QUESTIONE DI VITA O DI MORTE
©
2016 Marco Alfaroli
Ozxad
manovrò la cloche per diminuire la velocità della nave, abbassò
tre leve sulla consolle e sentì zittire i motori di poppa. Ammirò
per qualche istante le stelle in quel sistema casa dei suoi acerrimi
nemici: gli umani!
Era
troppo tempo ormai che si trascinava la guerra spietata, costata già
l’esistenza a sei colonie del suo popolo. Bisognava metter fine al
massacro, non c’erano alternative: una delle due specie doveva
soccombere e Ozxad aveva ben chiaro in mente quale dovesse essere.
Il
riflesso della sua immagine nel vetro della plancia lo inorgoglì,
non c’erano esseri più belli e fieri di lui e di tutti quelli come
lui nell’intera Galassia. Eppure quei ripugnanti umani si
consideravano molto più belli e lo ritenevano addirittura un mostro.
Mosse lento i tre occhi sporgenti da destra verso sinistra per
seguire il pianeta che gli stava scorrendo davanti, sapeva che gli
umani lo chiamavano Marte in onore di un loro antico dio della
guerra. Ozxad contrasse i suoi tentacoli per la rabbia! Dannato dio
della guerra e dannati umani attaccati alle loro stupide religioni!
Controllò
il display: motori spenti. Nessuna energia residua. Avrebbe
proseguito per inerzia e probabilmente sarebbe sfuggito ai sensori
nemici, o almeno così sperava.
Si
alzò dalla postazione e con le ventose dei tentacoli avanzò
appiccicandosi al soffitto, al pavimento e alle pareti. Raggiunse la
stiva di poppa. C’era la bomba che l’aspettava, sorniona,
luccicante e zeppa di morte. Osservò le spie che brillavano con
regolarità. Tutto era a posto. Avere un ordigno del genere così
vicino metteva paura, averlo attaccato sotto la nave, invece, sarebbe
stato meglio... per sentirsi più tranquilli, anche se ai fini della
pericolosità non ci sarebbero state differenze: se fosse esplosa,
fuori o dentro, avrebbe distrutto la nave comunque. Ma la bomba era
organica e risentiva degli influssi del vuoto assoluto, per questo
doveva restare immersa nella sua atmosfera fino a poco prima
dell’impiego. Certo, quando fosse stata lanciata avrebbe iniziato a
deteriorarsi, e proprio questo era il fattore innescante.
Una
spia cambiò colore, da verde divenne rossa, lampeggiò con frequenza
tripla rispetto a prima e Ozxad impallidì. Subito si dette da fare
con le leve laterali; dall’alto calarono spruzzi di vapore viola e
poi altre sbuffate che sfumavano sull’indaco. Alla fine la bomba si
stabilizzò e Ozxad poté rilassarsi. Si voltò verso la plancia e
appiccicando veloce i tentacoli si diresse al posto di guida. Una
volta piazzato tornò a controllare la strumentazione, Marte era
ormai alle spalle e la Terra era in vista. Scrutò i parametri
energetici, nessuna scia rischiava di tradirlo. Lanciò l’ennesima
scansione della zona, nessuna astronave terrestre di guardia. Questo
era strano, ma pensò che un po’ di fortuna a volte non guastava.
La
vibrazione della consolle lo avvisò della comunicazione in arrivo.
Ozxad premette un pulsante e l’ologramma di un suo simile gli
comparve davanti. Le vibrazioni, il sistema comunicativo della sua
specie, emanate dal suo interlocutore, gli furono trasmesse dal
computer attraverso ogni parte solida della nave.
Sentì
la situazione intorno al suo mondo: la flotta terrestre stava
forzando il blocco, i difensori si battevano con valore ma non
riuscivano ad arginare gli invasori. Vide il secondo pianeta del suo
sistema esplodere... quei dannati avevano lanciato i missili
antimateria. Non si fermavano dinanzi a niente, non si facevano
scrupoli, distruggere era il loro credo e sembrava che si
divertissero a farlo. Dannati per l’eternità! Per fortuna la sua
specie non era così meschina... per fortuna o per disgrazia, perché
sopravviveva sempre il più aggressivo, l’esperienza gliel’aveva
amaramente insegnato. Ricordò le storie così diverse dei due mondi
in lotta. I terrestri si erano evoluti come predatori, erano onnivori
intelligenti che per sopravvivere dovevano mangiare carne, oltre ai
vegetali, sapevano difendersi dai carnivori e sapevano che nella vita
dovevano azzardare per riuscire. Il loro istinto predatorio li aveva
guidati fino al raggiungimento dell’era tecnologica. E oggi li
guidava alla conquista delle stelle.
