparò. Ci furono due lampi in sequenza dalla sua pistola e due sui Cyloni che svoltavano l’angolo. Con un’esplosione di scintille in pieno petto andarono in pezzi.
Altri li oltrepassarono subito. La lamiera della cisterna che gli faceva da scudo fu tagliata dal primo dardo di luce. Il metallo incandescente e il fumo lo obbligarono a ritrarsi.
Altri lampi lo bersagliarono inesorabili. I centurioni erano una falange che avanzava compatta.
Schegge e scintille lo ferirono. Corse indietro sparando. Ringraziò Kobol per quanto i Cyloni fossero imprecisi. Diversamente sarebbe già morto.
Oltretutto erano anche lenti. La distanza che accumulò in pochi secondi gli permise di pensare.
Poi vide una grata per l’areazione dell’estrattore. Emetteva un caldo incredibile, ma se fosse entrato là dentro non l’avrebbero rilevato. Riuscì a smuoverla. Entrò e la chiuse dietro di sé.


***


Il viaggio nello spazio durava da alcune ore. Nonostante la velocità della navetta era necessario parecchio tempo per raggiungere il pianeta. Quando entrarono nell’atmosfera, Apollo fece scendere il velivolo e lo stabilizzò a bassissima quota, in modo da ridurre al minimo le possibilità di essere intercettati dai caccia Cyloni.
«Laggiù, guardate. Sono i resti del Viper. Cerco uno spiazzo per l’atterraggio» disse.
La neve soffice si sollevò per lo spostamento d’aria. Il getto caldo dei retrorazzi ne sciolse un po’ producendo un turbine di vapore acqueo. Finalmente il pesante velivolo affondò in mezzo alla distesa bianca e si fermò. Da dietro, scese il goffo cingolato, che si diresse verso il relitto.
Boomer aprì di poco il portello e subito il nevischio gli arrivò sulla faccia. Richiuse subito.
«Che freddo tremendo! Per fortuna non siamo a piedi».
«Scendiamo, dobbiamo ispezionare il Viper e cercare tracce in giro» disse Apollo.
«Temevo che tu mi chiedessi questo».
Fu necessario un certo sforzo per avanzare in quella che ormai stava diventando una bufera. Arrivarono al caccia. La carlinga era semidistrutta, il tetto dell’abitacolo era sollevato. Sembrava che il pilota fosse uscito indenne: non c’erano tracce di sangue in giro.
«È vivo! O almeno era vivo dopo lo schianto. Cerchiamo le sue impronte».
«Aspetta, Apollo» gli disse Sheba afferrandolo per un braccio. «Prima prendiamo sul cingolato le tute termiche. Qui la temperatura scende sempre di più».
«Giusto, andiamo».
Non fecero in tempo perché sentirono il sibilo di un caccia Cylone. Li aveva individuati. Girò in cerchio sopra le sue prede per un paio di volte.
«Presto! Ripariamoci!» urlò Boomer e si gettò a terra.
L’intercettore scese in picchiata, iniziò a vomitare i suoi raggi azzurri in sequenza. Colpì neve, alberi e alla fine centrò lo Shuttle. Un’esplosione immane scagliò scintille e parti metalliche tutto intorno.
Apollo, Sheba e Boomer, ancora sdraiati a terra, alzarono la testa mentre detriti e tessuto bruciacchiato cadevano ancora.
«Attenti sta tornando!»
Il caccia fece un altro giro. Tornò con una seconda picchiata senza risparmiare i suoi laser. Lampi di luce colpirono ripetutamente il suolo sollevando spruzzi di neve e tracciando l’obiettivo.
Anche il cingolato, colpito in pieno, saltò in aria.


***


Scorpion smosse la grata. La situazione sembrava tranquilla.
«Sembra che mi abbiano mollato. Dopo tanto freddo un po’ di caldo ci voleva».
Sbirciò fuori. I centurioni l’avevano superato, non si sentiva rumore di ferraglia... era il momento di muoversi.
Con cautela uscì dal nascondiglio e avanzò lungo il corridoio, tenendo la pistola comunque spianata davanti a sé.
Arrivò a quella che doveva essere la centrale comandi. Non si vedevano Cyloni in giro. Era una cosa logica, del resto, le teste di latta erano soldati, macchine per uccidere. Ma se erano macchine, che bisogno c’era di operatori o tecnici meccanizzati in una stazione di estrazione meccanizzata? Sarebbero state macchine che facevano funzionare una macchina.
Forse tutto l’impianto era un Cylone, che elaborava e prendeva decisioni sulle operazioni della raffineria.
Si trovò di fronte a pannelli e monitor pieni di luci e diagrammi luminosi. Da dove comincio per un sabotaggio? si chiese.


