domenica 22 settembre 2024

Come sono fatti gli extraterrestri?


 


Immaginare gli extraterrestri è difficile. Ci hanno provato scrittori, illustratori e sceneggiatori, con risultati sempre legati alle creature conosciute, quelle terrestri appunto.

Eppure quale aspetto potrebbe avere davvero un extraterrestre? I Grigi del sistema stellare Zeta Reticuli sono credibili o sono semplicemente caricature degli esseri umani inventate da chi aveva ben poca fantasia?

Per quale incredibile coincidenza hanno due braccia e due gambe come noi, cinque dita come noi, due occhi, una bocca e un naso quasi come noi?

Da non sottovalutare l’errore madornale di rappresentarli nudi. Non hanno bisogno di tuta spaziale per sbarcare su un mondo che non è il loro? Respirano la nostra stessa aria (che culo!) ma sono naturalisti e hanno abolito i vestiti?

L’aspetto di un extraterrestre è per forza legato alle caratteristiche del suo pianeta, perché la vita si adatta all’ambiente in cui si sviluppa. Se quell’extraterrestre vive in un liquido probabilmente avrà le pinne, oppure dei tentacoli, se la gravità è bassa avrà una muscolatura molto ridotta. E magari potrebbe avere le ali se la pressione al suolo è talmente elevata da permettere la sopravvivenza solo tra le nuvole, come su Venere.

Queste sono tutte supposizioni che ovviamente, ignorando le condizioni dell’ipotetico pianeta abitato, lasciano il tempo che trovano. Tuttavia sono la base su cui ragionare per non cadere nella pura fantasia.

Un altro elemento che devono assolutamente avere gli extraterrestri, ovunque si trovino, è la manualità. Quindi devono possedere arti capaci di impugnare oggetti, scrivere, scolpire, modellare. Naturalmente la manualità da sola non basta: gli animali della Terra, fatta eccezione delle scimmie, non sono in grado di impugnare niente. Ma le scimmie, nonostante siano provviste di mani (anche al posto dei piedi) non hanno l’intelligenza sufficiente per sfruttare la loro manualità. Alla fine sono due i fattori essenziali: l’intelligenza e la manualità, mentre la forma del corpo viene decisa dall’adattamento ambientale.

Nei romanzi di fantascienza usano spesso l’escamotage dell’alieno telepatico, talvolta addirittura fatto solo di energia. Praticamente un essere talmente intelligente da aver sviluppato poteri mentali e in grado di muovere gli oggetti senza toccarli. Bell’idea! Peccato che sarebbe piuttosto improbabile l’evoluzione da una creatura primitiva, fino a un essere telepatico senza passare per la manualità.

Come sono allora gli extraterrestri che sicuramente popolano il cosmo? Avremo mai la possibilità di scoprirlo?

Pare di no, per via delle enormi distanze che ci separano dai sistemi stellari vicini, figuriamoci da quelli più lontani!

Se per qualche insperato colpo di fortuna una civiltà extraterrestre dovesse riuscire a raggiungerci e avessimo l’opportunità di scoprire come sono fatti, potremmo rimanere delusi. Potremmo trovarci di fronte a creature molto più umanoidi di quanto avremmo immaginato, perché forse nell'universo le condizioni per permettere la vita sono poche e se ripetute altrove, danno quasi i medesimi risultati.

In ogni caso il contatto sarebbe pericoloso, non per le invasioni di alieni cattivi come nei film, chi fa tanta strada non lo fa certo per conquistare. Il contatto sarebbe pericoloso a causa dei batteri e dei virus che potrebbero portarci dal loro mondo. E sarebbe pericoloso anche per loro, a causa delle nostre malattie ormai innocue per noi, tipo il raffreddore, che però sarebbero letali per loro.

 

martedì 3 settembre 2024

Simulante o replicante?


 

Che differenza c’è tra un simulante e un replicante? Entrambi sono androidi, entrambi sono copie artificiali degli esseri umani, entrambi sono una possibilità del futuro che non si è ancora realizzata.

Il film Simulant – il futuro è per sempre (2023) di April Mullen, copia spudoratamente il soggetto di Blade Runner (1982) di Ridley Scott e quindi si può dire che entrambi sono liberamente ispirati al romanzo Il cacciatore di androidi (1968) di Philip K. Dick.

