Uno stridio appena accennato distrasse Fenrir. Il mutaforma si
impossessò della pietra col sangue di Loki, abbandonata a terra durante
il pasto, e drizzò le orecchie. Non udì nulla.
Con cautela sporse il capo fuori dalla capanna e guardò in ogni direzione nel villaggio. Solo distruzione e quiete, nient’altro. Si rintanò nuovamente nella penombra umida dell’interno, con la schiena poggiata a una parete di mattoni di fango essiccato e paglia. Non seppe staccare gli occhi dalla pietra tenuta tra le dita possenti.
Aveva a lungo cercato Loki, per riconsegnare al padre ciò che gli apparteneva e renderlo completo nella sua potenza. Aveva setacciato ogni luogo, dal freddo nord ai deserti abbandonati dell’Africa, e non aveva incontrato nessuno laggiù, se non i Risorti e i pochi Mangiacarogne che non si erano arresi alla vera morte. Aveva temuto che, per qualche ragione a lui oscura, fosse proprio suo padre a sfuggire a quell’incontro.
Ma ormai rimaneva solo Konstantinoupolis da setacciare ed era proprio dirigendosi a quella città che si era imbattuto in Harald e nel suo gruppo. E per poco non era rimasto ucciso.
Dannati Uomini, recriminò a mente. Uno dopo l’altro morirete e la manna farà il suo dovere su di voi. Tuttavia qualcosa era cambiato dal giorno in cui la manna dei Risorti era iniziata a cadere, molti anni addietro. Lo sentiva nel profondo, come se nel Creato si fosse insinuata una minaccia imprevista.
Consegnaci la Pietra, bisbigliò l’oscurità, da un angolo pieno di cesti in vimini e rozzi attrezzi da lavoro.
Levati dalla nostra strada verso la vera vita, doppiò un’altra parte delle tenebre nella capanna.
Eccoli di nuovo, quei misteriosi sussurri senza corpo, sempre più frequenti negli ultimi anni. Fenrir ringhiò ferocemente, distraendosi. Fu così che la punta della lancia poté trapassare la parete e il suo ventre in un doloroso colpo.
‒ L’ho ferito! Correte a finirlo!
A parlare fu Brynjarr, il fratello di Harald, Fenrir lo riconobbe dalla voce. Era straordinariamente forte per un essere umano, più di quanto gli fosse parso nello scontro precedente. Il mutaforma reagì spezzando il manico di legno della lancia. Sfilò il corpo con determinazione e si lanciò di schiena a sfondare la sottile parete.
‒ Per Odino! ‒ esclamò Brynjarr, saltando all’indietro con eccezionale agilità, nonostante la pesante corazza da Guardia del tagma Hikanatoi indossata. ‒ La bestia non accetta il suo fato!
Fenrir alzò il muso al cielo e lanciò un ululato ferino. ‒ Accetta tu il tuo destino, Mangiacarogne!
Una zampata fendette l’aria e gli artigli del figlio di Loki tranciarono la protezione metallica del mercenario varego, fino a penetrare nella carne del braccio. Il sangue che ne uscì attrasse la manna depositata in pozze sul sentiero principale del villaggio. Quell’essenza si mosse lestamente e circondò l’uomo risalendo le sue gambe e il busto per raggiungere la ferita.
Il Varego colpì quella viscida sostanza col pugno ed ebbe successo nel fermarne la maggior parte. Solo poche gocce penetrarono nei tagli. Rintuzzato alla meglio l’assalto, Brynjarr si passò la mano sulla ferita e la ritrasse sporca di sangue e manna.
‒ Non sai fare di meglio? ‒ lanciò allora contro Fenrir. Il Varego estrasse la spada. Poi, rivolgendosi al nulla, Brynjarr disse: ‒ Harald, dovrò aspettare ancora molto il tuo intervento?
Apparvero invece altri venti lancieri dell’Hikanatoi, in uscita dalle capanne più esterne del villaggio, dove si erano nascosti. Armati di lance lunghe simili a quella ormai spezzata di Brynjarr, si lanciarono a passo di carica contro Fenrir, dieci per lato.
‒ Vivo o morto, questa volta ti avremo! ‒ urlò Brynjarr. E roteò la spada per colpire il mutaforma.
Peli grigi volarono nell’aria, tranciati di netto, ma l’assalto non ottenne altro esito. Dopo la breve ritirata, Fenrir si riposizionò su tre zampe, la quarta teneva stretta la Pietra del Sangue. La ferita al ventre non era grave, ma gli doleva molto. Dovette respirare dalla bocca, per portare ossigeno ai polmoni.
Appena tornò ad annusare l’aria, percepì i due odori distinti dietro di lui, a distanze differenti. Nel ruotare il capo intravide solamente l’elsa della spada di Harald calare sulla sua testa come fosse un maglio da guerra. Il colpo spezzò alcune zanne e fece stramazzare Fenrir pancia a terra. Quell’uomo, dai capelli rossi e la barba annodata in trecce alla moda dei Vareghi, i Vichinghi abitanti sui fiumi della Grande Russia, avanzò e assestò altri due colpi possenti su quel capo da lupo, lacerando la pelle sulla guancia.
