giovedì 12 maggio 2016

Tre specie intelligenti possono convivere pacificamente sullo stesso mondo?

Zaygo si alzò presto, come faceva tutte le mattine. Il suo primo pensiero, quando si svegliava, era sempre il cibo, per questo teneva alcuni squynzi di scorta.

Scese dal tubo dove si era attorcigliato per la notte e si avvicinò alla vasca al centro della stanza. Immerse la mano, velocissimo. Ci fu un fuggi fuggi generale, con schizzi d’acqua in tutte le direzioni. Prese lo squynzo più grosso al primo colpo e lo divorò dalla coda al gozzo gonfio, in un attimo. Poi infilò la testa nella vasca per bere avidamente, finché non si sentì dissetato.

Infine si vestì.

Mise la tunica rossa, simbolo di fuoco e di forza. Lui era un Lorn, apparteneva alla più forte delle tre specie dominanti di Bhlyss. Le sue squame erano azzurre e i Lorn andavano fieri di quell’azzurro; era un colore nobile, li rendeva belli e gloriosi, ma soprattutto diversi da quei maledetti Saytrac che avevano la pelle dello stesso colore di uno squynzo in avanzato stato di decomposizione. Un vero schifo.

I Saytrac non erano gli unici nemici dei Lorn. C’erano gli altri, i Tlazk: rettili piccoli, brutti e deformi. Essi non meritavano il rispetto di Zaygo, non si erano mai affidati alla forza e al coraggio per guidare il loro destino; usavano congegni per fare ogni cosa, anche per combattere.

Lui odiava i Tlazk. E il passato gli aveva dato buone ragioni per rafforzare quell’odio.

Tuttavia, dopo millenni di guerre, a un certo punto, si era arrivati a un equilibrio precario dettato dall’emergenza. Erano stati quei ripugnanti Umani a renderlo possibile. Dei mostri dalla pelle liscia, senza scaglie, con cespugli di peli sulla testa.

Zaygo ringhiò immaginandoseli davanti.

Quegli orrendi esseri erano venuti, armati fino ai denti, per conquistare Bhlyss. Ed erano riusciti involontariamente a unire tutti i rettiliani.

All’inizio, ciascun popolo aveva reagito all’invasione umana in modo indipendente, collezionando una lunga serie di sconfitte. Solo per la necessità di sopravvivere, il rancore che separava le tre specie si era sopito, pur bruciando ancora oggi, come la brace sotto la cenere.

Sebbene uniti, Lorn, Saytrac e Tlazk avevano perso la guerra e dovuto affrontare la sottomissione.

Sottomissione, rifletté Zaygo, con una smorfia di rabbia a imbruttirgli il suo grugno squamoso al solo pensiero.

Per anni la sua gente aveva dovuto sopportare l’umiliazione della schiavitù. La rinuncia alle tuniche rosse, l’obbedienza incondizionata, il lavoro forzato a fianco delle altre specie rettiliane inferiori... Era stata un’epoca di sofferenza e mortificazione per qualsiasi Lorn nato sotto il sole di Sirio.

Finché qualcosa era successo tra i conquistatori.

Aveva ancora nelle orecchie il discorso fatto da un umano chiamato il Presidente. Era giunto su Bhlyss annunciando una nuova era di fratellanza.

«Saremo vostri amici, se lo vorrete» aveva detto in un discorso pieno di retorica. «Ciò che è avvenuto in passato non accadrà mai più, perché potremo condividere con voi il bene per cui noi stessi abbiamo lottato: la libertà».

Ed era ripartito insieme agli altri invasori. Dopo tutto il male che avevano fatto, se n’erano andati mendicando il perdono dei loro schiavi e parlando di libertà concessa.

«La libertà si conquista e gli schiavi si sfruttano» disse a voce alta Zaygo, sibilando per il disprezzo.

Gli Umani non avevano mai compreso né i Lorn né la convivenza delle tre specie su Bhlyss. Di certo, non si erano guadagnati la fiducia di nessuno, nemmeno dopo la Grande Liberazione.

Con l’umore guastato da quei pensieri, Zaygo indossò l’armatura. Impugnò il guanto sicli e controllò la daga a tre lame. Lo scatto era perfetto, la ripose nel fodero.

Quando uscì all’aperto, il cielo rosso era limpido, l’aria più calda del solito. Restò fermo a riscaldare il suo sangue per qualche attimo, era piacevole farlo in quelle magnifiche giornate.

Con calma gustò il panorama, dalle alte pareti di roccia che proteggevano la valle, coperte da piante variopinte, ai muri verde smeraldo e le cupole argento e oro delle case che facevano sapere al mondo quanto fossero nobili i Lorn.

Tutta la città risplendeva.

Né i Tlazk né i Saytrac dovevano avere la possibilità di ammirare tanta bellezza mettendo piede nella sua città, lui l’avrebbe impedito.

Un forte stridio arrivò dall’alto. Vide il terreno scurito da un’ombra e alzò lo sguardo. Un gigantesco Kurr, gracchiando, passò sopra di lui e con le ali provocò un vento impetuoso.

Com’era maestoso quell’animale!