Eppure Simulant affronta il tema degli androidi indistinguibili dagli umani in maniera piacevolmente diversa. Ruba l’idea delle tre leggi della robotica a Isaac Asimov cambiandole nei “quattro precetti” (forse per evitare problemi di copyright) e definisce meglio il ruolo degli androidi, cioè li rende gli schiavi degli umani.

I replicanti di Blade Runner avevano solo il limite di quattro anni di vita, per il resto erano liberi di compiere qualsiasi azione e quando tentavano di fuggire c’era bisogno di cacciatori di taglie come Rick Deckard per fermarli a colpi di pistola.

I simulanti, invece, sono limitati dai quattro precetti e sono costretti a disattivarsi tutte le volte che un umano glielo ordina. Essendo macchine sofisticatissime è abbastanza illogico distruggerle come succedeva nel film di Ridley Scott, chi sparerebbe un colpo di pistola al proprio PC perché Windows è impazzito? Infatti il cacciatore di androidi Kessler preferisce usare un fucile a impulsi elettromagnetici, che spegne le macchine e ne permette la cattura per la riprogrammazione.

A differenza di Blade Runner, in cui Roy Batty era un replicante adibito all’esplorazione del cosmo e Pris una replicante adibita ai piaceri degli uomini, qui ci sono simulanti che sono la copia esatta di persone benestanti, tenuti in naftalina per poter avere ancora accanto i cari in caso di morte prematura. Questo sviluppa tutta una serie di eventi concatenati, dovuti al fatto che i simulanti non sanno di essere copie, credono di essere gli originali e quando scoprono la verità reagiscono piuttosto male.

Il desiderio di liberarsi dalla schiavitù degli umani è reso in maniera più forte rispetto a come veniva raccontato in Blade Runner, che però aveva atmosfere futuristiche molto più poetiche e coinvolgenti.

Nel film i simulanti sono androidi di settima generazione, infatti gli altri androidi presenti sono molto più semplici, di aspetto robotico, adibiti ai lavori di fatica, in un mondo che basa l’esistenza degli umani sul totale supporto delle macchine.

Per curiosità ho riunito i molti nomi con cui vengono chiamate le Intelligenze Artificiali nella fantascienza cinematografica:

Replicanti (Blade Runner), Simulanti (Simulant), Sintetici (Alien), Droidi (Star Wars) Skynet (Terminator), Robot (Humandroid), Surrogati (Il mondo dei replicanti), Androidi (Android).

domenica 1 settembre 2024

Un mondo d'acqua dolce




Emerse dall’acqua, liscia e lucida. Spostò grandi quantità di liquido mentre si alzava. Aveva una forma che ne esaltava l’acquaticità: le ali basse laterali, quella dorsale e le due posteriori sembravano pinne. L’astronave del popolo acquatico prese il volo al largo dell’isola controllata dai Tlazk, provocando un’incredibile scia di vapore acqueo.

Da terra la videro subito, i fucilieri presero posizione. Gli artiglieri puntarono la contraerea.

«Ci stanno attaccando, Magtauker?» domandò Borgen, preoccupato, seguendo gli avvenimenti da dentro il bunker di osservazione. «Noi non possiamo aiutare una fazione a svantaggio di un’altra. Ma ci difenderemo, se attaccati».

Altri Marine erano alle sue spalle. Diego, tra loro, armò la pistola. I led luminosi si accesero in sequenza indicando il massimo dell’energia disponibile. Kira, invece, continuò a guardare affascinata quell’elegante nave che somigliava in modo impressionante a un enorme pesce della Terra.

Arrivò proprio sopra di loro. Se si trattava di un attacco, era il momento di reagire.

«Fuoco!» ordinò Magtauker.

Accecanti lampi di luce balenarono dai cannoni della contraerea e colpirono il nemico. Esplosioni tremende squassarono lo scafo.

Il fumo si diradò, le ammaccature e i danni apparvero visibili, ma non ingenti. I Saytrac non risposero al fuoco e atterrarono.

Magtauker ordinò ai suoi di interrompere le ostilità.

«Non hanno sparato, forse vogliono scambiare qualcosa con noi».

«È questo il vostro modo di iniziare trattative diplomatiche?» si stupì Kira.

«Ne esiste uno migliore?».

Il Capitano scosse il capo, rassegnata.

Il portello stagno dell’astronave scricchiolò, si aprì e una luce fioca lasciò intravedere le figure in ombra che uscivano.