***


«Ho trovato le impronte!» gridò Sheba da lontano. Boomer e Apollo arrivarono affondando nella neve ad ogni passo.
«Il caccia se n’è andato, forse credono di averci eliminati insieme al cingolato».
«Meglio così, non avevamo possibilità contro di loro».
Apollo si chinò sulle tracce.
«Sono impronte di stivali, è lui» disse.
Seguì con lo sguardo le tracce che andavano dritte verso l’orizzonte, in mezzo agli alberi. Oltre la foresta ghiacciata si vedeva una colonna di fumo nero.
«Ecco dov’è andato».
Mentre camminavano in quella direzione, un’ombra oscurò il cielo.
«Lassù, guardate!»
Un gigantesco doppio disco, pieno di tubi, aggeggi tecnologici, rilievi, portelli e grate avanzava sopra le nuvole, lungo un’orbita bassa.
«Una Base Stellare!»
Una miriade di caccia uscì dalla parte centrale del mostro. Scortavano due lunghe navi cisterna.
«Che facciamo ora?» disse disperata Sheba.
«Andiamo, non ci spaventerà certo qualche Cylone in più!»
Apollo sorrise alla battuta di Boomer.


Intanto Scorpion, nella fabbrica, si era dato da fare.
«Ecco, credo di aver pasticciato abbastanza. Se funziona ancora dopo il mio trattamento, smetto di giocare a Pyramid».
Davanti a lui c’erano pannelli smontati, fili strappati e schede elettroniche scollegate. Tutti i diagrammi e le spie luminose lampeggiavano; di sicuro il sistema aveva lanciato l’allarme. Bisognava solo sperare che i danni fossero ingenti e magari non riparabili.
Il tubo sopra la sua testa esplose. Le scintille e il calore lo fecero abbassare d’istinto. Si riparò dietro un macchinario e vide i centurioni che arrivavano sparando. Prese la mira e aprì il fuoco.
Colpì il primo. Ci fu un lampo abbagliante. Un braccio del mostro metallico si staccò e cadde per terra in fiamme. Poi il Cylone rovinò sul pavimento, scosso dalle scariche elettrostatiche. Gli altri lo oltrepassarono e avanzarono.
Scorpion sapeva che doveva fuggire per salvarsi e non perse tempo. La parete a vetri davanti a lui dava su un corridoio esterno; si alzò e gli si gettò contro. I frammenti del cristallo infranto gli graffiarono la faccia ma riuscì a passare oltre.
Senza girarsi verso gli inseguitori fece appello alle sue membra doloranti e con uno sforzo immane riuscì a rialzarsi e a saltare giù dal parapetto.
Molto sotto c’era la soffice neve ad attutire la caduta.


L’istallazione cominciò ad esplodere. Forse era una reazione a catena, forse Scorpion aveva realmente fatto danni considerevoli. Oppure i Cyloni avevano una sorta di procedura di sicurezza automatica: autodistruzione per strutture compromesse che sarebbero potute finire in mano agli umani.
Apollo, Sheba e Boomer sbucavano dagli alberi innevati. Davanti a loro c’era un grande spiazzo con decine di caccia parcheggiati. Al centro, la grossa fabbrica estrattrice in fiamme, devastata da continue esplosioni. In cielo videro la Base Stellare e le navi cisterna ancora in fase di atterraggio. Moltissimi caccia in aria volteggiavano impazziti.
«Guardate! Quello laggiù sdraiato ai piedi della struttura è Scorpion» urlò Apollo.
Non persero tempo e, con quell’apocalisse che faceva da sfondo, affondando nella neve, corsero in soccorso del loro amico.


Attacco umano.
Struttura estrattiva perduta.
Analisi termica della zona. Individuare e distruggere.