Il mutaforma tradì un accenno di profonda paura, nel tremore delle zampe anteriori, prima di abbassare le palpebre e cadere nell’incoscienza.
Con cautela sporse il capo fuori dalla capanna e guardò in ogni direzione nel villaggio. Solo distruzione e quiete, nient’altro. Si rintanò nuovamente nella penombra umida dell’interno, con la schiena poggiata a una parete di mattoni di fango essiccato e paglia. Non seppe staccare gli occhi dalla pietra tenuta tra le dita possenti.
Aveva a lungo cercato Loki, per riconsegnare al padre ciò che gli apparteneva e renderlo completo nella sua potenza. Aveva setacciato ogni luogo, dal freddo nord ai deserti abbandonati dell’Africa, e non aveva incontrato nessuno laggiù, se non i Risorti e i pochi Mangiacarogne che non si erano arresi alla vera morte. Aveva temuto che, per qualche ragione a lui oscura, fosse proprio suo padre a sfuggire a quell’incontro.
Ma ormai rimaneva solo Konstantinoupolis da setacciare ed era proprio dirigendosi a quella città che si era imbattuto in Harald e nel suo gruppo. E per poco non era rimasto ucciso.
Dannati Uomini, recriminò a mente. Uno dopo l’altro morirete e la manna farà il suo dovere su di voi. Tuttavia qualcosa era cambiato dal giorno in cui la manna dei Risorti era iniziata a cadere, molti anni addietro. Lo sentiva nel profondo, come se nel Creato si fosse insinuata una minaccia imprevista.
Consegnaci la Pietra, bisbigliò l’oscurità, da un angolo pieno di cesti in vimini e rozzi attrezzi da lavoro.
Levati dalla nostra strada verso la vera vita, doppiò un’altra parte delle tenebre nella capanna.
Eccoli di nuovo, quei misteriosi sussurri senza corpo, sempre più frequenti negli ultimi anni. Fenrir ringhiò ferocemente, distraendosi. Fu così che la punta della lancia poté trapassare la parete e il suo ventre in un doloroso colpo.
‒ L’ho ferito! Correte a finirlo!
A parlare fu Brynjarr, il fratello di Harald, Fenrir lo riconobbe dalla voce. Era straordinariamente forte per un essere umano, più di quanto gli fosse parso nello scontro precedente. Il mutaforma reagì spezzando il manico di legno della lancia. Sfilò il corpo con determinazione e si lanciò di schiena a sfondare la sottile parete.
‒ Per Odino! ‒ esclamò Brynjarr, saltando all’indietro con eccezionale agilità, nonostante la pesante corazza da Guardia del tagma Hikanatoi indossata. ‒ La bestia non accetta il suo fato!
Fenrir alzò il muso al cielo e lanciò un ululato ferino. ‒ Accetta tu il tuo destino, Mangiacarogne!
Una zampata fendette l’aria e gli artigli del figlio di Loki tranciarono la protezione metallica del mercenario varego, fino a penetrare nella carne del braccio. Il sangue che ne uscì attrasse la manna depositata in pozze sul sentiero principale del villaggio. Quell’essenza si mosse lestamente e circondò l’uomo risalendo le sue gambe e il busto per raggiungere la ferita.
Il Varego colpì quella viscida sostanza col pugno ed ebbe successo nel fermarne la maggior parte. Solo poche gocce penetrarono nei tagli. Rintuzzato alla meglio l’assalto, Brynjarr si passò la mano sulla ferita e la ritrasse sporca di sangue e manna.
‒ Non sai fare di meglio? ‒ lanciò allora contro Fenrir. Il Varego estrasse la spada. Poi, rivolgendosi al nulla, Brynjarr disse: ‒ Harald, dovrò aspettare ancora molto il tuo intervento?
Apparvero invece altri venti lancieri dell’Hikanatoi, in uscita dalle capanne più esterne del villaggio, dove si erano nascosti. Armati di lance lunghe simili a quella ormai spezzata di Brynjarr, si lanciarono a passo di carica contro Fenrir, dieci per lato.
‒ Vivo o morto, questa volta ti avremo! ‒ urlò Brynjarr. E roteò la spada per colpire il mutaforma.
Peli grigi volarono nell’aria, tranciati di netto, ma l’assalto non ottenne altro esito. Dopo la breve ritirata, Fenrir si riposizionò su tre zampe, la quarta teneva stretta la Pietra del Sangue. La ferita al ventre non era grave, ma gli doleva molto. Dovette respirare dalla bocca, per portare ossigeno ai polmoni.
Appena tornò ad annusare l’aria, percepì i due odori distinti dietro di lui, a distanze differenti. Nel ruotare il capo intravide solamente l’elsa della spada di Harald calare sulla sua testa come fosse un maglio da guerra. Il colpo spezzò alcune zanne e fece stramazzare Fenrir pancia a terra. Quell’uomo, dai capelli rossi e la barba annodata in trecce alla moda dei Vareghi, i Vichinghi abitanti sui fiumi della Grande Russia, avanzò e assestò altri due colpi possenti su quel capo da lupo, lacerando la pelle sulla guancia.
Il mutaforma tradì un accenno di profonda paura, nel tremore delle zampe anteriori, prima di abbassare le palpebre e cadere nell’incoscienza.
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