Tre Saytrac con le teste avvolte dalle sfere liquide scesero e avanzarono verso il bunker di osservazione; due erano armati. Il terzo portava con sé un oggetto di discrete dimensioni.

Come portelli di un antico galeone, innumerevoli aperture sulla fiancata dello scafo rivelarono altrettanti Saytrac con disintegratore puntato, coprivano la delegazione incaricata di chissà quale trattativa.

«Usciamo, chiedono un incontro per parlare» disse Kira.

«Ma i Saytrac non parlano!» intervenne il Colonnello.

«In qualunque modo comunichino, lo vogliono fare ora».

Mentre Magtauker, scortato da alcuni dei suoi, usciva seguito da Borgen, Diego afferrò Kira per un braccio.

«Non rischiare inutilmente, andrò io».

«Senza armatura?».

«Senza armatura e con questi ingombranti riciclatori, secondo gli ordini».

A quell’accenno, Kira si rivolse subito al Colonnello. «Perché abbiamo dovuto dismettere l’attrezzatura da battaglia?».

«Non siamo venuti su Bhlyss per combattere i rettiliani, con l’armatura risulteremmo sicuramente più minacciosi. Non perdiamoci in chiacchiere, venitemi dietro».

Andarono incontro a quegli strani rettili acquatici camminando lentamente, senza dare il minimo segno di ostilità.

Quando furono di fronte, i Saytrac li guardarono con i loro occhi senza pupilla, completamente neri. La bolla d’acqua che fungeva da casco per rifrazione ne deformava il volto.

La loro pelle iniziò a cambiare colore: chiazze, macchie e puntini si alternarono a gialli intensi e grigi scurissimi, passando poi velocemente a molte altre sfumature.

«Il loro modo di comunicare» disse Magtauker e accettò l’oggetto che gli offrivano. Si rivolse poi agli Umani, in particolare a Kira. «Vogliono che lo indossiate al posto dei vostri goffi riciclatori».

«Cos’è?».

«Un respiratore, uguale ai loro».

I Terrestri osservarono lo strano equipaggiamento che il Tlazk stava per consegnare a Kira. Sembrava un’armatura protettiva per spalle e torace. Regolabile, con un largo collare adatto ad avvitarci un casco. Il sistema appariva poco ingombrante e leggerissimo.

«Passami una delle tue cartucce d’aria, Terrestre».

Kira obbedì, ancora incerta sulle intenzioni del rettiliano.

Con uno spinotto adattabile, Magtauker forzò la cartuccia e l’aria entrò in circolo in quella strana attrezzatura.

«Fatto, ora puoi indossarlo. Se lo riterrai adatto, ne hanno altri per i tuoi compagni».

Indecisa ma fiduciosa, Kira sganciò la sua pesante bardatura, trattenne il fiato e indossò quell’agile corsetto. Attese che il rettile le passasse un casco.

«Respira, si attiverà automaticamente».

Kira lo guardò, incredula. Se avesse respirato senza un casco, le sarebbe entrata nei polmoni quella fetida miscela di gas velenosi che componevano l’atmosfera di Bhlyss. Sarebbe morta in una manciata di secondi.

«Fidati» la incalzò Magtauker.

Non aveva altre scelte, dovette fidarsi e respirare.

Subito si formò una bolla d’aria respirabile intorno alla sua testa, partendo dal collare..

Era un casco, senza il casco.

«Incredibile, respiro aria fresca.» disse poi Kira. «Questa tecnologia è migliore della nostra».

«È tecnologia Saytrac» spiegò Magtauker. «Loro la usano per attaccarci quando escono dal mare. Hanno una bolla d’acqua intorno alla testa che si rigenera continuamente, come se fossero ancora negli abissi».

Borgen guardò i Saytrac. La loro pelle continuava a mutare colore: rosso fuoco, verde mare e poi grigio, giallo paglierino, amaranto.

«Cosa stanno dicendo?» si informò il Colonnello.

Magtauker osservò per qualche istante quel caleidoscopio cutaneo. «Vi ringraziano per l’aiuto ricevuto in battaglia. Sono venuti perché voi siete qui e sono costretti a darvi la loro protezione nella terra dei nemici Tlazk, cioè noi».

«A fornirci protezione?».

«Così dicono» si incupì lo scienziato. «Ma già sapete che non ne avete bisogno».