I Kurr che volavano liberi, i loro simili domati che portavano i Lorn in cielo, la sua città che prosperava all’aperto, a differenza di quelle dei Tlazk nascoste sottoterra... Ogni cosa intorno a lui gli confermava che il suo popolo viveva nella Natura più di quanto facessero le altre specie. Era giusto così, perché i Lorn esistevano per dominare Bhlyss. E se non c’erano ancora riusciti, era solo perché il destino era divenuto capriccioso, mettendosi per traverso e riservando loro quella piaga che erano gli Umani.

Zaygo decise di attraversare la piazza in pietra per raggiungere l’ampio colonnato dove venivano deposte le uova. Camminò ondeggiando il corpo con quell’andatura tanto naturale su Bhlyss quanto bizzarra per gli abitanti della Terra, perché erano abituati a veder strisciare i serpenti sul terreno.

Si affacciò sull’area a forma di conca. C’erano, tutte ordinate, migliaia di coppe riproduttive, e in ognuna era stato deposto un uovo. In lontananza vide alcune femmine occuparsi della attività non legate alla guerra. Così era stato dall’alba dei tempi; questo non perché fossero più deboli dei maschi, una femmina Lorn valeva quanto cento umane, ma semplicemente per divisione dei compiti.

Erano guerriere rispettate e combattevano solo quando dovevano difendere i piccoli. In quel caso, divenivano rabbiose e determinate più dei maschi. Zaygo ripensò all’ultima incursione Saytrac e a come le femmine li avevano scacciati dalla città senza che i maschi avessero dovuto sfoderare le loro daghe. Sogghignò e le sue zanne brillarono alla luce di Sirio A.

«Zaygo, ti senti forte oggi?» lo richiamò Drigo, un altro valoroso guerriero. Come lui, si muoveva in modo sinuoso, da vero serpente.

«Mi sento forte, Drigo. E il calore di Bar aumenta sempre più la mia forza».

«I Tlazk stanno preparando qualcosa, vedo lampi lontani e di notte sento strani echi».

«Credi che preparino una guerra?».

«Non si può mai sapere cosa preparano quei viscidi, comunque noi siamo pronti. È tanto ormai che gli Umani se ne sono andati, le vecchie alleanze non contano più».

Sentirono gracchiare dall’alto e furono investiti da una folata di vento. Un imponente Kurr, ricco di penne colorate, atterrò davanti a loro. Ripiegò le ali enormi e i becchi posti all’estremità delle tre proboscidi si chiusero. Da buon animale domato, aspettava solo che il suo padrone salisse.

«Drigo, sei diventato un cavalcatore di Kurr?».

«Dovevo, per forza. Ci sarà bisogno di noi in battaglia. I guerrieri migliori sono quelli che attaccano dal cielo». Montò sul Kurr. «Che il coraggio non ti abbandoni mai, Zaygo».

«Che il coraggio ci segua entrambi, Drigo».

Il Kurr prese il volo col suo padrone, tra battiti d’ali possenti e turbini d’aria.



La città lentamente si stava svegliando. Tanti Lorn erano usciti in strada e cominciavano a svolgere la proprie attività.

Zaygo vide arrivare una squadra di dieci soldati, ondeggiavano flessuosi e impugnavano fucili a energia. Le armi a raggi erano per la truppa, perché solo a pochi eletti, come lui, spettava l’onore di combattere con armi a lama.

«Rispetto al Portatore della Daga!» gli gridarono quei Lorn, di passaggio, lasciando per un attimo i fucili con una mano e mostrando gli artigli.

Anche lui artigliò, fiero.

Chissà, forse stava per scoppiare un’altra guerra contro i Tlazk. Poteva darsi che quel periodo di pace fosse il preludio alla tempesta e lui si sarebbe presto trovato davanti tanti avversari da abbattere. Non temeva nessuno, soprattutto quei nani rossi coperti di tecnologia inutile. Che venissero pure, lui li avrebbe aspettati per farli a pezzi. E dopo si sarebbe di certo sfamato con tanti squynzi e dissetato con molta acqua.

Improvvisamente, gli arrivò addosso l’ennesima ventata. Guardò in alto pensando all’arrivo di un altro Kurr.

Invece, il cielo era vuoto.

Appena abbassò lo sguardo, si accorse che proprio davanti a lui si stava aprendo un buco nell’aria... che dava sul nulla. Rimase fermo per qualche secondo a osservare la novità, incurante di qualsiasi pericolo. Un Portatore della Daga non aveva paura di nulla, perché un nemico avrebbe potuto prendergli solo la vita, non l’onore.

Intorno all’apertura si formò un vortice che iniziò a girare sempre più forte. Il buco si allargò e il vento che ne uscì buttò tutti a terra, anche Zaygo.

Quando si rialzò, vide qualcosa muoversi là dentro. Pareva una specie di tempesta, cupa e in continuo tumultuo. E c’erano tante figure lontane che stavano arrivando.

Qualsiasi cosa sia, non è niente di buono, pensò.

D’istinto, estrasse la sua daga. Lo scatto fece uscire le altre due lame e fu pronta. Dal guanto sicli, con un altro scatto, si aprì lateralmente la spada a forma di scimitarra.

Ciò che sbucò dal vortice nero fu un vero incubo, preceduto da un urlo agghiacciante che sembrava giungere direttamente dall’Inferno. Uscirono in massa, assetati di sangue. Zaygo rimase impassibile, ben piantato sulle zampe e pronto allo scontro.

«Altro sangue per la mia daga!» urlò, brandendola con sicurezza.


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