giovedì 9 febbraio 2017

Fantascienza tra fumetti e racconti

«È il mio turno ai monitor» disse Josephine, entrando in plancia, a prua della nave. Dimitriy, seduto, si voltò e sorrise.
«Accomodati, avevo giusto voglia di sgranchirmi... e mi chiedevo dove fossi finita».
«Ce ne vuole per arrivare qui. Hai idea delle dimensioni di quest’affare?» scherzò lei.
«Già. Una scatola di sardine è di sicuro più grande».
«Novità dalle stelle?»
«Nessuna. Neppure un alieno... così, tanto per scambiare due chiacchiere».
Dimitriy si alzò, cedette il posto a Josephine e fece per uscire. Ma prima volle aggiungere qualcosa, tutt’altro che serio: «Che fai stasera, dopo il turno?»
«Sono indecisa. Ho talmente tanti spasimanti... lo sai».
«Che ne dici di un ristorantino sul mare, appena fuori città?».
«Non mi piace il pesce, te ne sei dimenticato?» scoppiò a ridere.
«Peccato, sarebbe stato fantastico» concluse lui. Qualche battuta di spirito, ogni tanto, interrompeva la noia. A questo si aggiungeva il fatto che Josephine piaceva a Dimitriy, così rendersi simpatico, scherzare e aumentare sempre più la confidenza era parte di un piano. Naturalmente Josephine aveva già capito tutto, ma non dava a vedere quali fossero i suoi sentimenti. Dimitriy uscì. La porta scorrevole gli si chiuse dietro.
L’Inquiring non era certo grande. Con i suoi ottanta metri di lunghezza si poteva paragonare a un sottomarino della Seconda Guerra Mondiale; in pratica, i quattro membri dell’equipaggio, solcavano i sargassi siderali, chiusi dentro un guscio allungato, simile a un siluro pieno di sporgenze, tecnologia e alettoni. Una piccola nave con una missione lunga e noiosa.

Il comandante Mathieu, nella sua cabina, archiviava i dati elaborati dal Computer negli ultimi due mesi. Avevano trovato cinque pianeti, una insidiosa nuvola di polvere cosmica e un asteroide vagante, tutti interamente fatti di antimateria. Oltre a questo, nient’altro.
Le rotte commerciali erano caratterizzate da astronavi prive di equipaggio umano e una delle più fastidiose qualità che aveva l’antimateria era la repulsione gravitazionale. Per la verità questa nasceva dall’incontro con la materia, per cui la colpa era solo un punto di vista, ma un’astronave guidata dal Computer non prendeva iniziative, seguiva un programma, e trovarsi gradatamente respinta da un corpo celeste con gravità inversa finiva per portarla fuori rotta fino a farla perdere nello spazio.
La Compagnia aveva così affidato all’Inquiring il futuro della sua flotta per salvaguardare gli introiti futuri; quello che era già accaduto troppe volte non doveva più ripetersi.
Il Comandante aggiornò le rotte. Fantasticando, pensò al limite che l’Universo aveva imposto all’esplorazione dell’uomo. Esistevano pianeti che non si sarebbero mai potuti esplorare. Scendere su un Antipianeta, infatti, avrebbe significato trasformarsi in energia fotonica per annichilazione. Probabilmente la morte sarebbe arrivata rapida e indolore, nell’istante in cui gli elettroni del corpo e i positroni del mondo alieno si fossero incontrati producendo raggi gamma.
Come scienziato doveva prendere in considerazione solo le possibilità logicamente praticabili, eppure continuò a fantasticare almeno per qualche altro minuto. Si sa che in ogni uomo c’è ancora un bambino e se a un bambino si impone di non guardare in quel dato cassetto starà male finché non sarà riuscito ad aprirlo.
Mathieu digitò le ultime annotazioni e salvò il lavoro.
«Fine dell’archiviazione, Computer. Invia i dati definitivi alla Terra».
«Dati inviati, Comandante. Arriveranno a velocità UltraLuce tra un anno standard».
«Bene, saremo già in ibernazione e sulla via del ritorno per allora».
«Altri compiti per me, Signore?»
«Controlla la struttura esterna, non voglio particelle di antimateria troppo vicine allo scafo».
«Faccio un’analisi completa».
Lentamente, Mathieu si alzò dalla scrivania e si distese sulla branda. Sentiva il bisogno di rilassarsi. Vista la tranquillità con cui procedeva la missione, sapeva di poterselo concedere.

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