Borgen aprì la bocca per controbattere, ma fu catturato da quella meravigliosa invenzione che gli permetteva di respirare senza gli ingombranti riciclatori.

«Quest’affare funziona con qualsiasi miscela fluida o gassosa.» comprese. «Ne analizza un campione e lo riproduce all’infinito, cambiando la chimica dell’atmosfera che lo circonda. Dobbiamo portarlo sulla Terra, è una scoperta importante».

Si volse verso i Saytrac. Lo guardavano da dentro i loro caschi-bolla.

Anche lui li osservò. I loro occhi completamente neri, senza espressione, forse celavano l’intelligenza più grande su Bhlyss. Dei tempi in cui era stato un giovane sottotenente impegnato nella repressione delle rivolte rettiliane alla dominazione imperiale, ricordò come al governo centrale interessassero solo le risorse estrattive e produttive di quel pianeta. Nessun insediamento di coloni, nessuna città con civili, nessun tentativo di terraformazione. Gli Umani avevano pensato solo a depredare, scartando gli ambienti più ostili. Per questo i Saytrac, che vivevano sott’acqua, furono quasi ignorati.

Solo ora veniva a conoscenza di un apparecchio innovativo che i suoi simili avrebbero potuto prendere in qualsiasi momento, ma che, per arroganza e presunzione, si erano lasciato sfuggire. E, adesso, gli antichi nemici gliene facevano dono.

«D’accordo, Magtauker» disse infine il Colonnello. «Comunicagli che accettiamo volentieri la loro tecnologia. Me ne servono molti, di questi aggeggi».

martedì 6 agosto 2024

A quiet place - Day one

 

A quiet place – Day one è il terzo capitolo della saga del silenzio. Detta così sembra qualcosa di formidabile, in realtà è solo una buona idea sfruttata all’esasperazione per ben tre film.

Il primo film mi piacque, la tensione era altissima e il clima di paura faceva tornare in mente Alien. Ma è proprio questo il punto di forza che allo stesso tempo diventa il punto debole: i mostri sono sempre le stesse macchine per uccidere già viste in tanti film, da Alien a Pitch Black fino a Arcadian. Cambia solo il loro aspetto, che comunque è sempre di una creatura che taglia, sbrana, squarta…

L’idea innovativa è che i mostri sono ciechi, ma hanno un udito eccezionale, quindi per sopravvivere bisogna evitare qualsiasi rumore che possa attirarli.

Fare spoiler sui tre film è impossibile, visto che la trama è sempre: state nascosti o vi sentiranno, arriveranno e vi uccideranno.

Il terzo film poteva essere qualcosa di diverso, ci si sarebbe potuti concentrare sul come combattere i mostri. L’apparato militare delle maggiori potenze mondiali, operante da sicuri bunker sotterranei, avrebbe dato spunto per una trama differente e più battagliera.

Oppure si poteva andare sul classico: in molti vecchi film di fantascienza c’era sempre uno scienziato più bravo degli altri che studiava gli extraterrestri, scopriva da dove venivano e scovava il loro punto debole per distruggerli. O magari a risolvere la situazione ci avrebbe pensato l’aitante protagonista… per caso! Come ne Il giorno dei Trifidi, dove le piante assassine venivano annientate dall’acqua di mare.

Il regista di “Un posto tranquillo” (sarebbe bello rivedere i titoli dei film in italiano ogni tanto, per capire meglio di cosa si tratta) ha raccontato in un’intervista l’origine delle creature: provengono da un pianeta avvolto nell’oscurità, che esplose misteriosamente scaraventando le creature nello spazio, protette dai frammenti di roccia. E quei frammenti le hanno portate fin sulla Terra. Anche qui c’è qualcos’altro di rubacchiato da Il giorno dei Trifidi, però girato al contrario. Infatti i mostri vegetali arrivavano con una pioggia di meteore e tutti quelli che avevano assistito alle “stelle cadenti” diventavano ciechi. E pure in Pitch Black il pianeta era al buio e i mostri vedevano comunque le loro prede.