I
garlas
invece, la sua gente, si erano evoluti come pacifici erbivori e non
avevano mai avuto carnivori intorno a minacciarli, forse perché
nelle loro vene scorreva sangue velenoso, talmente velenoso da
rischiare auto-infezioni se accidentalmente si fossero feriti. Forse
per questo i carnivori, sul loro mondo, si erano estinti. O almeno,
questo avevano detto gli scienziati esaminando i resti degli animali
preistorici: quel veleno era frutto di una mutazione che aveva dato
una chance agli erbivori, una chance che i cugini terrestri non
avevano avuto. L’istinto dei garlas
però non era predatorio; data la loro natura, ciò che li guidava
era la prudenza. E in questo, Ozxad sentiva di avere qualcosa in meno
rispetto agli umani, qualcosa di negativo in meno, naturalmente, ma
che rischiava di essere fatale.
L’ologramma
trasmise altre vibrazioni, l’espressione del suo simile divenne
disperata, Ozxad sentì di essere l’ultima speranza dei suoi.
L’ologramma svanì e Ozxad, più deciso che mai, attivò la bomba.
Si voltò e la guardò mentre scompariva lenta nella botola che le si
era aperta sotto. Attraverso il display la vide spuntare sotto il
ventre della nave, pronta a essere sganciata. I parametri sulla
consolle gli confermarono il deterioramento della materia organica,
l’ordigno era innescato!
Fu
in quel momento che il ricordo dell’umano che avevano catturato
tornò a tormentarlo. Era stato difficile tradurre il suo linguaggio
incomprensibile, isolarlo dai suoni disturbanti che emetteva parlando
e convertire tutto in vibrazioni, in modo da capire.
Ozxad
era stato presente all’interrogatorio, l’umano era apparso
sincero da subito. Si trattava di un soldato che non condivideva gli
obiettivi dei suoi comandanti, odiava la guerra ma era costretto a
combattere. Aveva gridato che sulla Terra non c’era libertà, un
regime oppressivo li obbligava ad attaccare i garlas
e tanti terrestri erano innocenti e avrebbero voluto essere amici.
Ozxad
vibrò per la tensione. Pensò alla bomba! Una volta lanciata sarebbe
esplosa nell’atmosfera terrestre annientando ogni forma di vita.
Avrebbe ucciso milioni di umani, tra loro anche i pacifisti che
soffrivano sotto l’oppressione di quel regime. Eppure non c’era
scelta. Gli umani avrebbero fatto altrettanto se si fossero trovati
in quella situazione. Un umano al suo posto non avrebbe esitato a
lanciare quella bomba.
Portò
il suo tentacolo sulla leva di sgancio, ormai la nave si trovava a un
passo dall’orbita esterna e bastava un gesto per sconfiggere
l’odiato nemico. Ma quel gesto era un crimine orrendo e sarebbe
stato lui a commetterlo.
Ozxad
esitò.
Esitò
un attimo di troppo.
Attraverso
il vetro anteriore della sua nave vide giungere da destra, con una
poderosa virata, un intercettore terrestre. Doveva disporre di un
qualche sconosciuto sistema di schermatura, visto che i sensori non
l’avevano
rilevato. E aveva di sicuro intenzioni ostili.
Ozxad
capì che gli restavano solo pochi attimi di vita e doveva spenderli
bene, per salvare il suo popolo. Abbassò la leva di sgancio,
pregando di non aver perso troppo tempo con le sue esitazioni.
Purtroppo il tempo era scaduto.
Il
missile antimateria lanciato dall’intercettore
colpì la nave un secondo più tardi e tutto fu luce. La
bomba, coinvolta nell’esplosione,
deflagrò disperdendo il concentrato letale nello spazio.
A
decine di anni luce di distanza, il mondo assediato dei garlas
perse la sua ultima speranza di sopravvivere.
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