I Cyloni non erano abituati alla guerriglia. Agivano in modo logico, sacrificando tutti i rami secchi. Nessuna macchina portò aiuto a quelle che stavano saltando in aria una dopo l’altra.
L’incendio delle cisterne di carburante fece esplodere la fabbrica con un boato assordante.
Scorpion fu portato in salvo all’ultimo momento.
«Presto, tutti dentro uno di quei caccia! Credo di riuscire a pilotarlo» gridò Boomer.
Quando furono a bordo e dopo aver chiuso il portello, Apollo si rivolse a Sheba.
«È vivo?»
«Sì, ma ha perso molto sangue. Dobbiamo tornare in fretta sul Galactica».
«Tranquilla, ci torneremo. Vero Boomer?»
«Ci provo».
L’intercettore si accese, i motori a getto lo staccarono dal suolo, poi indietreggiò urtando contro un altro caccia. Il pilota si riprese tentando di andare avanti... ne urtò ancora un altro.
Finalmente Boomer capì la differenza nei comandi rispetto a un Viper e accelerò, riuscendo a decollare e a salire di quota.
«Ce l’ho fatta! Stiamo volando!»
Sfrecciando a velocità incredibile il caccia salì ancora, finché il cielo azzurro davanti divenne nero quando uscirono dall’atmosfera.
Apollo si voltò e vide una squadriglia di almeno dieci caccia Cyloni che arrivavano a tutta velocità.
«C’inseguono, li abbiamo fatti arrabbiare!»
«Cerco di rollare per schivare i loro colpi».
La pioggia di lampi arrivò puntuale ma Boomer riuscì ad eluderne molti. A bordo, nausea e terrore pervasero tutti.
Un colpo prese l’ala di striscio. Videro le scintille e sentirono lo scossone.
«Questo era vicino! Non so se ne reggeremo un altro».
Scorpion si era ripreso.
«Grazie ragazzi per avermi salvato!» e aggiunse ironico «Adesso salteremo in aria tutti insieme».


Come angeli guerrieri, i Viper irruppero frontalmente illuminando il nero dello spazio. Era la squadriglia blu al completo. Quasi subito innumerevoli lampi rossi tagliarono come lame il vuoto assoluto. Apollo si affrettò a comunicare la situazione.
«Apollo a squadriglia blu. Non colpite il primo caccia che vi viene incontro, ci siamo noi sopra!»
«Apollo? Sono Jolly, allora ce l’avete fatta! Siete tutti salvi?»
«Tutti! E vorremmo rimanerci, copriteci».
«Consideralo già fatto, amico».
Il velivolo fuggiasco s’infilò diritto nello stormo di Viper, che si spostarono di lato per farlo passare e poi richiusero la formazione andando incontro al nemico.
«Jolly: questi sono solo dieci, ma dietro al pianeta c’è una Base Stellare con più squadriglie in appoggio. Sono in superiorità numerica».
«Capita la sfumatura, Apollo. Colpiamo e ci ritiriamo».


La schermaglia fu veloce: dieci intercettori non potevano fare molto contro tutta la squadriglia blu. Centrati da un’incredibile mole di fuoco, subito tre caccia Cyloni esplosero. I Viper superarono i nemici, cabrando per prenderli in coda.
Jolly ebbe quasi subito un caccia nel mirino e aprì il fuoco con i laser. Qualche colpo andò a vuoto, ma poi lo colpì. Il caccia esplose irradiando intorno schegge e scintille. Gli altri arrivarono alle spalle dei nemici e li martellarono con i laser abbattendoli uno dopo l’altro. I Cyloni furono annientati. La squadriglia blu si raggruppò e rientrò.


Sulla plancia del Galactica, alcune ore più tardi, Adamo aspettava suo figlio per il rapporto.
Quando Apollo entrò, tutti interruppero quello che stavano facendo e rimasero in silenzio.
«Padre, sono io l’unico responsabile per l’uscita con lo Shuttle. So di aver disubbidito a un ordine».
Il Comandante lo guardava in silenzio. Anche lui aveva disubbidito a quell’ordine. Al suo ordine! Aveva fermato la flotta per aspettarli ed era felice di averlo fatto.
«Ho saputo che Scorpion ha sabotato i loro depositi di carburante, obbligandoli a fermarsi. Questo ci darà un grosso vantaggio».
«È un ottimo combattente, padre. Ha fatto tutto da solo».
«Mi sbagliavo. Ho pensato solo al calcolo delle probabilità e ho tralasciato il potenziale individuale che ognuno di voi ha. La sua azione ha ribaltato le sorti del conflitto, almeno per il momento. Andrò in infermeria per ringraziarlo, a nome di tutti. Oggi avete vinto un’importante battaglia e il merito è solo vostro».
Il Comandante si avvicinò al capitano Apollo e, con una forte stretta, lo abbracciò.



Battlestar Galactica
Serie TV – Stati Uniti 1978
ideata da: Glen A. Larson
prodotta dalla Universal Pictures