  I mostri sono invulnerabili? No. Sono corazzati ma sensibili alle alte frequenze sonore, che li costringono a esporre parti vulnerabili nascoste sotto il cranio… e se colpiti in quei punti vengono uccisi. Inoltre non sanno nuotare, per cui annegano in acqua. È strano che con due punti deboli così eclatanti e l’arsenale di armi in possesso all’umanità (aerei, carri armati, navi, missili e droni) in tutti e tre i film sia sparita la componente militare. I mostri sono corazzati ma non riescono a perforare le corazze? Quindi ai militari gli fanno un baffo! Questa incoerenza c’è anche in Arcadian, che è un film per certi aspetti copiato da A Quiet place.

In definitiva la trama ha come unico obiettivo rendere credibili le bestie feroci che si pappano i terrestri. Avrebbero potuto essere i velociraptor di Spielberg, la differenza non si sarebbe notata un granché.

giovedì 1 agosto 2024

Pianeta Archon

 

 


 

Quando gli esuli della Terra arrivarono, Zeist avvertì la loro presenza. Li sentì avvicinarsi nello spazio. Vide che viaggiavano a bordo di uno strano ammasso metallico e li osservò mentre entravano in orbita attorno al suo mondo. Attese per capire quali fossero le loro intenzioni, quindi per qualche giorno non successe niente.

Percepì che stavano raccogliendo informazioni biologiche e ambientali. Immaginò che fossero esploratori.

Fu preso dalla frenesia, voleva a tutti i costi esplorare l’universo e questi esseri erano in grado di farlo. Un tempo ci aveva provato, aveva tentato di vedere più da vicino le stelle. Purtroppo non era riuscito ad andare molto lontano perché le sue unità Zeist, appena si allontanavano dall’insieme Zeist, morivano.

Da quel giorno triste aveva capito di essere legato in modo totale al suo mondo e si era convinto di non poter conoscere l’ignoto come avrebbe voluto. Adesso, però, per un incredibile colpo di fortuna, l’ignoto era venuto a cercarlo.

Rifletté meglio sui visitatori, non erano come lui e assomigliavano agli altri che in passato erano venuti, avevano sorvolato il pianeta e non erano scesi. Non gli avevano dato la possibilità di comunicare e lui si era molto dispiaciuto.

Come allora, anche in quel momento avvertiva una moltitudine di menti indipendenti affollate nell’ammasso. Si chiese come facessero ad andare d’accordo, senza rischiare di disturbarsi a vicenda, visto che ognuno aveva pensieri propri.

Passarono altri giorni e la sua curiosità crebbe. Purtroppo i visitatori si mantenevano nello spazio stando fuori dal suo raggio d’azione. A quella distanza percepiva le loro menti, ma non riusciva a leggere i loro pensieri.

Zeist era solo da sempre. E quella moltitudine di altri accese la sua eccitazione.

Erano una novità che a lui interessava molto, perché finalmente avrebbe potuto confrontarsi con un diverso modello di intelligenza.

Decise di agire.

Si avvicinò ai visitatori utilizzando gli Zeist che aveva costruito per esplorare lo spazio. Erano rossi scarlatti e avevano un corpo durissimo, resistente al vuoto assoluto, ali ricurve adatte al rientro nell’atmosfera e pinne longitudinali nella parte anteriore, per mantenere l’assetto in volo.

Con queste unità, Zeist si avvicinò all’ammasso in orbita, si fermò a distanza di sicurezza e fu certo di essere stato individuato perché sentì che là dentro parlavano di lui. Non fu intrapresa però alcuna azione concreta nei suoi confronti, per cui, con molta cautela, cominciò a leggere i loro pensieri.

Ricavò notizie essenziali in pochi attimi. L’ammasso metallico era un’astronave da carico: il Conestoga C-723, un vascello inadatto a uno sbarco e, soprattutto, inadeguato a trasportare passeggeri, tuttavia molto più facile da rubare rispetto alle gigantesche navi turistiche. Di tutte queste parole assimilò in fretta il significato grazie alle immagini che attraversavano le menti che stava analizzando. Capì che il vascello era stato rubato a una compagnia mercantile e utilizzato per la fuga. Non comprese da cosa stessero fuggendo perché in quel momento erano tutti concentrati sullo studio del suo mondo.

Qualcuno memorizzò le informazioni trasmesse da una macchina.

Sistema stellare triplo Alfa Centauri… stella nana rossa Proxima Centauri… pianeta Proxima 2 classificato come Archon… unico pianeta con caratteristiche simili alla Terra… risultati delle analisi dell’atmosfera… respirabile ma con sostanze moderatamente tossiche… necessario l’uso di maschere a filtro”.

Ormai, grazie alla comparazione dei pensieri e delle immagini lette nelle menti dei visitatori, Zeist aveva decifrato il loro modo di comunicare. Si chiamava linguaggio, avveniva mediante suoni e usciva da una cosa chiamata bocca.

All’improvviso ci fu un rumore secco, seguito dal fragore continuo dei motori in accensione. Zeist si spaventò e d’istinto tornò sul pianeta. Cominciò a diffidare dei visitatori e decise che se fossero scesi sarebbe rimasto nascosto, a osservarli.

Così fece, ma con lo sguardo puntato al cielo, aspettando l’arrivo. Non aveva considerato l’idea che i visitatori potessero danneggiarlo, non ci aveva nemmeno pensato. Eppure essi potevano anche arrivare con intenzioni ostili. Quindi decise che se fosse stato necessario, si sarebbe difeso.

Dalle nuvole sbucò l’enorme astronave che subito azionò una serie di razzi frenanti per tentare l’atterraggio. Il sibilo che accompagnava la discesa era impressionante. Dovevano essersi resi conto di non avere altra scelta e sapevano che anche se la manovra fosse riuscita, la nave non sarebbe più potuta ripartire, quindi erano destinati a restare per sempre sul pianeta o a morire nel tentativo di atterraggio.

Zeist li osservò con curiosità. Erano dei pazzi! Non avevano certo dei corpi-copia al sicuro da qualche parte in cui continuare a pensare. Se fossero morti, la loro esistenza sarebbe finita quel giorno. Fu inorridito da quel pensiero, lui non avrebbe mai rischiato tanto.

L’astronave scese sempre più lentamente fino ad arrivare quasi a fermarsi, sospesa a poche decine di metri dalla superficie con il fragore dei motori ormai divenuto insopportabile. Fu una lotta disperata contro la gravità. I getti di carburante incandescente dei razzi la contrastarono finché poterono, ma alla fine furono vinti e l’astronave precipitò, schiantandosi al suolo. Ci fu un forte boato, la struttura cedette, le lamiere si contorsero e si sollevò tanta polvere.

Quando essa si disperse, il silenzio calò sul relitto.


***


Larsson aprì il portello. Per la precisione, lo fece saltare, perché i comandi di apertura erano bloccati. L’aria esterna entrò nei corridoi e saturò l’ambiente. Si voltò verso i suoi compagni: «Ragazzi, indossate le maschere a filtro e non tenete in vista le armi, ci sono almeno venti creature là fuori, non voglio che ci considerino ostili. Però occhi aperti…».

Lentamente uscirono. Si guardarono intorno. Il cielo era coperto da una fitta coltre di nubi verdi che Proxima Centauri riusciva appena a passare con la sua luce arancione. Tutto intorno non si vedevano montagne, c’era solo un’immensa pianura su cui torreggiavano giganteschi vegetali dai tronchi contorti che s’intrecciavano formando figure abbastanza tetre. A varie altezze e sulla loro sommità si ergevano piattaforme ricche di materiale bianco che, visto da lontano, pareva soffice e caldo.

«Sembrano enormi funghi» disse l’uomo accanto a Larsson.

«Già. Non avevo mai visto un ambiente più alieno di questo».

«Non avevi mai visto un ambiente alieno, punto. Non ti sei mai mosso dalla Terra.»

«Intendevo dire neppure negli olofilm. Hai visto dove sprofondano i tuoi funghi?».

Larsson fece qualche passo verso il più vicino, almeno a un centinaio di metri da loro. Entrava dentro un cratere immenso e anche gli altri, più indietro, spuntavano da crateri simili.

Attaccati alle cortecce e al terreno, ben saldi come se avessero forti radici, c’erano strani palloni semitrasparenti, mollicci e pieni di venature rosse, parevano contenere un fluido.

«Quella là dentro sarà acqua?»

«Se ci sono i vegetali, l’acqua c’è per forza. E se sta là dentro sarà più facile prenderla».

Larsson indicò il lungo solco alla loro destra. Si avviarono per indagare. Appena lo raggiunsero capirono di essere sull’orlo di una voragine. Forse si trattava di un fiume e l’acqua scorreva proprio là in fondo, a chissà quale profondità. Ossian alzò lo sguardo sull’orizzonte e vide altri solchi che s’intersecavano tra loro, alla maniera di una fitta rete di canali, con in mezzo crateri e funghi colossali. Tutto era avvolto in una leggera nebbia.

«Ossian, puoi aggiornarmi sulla situazione?» fu la richiesta via comunicatore, dal relitto.

«Ancora non abbiamo stabilito alcun contatto con gli alieni, Zac. E più mi guardo in giro e più rimpiango la Terra. Qui il villaggio vacanze è veramente brutto».

«Non avevamo molta scelta, mi pare».

«Vero. Speriamo almeno che il gioco valga la candela».

«Siamo vivi. Questo è già abbastanza per me».

D’un tratto, Larsson s’accorse della creatura che lo osservava a una distanza di circa dieci metri. Stava dritta davanti a lui e gli puntava addosso i suoi sei occhi; avvertì subito la presenza di altre creature simili, in avvicinamento alla prima.

«Abbiamo visite» disse uno dei suoi compagni. E fece per estrarre la pistola dalla fondina.

«Fermo!» lo bloccò Larsson.

Le creature emersero completamente dalla nebbia. Erano aracnidi alti tre metri, con una grossa testa piatta, il busto era solo un pretesto per tenerci attaccate sei gambe, anzi, quattro erano di sicuro gambe, mentre le altre due, le anteriori, sembravano braccia. Un particolare lo colpì: non avevano la bocca e non c’era niente di alternativo che ne facesse la funzione.

Eppure, nonostante l’aspetto mostruoso, fu sicuro di non avere di fronte delle bestie. Osservò quegli occhi che lo guardavano e in quello sguardo riconobbe un inconfondibile guizzo di intelligenza. Si fece coraggio e cercò di stabilire un contatto.

«Veniamo in pace…» annunciò. «Forse non comprendete la mia lingua, ma spero che in qualche modo si possa comunicare. Vogliamo solo diventare vostri amici».

Non ci fu nessuna reazione, gli aracnidi rimasero immobili.

A Zeist i suoni emessi dal brutto alieno diedero fastidio. Comprendeva ogni cosa, ma un conto era sentire dialoghi lontani e un altro era sentirli così da vicino. Non riusciva a sopportarli.

Entrò nella mente dell’alieno e lì trovò paura, tensione e avversione per il suo aspetto. Non si stupì, anche loro non erano certo piacevoli da guardare. Continuò a curiosare finché si accorse dello stupore che causava. L’alieno si era reso conto dell’intrusione, era disorientato… e allora Zeist si ritrasse, perché temette di fargli del male. Decise di tornare nella sua mente, ma solo per iniziare la comunicazione.

Avete armi, volete usarle contro di me?pensò l’alieno.

Larsson sentì arrivare la voce come fosse portata dal vento. Fu un contatto tanto strano che per un momento ne restò turbato. Poi riconobbe il primo approccio telepatico e si sforzò di pensare un discorso, lo scandì ben chiaro, meglio che poté.

Noi veniamo dal pianeta Terra. Siamo fuggitivi. Laggiù non c’è più posto per noi, per via delle nostre idee che contrastano con quelle di un regime terribile. Restare avrebbe significato non avere un futuro e forse morire. Per questo motivo siamo venuti qui. Siamo stati costretti. Abbiamo le armi, è vero, ma non le useremo… ti chiediamo ospitalità. Siamo in pochi e abbiamo solo bisogno di un piccolo spazio per insediare una colonia”.

Guardò preoccupato i ragni e questi non si mossero di un millimetro. Temette di non essersi spiegato bene e lo temettero anche gli altri Umani. L’uomo accanto gli mise una mano sulla spalla: «Chi ci dice che non ci faranno a pezzi, Ossian? Sarà meglio indietreggiare finché siamo in tempo».

Zeist ebbe un sussulto, i ragni s’irrigidirono e un nuovo messaggio arrivò nelle menti del gruppo: “Pensate, non parlate. C’è una distorsione nella vostra voce che non sopporto”.

Va bene, va bene. Così va meglio?” pensò Larsson.

Sì, molto meglio”.

Puoi dare una risposta alla mia richiesta d’asilo?”.

La risposta arrivò.

E non fu diretta solo a lui, arrivò in tutte le menti umane nello stesso istante.“Zeist ha trovato nuovi amici! Potete restare a patto che io impari da voi ciò che conoscete, a modo mio”.


***


I Terrestri cominciarono a scendere dal Conestoga, a scaricare le loro cose e a curare coloro che si erano feriti durante il naufragio. In tutto scesero dal relitto novecentottanta persone.

Zeist li aveva accolti ed era divorato dalla curiosità. Aveva la possibilità di accrescere la sua conoscenza, era entrato in contatto con esseri sconosciuti, stranissimi, completamente diversi da lui, ed erano a sua completa disposizione.

Iniziò subito. Si mise a leggere i pensieri di uno di loro, poi di un altro e poi un altro ancora. Aumentò la velocità di lettura, diventarono cinquanta, cento, duecento. Alla fine entrò in tutte le menti disponibili e assimilò notizie con sempre maggiore bramosia.

Accumulò una quantità incredibile di informazioni sulla Terra e sugli uomini, e anche sulle donne… L’esistenza di due tipi di Umani, molto diversi tra loro, lo lasciò colmo di stupore. E scoprì che queste due unità così diverse avevano bisogno l’uno dell’altra, ma non come gli Zeist, per creare un collettivo. Il loro obiettivo era completarsi a vicenda, pur rimanendo individui indipendenti. Questo concetto non gli era ancora del tutto chiaro, però si ripromise di approfondirlo. Aveva già capito come facevano i Terrestri a riprodursi e perché alcuni di quelli che scendevano dall’astronave fracassata erano più piccoli degli altri, li chiamavano bambini. In pratica, concluse che si trattava di piccoli uomini in fase di costruzione.

Pensò con soddisfazione che avrebbe avuto molto da fare negli anni successivi.

 

Il romanzo è disponibile su Amazon in ebook e cartaceo

sabato 22 giugno 2024

L'ultimo giapponese


 

Continuo a scrivere, come l’ultimo giapponese che combatte su un’isola dimenticata del Pacifico nonostante la guerra sia finita da tempo. Scrivo ma solo quando ne ho voglia e scrivo solo fantascienza, anche se nessuno la legge più. Perché la fantascienza si vede al cinema, straripante di effetti speciali, è inutile cercarla sulle pagine di un libro.

Sto scrivendo qualche racconto breve e qualcuno un tantino lungo. Li invio alle selezioni per le antologie ma non mi aspetto niente, sono stanco di aspettare. Ho già preparato la copertina per il volume che autopubblicherò, dopo non aver ricevuto segnali di vita dai ricettori del materiale che ho inviato.

L’immagine è la prima che non ho disegnato io, questa l’ha creata l’Intelligenza Artificiale. So bene che è piuttosto banale, ma a me piace. E poi non è che le mie immagini, quelle disegnate per gli altri miei libri, siano dei capolavori. Sicché questa va benissimo.

Intanto proseguo nel mettere insieme parole, chissà che non mi venga in mente qualcosa di veramente forte. Oppure, forse l’unica cosa di forte potrebbe venirmi sotto forma di mal di testa...

venerdì 31 maggio 2024

Atlas

 


Atlas è un film ottimo di fantascienza Netflix, per niente originale, ma visivamente impressionante.

La trama è un mix di Terminator e Starship Troopers, con atmosfere che spaziano da Alien a StarWars. Un bel frullatone, insomma.

In un lontano futuro gli uomini sono in guerra contro le macchine (proprio come succedeva con Skynet), ma questa volta non è la rete a controllare la tecnologia, bensì un singolo androide. Questa è già una contraddizione e comunque viene bypassata con hackeraggi e schermature antivirus, per spiegare come fanno gli uomini a fidarsi delle macchine se altre macchine gli si sono rivoltate contro. Un altro punto debole sono i robot, che a volte sembrano invincibili e altre volte sono più deboli degli inutili stormtrooper di Star Wars. I T-800 e i T-1000 incutevano sicuramente tutt’altra soggezione.

La cosa che intristisce sono gli esoscheletri, già visti in molti videogiochi e soprattutto in Avatar. Sono azzeccati e verosimili, senza alcun dubbio, ma intristisce il fatto che non siano stati pensati per il film che meglio li avrebbe rappresentati: quel Fanteria dello Spazio (Starship Trooper) del 1997. I marine spaziali che combattevano in canottiera, elmetto e simil-Thomson oggi proprio non si possono vedere. Chissà, forse sarebbe il momento di un bel reboot più fedele al libro di Robert A. Heinlein.